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Basta impunità: arriva la riforma Cirielli

20 Ott

Dal 23 marzo 2018 pende alla Camera dei Deputati una proposta di integrazione dell’art. 27 della Costituzione. In quattro anni e mezzo c’era tutto il tempo per discuterla con una maggioranza di Centrosinistra, soprattutto perché si tratta dei “Diritti e doveri dei cittadini” ed in particolare dei “Rapporti civili”.

Si tratta della norma costituzionale che garantisce che la responsabilità penale è personale, l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, la pena, che non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, non è ammessa la pena di morte.

La proposta di proposta di Legge costituzionale arriva dagli On. Cirielli, Lucaselli e Zucconi, per integrare l’attuale art. 27 prevedendo che la pena “assicura la giusta punizione del reo per il fatto commesso e la prevenzione generale e speciale del reato e deve tendere, con la collaborazione del condannato, alla sua rieducazione. Sono stabiliti con legge i limiti della finalità rieducativa in rapporto con le altre finalità e con le esigenze di difesa sociale. La legge determina, secondo princìpi conformi alle disposizioni di cui al presente articolo, le finalità e le modalità delle misure di sicurezza.”

La questione di cui dovrà discutere il Parlamento è se la pena:

  • è esclusivamente il mezzo per riaffermare il principio di giustizia violato dal reo («teoria della retribuzione»)
  • ha lo scopo di dissuadere gli altri consociati dal violare le norme dell’ordinamento. Tale funzione è attuata intimidendo i consociati stessi con la minaccia di quel male che è, appunto, la pena («teoria della prevenzione generale»
  • deve impedire che il reo, in futuro, delinqua nuovamente. Tale effetto può essere realizzato con la rieducazione, la dissuasione o la neutralizzazione del condannato («teoria dell’emenda»).

Perché?

Perché è evidente a tanti e da molti anni ormai che

  • affinché il processo rieducativo possa avere corso senza tradursi in una imposizione coercitiva nei confronti del destinatario, occorre che vi sia la « disponibilità psicologica » di quest’ultimo
  • la rieducazione non è da sola sufficiente ad esaurire tutte le funzioni che oggi la sanzione relativa alla responsabilità penale deve assolvere
  • i risultati poco confortanti dell’ideologia della risocializzazione hanno indotto gli studiosi a parlare di una vera e propria «crisi dell’ideologia rieducativa»
  • l’aumento della criminalità ha prospettato la necessità di valorizzare l’efficacia deterrente della sanzione penale è la disapprovazione sociale
  • la forte disapprovazione sociale è il fattore che favorisce e stabilizza l’identificazione della maggioranza dei cittadini con il sistema di valori protetto all’ordinamento giuridico.

C’erano 4 anni di tempo per discuterne e risolvere, ma evidentemente per PD e Cinque Stelle … i Rapporti Civili tra i cittadini non sono così urgenti. Ed è anche così si perdono le elezioni.

Serviranno a qualcosa le bocciature che partono dal Campo Largo, annunciando che avremo “meno rieducazione e più punizione in nome della sicurezza“? (LINK)
No, non è detto.
Con la “riforma Cirielli” potremmo avere più semilibertà e braccialetti elettronici – dal lato di chi effettivamente si impegna per reinserirsi nella società – come avremo pene più dure per chi è recidivo o irriducibile.

Quel che è certo è che – con riforma o senza riforma dell’art. 27 – servono nuove carceri e di diversa tipologia, tanto mancano sia quelle più soft che quelle più dure, ma anche quelle ‘normali’: l’epopea degli indulti (ben 23 nei primi 45 anni della Repubblica) è finita nel 1990 con buona pace di quello – molto controverso – del 2006.

Demata


Carcere per gli evasori fiscali? Esiste già, come mai si vuol cambiare?

23 Ott

manetteIl carcere per gli evasori fiscali esiste già da quasi dieci anni.

Il decreto legislativo n. 74 del 2000, con le modifiche del Dl 138/2011, prevede – ad esempio – pene da 1,5 a 6 anni di reclusione per frode fiscale e da 1 a 3 anni per dichiarazione infedele “non fraudolenta”, con sanzioni pecuniarie dal 135 al 270 per cento per la frode fiscale e dal 90 al 180 per cento per la “semplice” dichiarazione infedele.

Perchè – dunque – Zingaretti e Di Maio hanno una tale fretta di modificare i reati in cui si può incorrere già da anni e che di recente hanno ricevuto tutta l’attenzione necessaria da parte della Corte di Cassazione? 
Infatti, parliamo di:

  • Dichiarazione fraudolenta (reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni), se l’imposta evasa supera i 30 mila euro, grazie alla falsificazione della dichiarazione dei redditi o Iva, inserendo finti elementi passivi o alterando le scritture contabili;
  • Dichiarazione infedele (reclusione da 1 a 3 anni), se l’evasione è superiore a 150 mila euro, perchè il contribuente omette (in modo cosciente e volontario) alcuni redditi percepiti o aumenta le spese;
  • Dichiarazione omessa (reclusione da 1 a 3 anni), se per almeno 50 mila euro non viene presentata la dichiarazione dei redditi, dell’Iva e il modello 770 entro 90 giorni dalla scadenza;
  • Emissione di fatture false (reclusione da 1 anno a 6 mesi a 6 anni), a prescindere dall’importo se vengono emesse fatture false, cioè relative a operazioni inesistenti per consentire a terzi di evadere le tasse e l’Iva ed Occultamento e distruzione di documenti contabili (reclusione da 6 mesi a 5 anni) per i quali è obbligatoria la conservazione a prescindere dall’importo;
  • Omesso versamento di ritenute (reclusione da sei mesi a due anni) per un ammontare superiore a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta (entro il termine di scadenza dell’invio del 770) oppure se trattasi di IVA con importo superiore a 250mila euro alla scadenza per il pagamento dell’acconto.

Dal 2011 al 2015, l’omesso versamento di ritenute ha incontrato diverse farragini procedurali, poi le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che, per gli illeciti consumati dal 21 ottobre 2015 in poi, per provare il reato di omesso versamento delle ritenute di acconto è solo necessario produrre le certificazioni rilasciate ai sostituiti non essendo sufficiente la sola dichiarazione 770.

Tre anni dopo, la Corte di Cassazione, sez. III Penale, con la sentenza del 25 marzo 2019, n. 12906, aveva sentenziato la non punibilità del reato per «particolare tenuità del fatto», se l’evasione dell’IVA era inferiore al 4%. Dunque, sarebbe solo necessario un intervento del Parlamento per depenalizzare queste casistiche in modo che i procedimenti non vadano ad ingolfare i tribunali.

Di pochi mesi fa la sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 27 giugno 2019, n. 28158, per la quale risponde di frode anche il commercialista, in quanto “è sufficiente il solo dolo eventuale laddove il professionista abbia accettato il rischio della condotta non limpida”.

Non appena la Corte Suprema ha reso chiara ed equa la procedura per condannare penalmente gli evasori … i Cinque Stelle ed il Partito Democratico hanno tanta fretta di cambiare? Perchè il 31 ottobre 2019 è il termine di scadenza dell’invio del 770 e il 27 dicembre, di solito, è la scadenza per il pagamento dell’acconto Iva?

Non è che – poi – a legge fatta diventano non punibili fino a 100.000 euro coloro che oggi lo sono a prescindere dall’importo o per somme inferiori?
E quali irrigidimenti sono previsti per ‘oltre i 100.000 euro’, se quella tenuità del reato sentenziata dalla Corte di Cassazione a marzo 2019 equivaleva a poco meno di euro 10.000?

Perchè il Governo Conte dichiara che quello dei grandi evasori è “un fenomeno che non può rimanere impunito. Governo e maggioranza compatti hanno dato un segnale chiarissimo e netto”, se pochi giorni fa la Sentenza della Corte di Cassazione 38467/19 del 17 settembre 2019 era addirittura ostativa alla commutazione della pena detentiva in pena pecuniaria?

Perchè il Daspo per i commercialisti ‘infedeli’ suscita tanta meraviglia – anzi ‘non esiste‘ – anche se la sospensione e l’espulsione dall’Ordine è prevista per statuto / regolamento per tutti i professionisti inclusi i commercialisti?

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi. La facoltà di ingannare se stesso, questo è il requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri.” (Giuseppe Tomasi, principe di Lampedusa e Grande di Spagna)

Demata

Stefano Cucchi la punta di un iceberg: quali tutele per i malati italiani?

7 Nov

La Stampa una frase particolarmente significativa del dottor Paolo Arbarello – il perito verso il quale la famiglia del povero Stefano Cucchi oggi reclama: «Non è stato semplice muovere rilievi a dei colleghi».

Prendiamo atto: in Italia non è affatto semplice per dei medici «muovere rilievi a dei colleghi» – figurarsi accusare – neanche se c’è da fare giustizia per un morto ammazzato. A dirlo è l’ex direttore di medicina legale della Sapienza.
Sarebbe, dunque, bello che l’Ordine dei Medici e il Ministero della Salute rassicurassero noi comuni mortali quanto meno monitorando affinchè i medici non diventino ancor più – nell’immaginario collettivo – un’ avida, sprecona e omertosa casta di cui sani e malati devono diffidare.

E sarebbe anche cosa urgente, se Stefano Cucchi, dopo ben due passaggi in ospedale, «è morto per il dolore tremendo alla colonna vertebrale ed all’addome per un globo vescicale di urina di ben un litro e mezzo che gli ha prodotto lacerazioni interne». Non basta che i medici coinvolti nel caso Cucchi furono giustamente condannati in prima udienza per omicidio colposo: se accade una cosa del genere ad un epilettico significa che nei due Pronti Soccorsi erano saltati tutti i protocolli …

Come anche un pestaggio in carcere non dovrebbe – ma può – accadere, visto che si accomunano uomini privi di libertà con altri dotati di potere assoluto: la sociologia ha ampiamente dimostrato la problematica. Ma non deve assolutamente accadere che vada impunito che si infierisca – senza intenzione di uccidere ma con brutalità – su un tossicodipendente, epilettico e denutrito: non fu un caso il ministro La Russa espresse “sollievo per i militari mai coinvolti”, riferendosi ai carabinieri che avevano arrestato Stefano Cucchi.
Non si comprende davvero come gli autori del pestaggio siano andati assolti anche dal semplice reato di percosse.

Una questione che non riguarda solo i detenuti o i malati di epilessia – e altre malattie ‘convulsive’ – come Stefano Cucchi.
Avere difficoltà a «muovere rilievi a dei colleghi» riguarda tutti – malati, pubblici impiegati, cittadini e giovani in cerca di lavoro – se poi va a finire che si da la caccia ai falsi invalidi ma poi scopriamo che l’Istat dichiarava per il 2012 che una buona fetta dei lavoratori over55  soffriva di almeno due patologie di rilievo e un terzo era in ‘condizioni di salute non buone’.

I medici e le strutture sanitarie di questi malati provvedono di norma ad informarli dei loro diritti e delle opportunità previste, consegnandogli certificazioni dettagliate e prescrivendo tutele adeguate? E questi malati – se voglio agire a tutela dei propri interessi – riescono a trovare dei medici che non abbiano serie difficoltà a «muovere rilievi a dei colleghi»?
Se sono ancora al lavoro, invece che in pensione liberando posti, e se l’Inps conta 6 milioni di invalidi – mentre la media dovrebbe essere di 8,5 se applicassimo gli standard europei – è evidente che almeno una parte dei malati non ha pieno accesso ai propri diritti per errore o negligenza medica nell’informazione e nella canalizzazione del paziente all’interno del sistema sanitaario , ovvero nella gestione ‘burocratica’ (che burocratica NON è) del malato.

Come sarebbe la crisi italiana se i nostri medici avessero operato almeno da dieci anni nel rispetto delle norme europee, in modo da garantire il dovuto accesso per i malati – anziani o meno – con serie situazioni invalidanti ai propri diritti ? Quanti posti di lavoro in più avremmo, quanta liquidità circolante ci sarebbe, quanta automazione e semplificazione avremmo guadagnato nel turn over?
Quanto ci costa non riconoscere i nostri malati e/o non tutelarli adeguatamente dall’errore e dalla negligenza medica in sede di informazione e di indirizzamento, come di prescrizione e di tutele?

E perchè lo Stato non interviene se uno dei migliori medici legali d’Italia precisa che non è «semplice muovere rilievi a dei colleghi», ma lo stesso non accade se si tratta di categorie come ingegneri, chimici, biologi, magistrati, avvocati eccetera?
Perchè su Stefano Cucchi – epilettico e tosssicodipendente – le associazioni dei malati taccciono?

leggi anche Stefano Cucchi, le colpe di tutti

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Crisi di governo? Paga l’Italia …

23 Ago

Il Pdl s’attacca a Napolitano, adesso Silvio crede nell’amnistia. L’apertura del guardasigilli Cancellieri Berlusconi: “La crisi colpa del Pd”. “Letta fa il duro per battere Renzi”.
Il Cavaliere: “Molte strade per salvarmi”. Alfano preme sul Pd per stop alla decadenza, sulla durata del governo cita Lucio Battisti (vd). Dai dem solo chiusure: “Legalità non si baratta”.

Pdl, l’idea di forzare subito per le urne. Letta al Colle: governo può farcela. Napolitano al premier: “Vai avanti”.
L’Anm insorge: “Linciaggio per neutralizzare la sentenza”.

Vauro da Presseeurop.eu

Il Cavaliere rifiuta il salvagente rinvio, l’idea è di fare dimettere i parlamentari. Governo in bilico, l’ex premier vuole far saltare il banco.
Alfano: il Pd voti contro la decadenza. Alt di Franceschini: nessun baratto sulla legalità.

Grillo: “Subito ad elezioni, con il Porcellum vinciamo noi”.
Silvio spinge per il voto. Sull’Imu nasce l’asse Pdl-M5S Grillo: “L’imposta non va pagata”. Gli azzurri: “Lui meglio del Pd”.

Questi gli strilli (le testate) on line di La Repubblica, La Stampa, il Corriere della Sera, Libero.


Uno scenario ben delinato da Virginia Piccolillo del Corsera (link), per quanto relativo gli aspetti ‘tecnici’,. Un contesto politico-istituzionale che si presta a poche, ma molto deludenti, riflessioni.

Innanzitutto, i nostri Potenti dovrebbero prendere atto che a seguire sempre e comunque la via del compromesso e del volemose bene si ottengono sempre e soltanto leggi a metà e risultati a metà. Nel primo caso, da ‘completarsi con una miriade di interpetazioni autentiche, regolamenti e mille proroghe, nel secondo con esiti bizantini ogni qual volta servirebbe una regoletta semplice e chiara.
In questo sta tutta la querelle inerente la decadenza, l’ineleggibilità o la incadidabilità che sia per Silvio Berlusconi.
Le norme introdotte per impulso del ministro Cancellieri sono applicabili a chi, all’epoca della loro introduzione, era già condannato in due gradi di giudizio ad una pena superiore ai due anni di reclusione? Evidentemente no, altrimenti la Giunta del Senato avrebbe dovuto convocarsi all’istante. Probabilmente, si, come buon senso e ragione vorrebbero.

In secondo luogo, quello che è evidente oltre ogni irragionevole dubbio e che l’Italia è al palo e rischia una profonda e lunga crisi politica ed istituzionale a causa di una vicenda privata di Silvio Berlusconi, il cui interesse prevale su qualsiasi altra esigenza o emergenza del Paese.
Lo Stato italiano ha necessità di profonde riforme, se si vuole rendere il bilancio che inviamo a Bruxelles e Francoforte ‘allineato’ con la fotografia di ‘photofinish’ che arriva dal Fiscal Compact e dagli obiettivi – scelti autonomamente dal Governo o imposti dall’Eurozona – che vanno perseguiti.

Chappatte su “Le Temps”, Ginevra

Non solo, dato che l’italia ha necessità – ormai catastroficamente sedimentate – di riformare le regole del Lavoro, della Sanità e della Giustizia, dei finanziamenti all’editoria ed al settore agroalimentare, se vogliamo tentare – in futuro – di governare la spesa pubblica e l’efficienza dei servizi. Molte università andrebbero rifondate, visto il dissesto finanziario in cui alcune sono riuscite, addirittura, ad espandersi, mentre la scuola dovrebbe riformare almeno le Medie – dove servirebbero psicologi e tempi prolungati, ma de facto ferme ai primi anni Settanta – e gli Istituti Tecnici, visto che sono anni che le nostre aziende devono ricorrere a tecnici e periti dell’Est Europa.

Tutto fermo o rinviato a migliore occasione per un uomo di 77 anni, che non rischia il carcere e la cui ineleggibilità era fuori discussione già venti anni fa, essendo proprietario di un impero mediatico? Tutto appeso in attesa che il Partito Democratico irrisolva le proprie beghe interne durante il solito grigio Congresso e che elegga il nuovo segretario e/o il nuovo leader elettorale da bruciare al rogo entro due anni dal mandato?
Tutto confuso, mentre Grillo arringa senza un programma di riforme e di alleanze, senza leader esperti e noti agli italiani da proporre in squadra di governo, senza chiarezza su come mettere mano a 2 miliardi di problemi, ovvero alla spesa pubblica.

Vignetta da The Times

Una situazione determinatasi grazie ad una sola norma, il Porcellum, che Beppe Grillo oggi esalta, mentre ieri era la madre di tutti i mali.
Una norma fatta in modo da garantire maggioranze bulgare alla Camera, per pesare oltre misura sull’elezione presidenziale e sulle autorizzazioni a procedere, ed un Senato minoritario … a meno di non venire a patti con la Lega, visto che il premio di maggioranza è su base regionale e che in Lombardia vive 1/6 degli italiani.

Tutto questo facendo i conti senza l’oste: il Porcellum è costituzionale o no?
E’ una buona idea far saltare un governo a settembre per votare di fretta e furia con il Porcellum (ammesso che il Presidente della Repubblica sciolga le Camere) e per trovarsi con una sentenza di incostituzionalità?
E non è scandaloso che la Magistratura intervenga/venga coinvolta solo dopo un decennio per dare l’alto là ad una legge elettorale che consegna l’Italia alle nomenclature di partito ed al voto di protesta?

It is a bit crazy.

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Liberare le carceri, ma come liberare le città?

14 Giu

“San Basilio, casermoni popolari Ater grigi e pieni di sbarre alle finestre, quasi tutti occupati abusivamente: bordi di periferia assassina nella Roma che rotola addosso al nuovo sindaco Marino. … in questo quadrilatero dell’Ater che è l’assurda periferia orientale della borgata, sessantamila anime e 180 spacciatori agli arresti domiciliari contro appena sedici carabinieri, dove di notte comandano le vedette di quattro bande di trafficanti e le retate cicliche degli uomini in divisa punteggiano una lotta spesso eroica e quasi sempre senza mezzi.
«Noi li pigliamo. Ma il paradosso della detenzione domiciliare consiste nel fatto che gli spacciatori vengono costretti a stare esattamente nel posto dove hanno sempre spacciato: a casa loro», sussurra un investigatore esperto ed esasperato. … Che dietro le occupazioni ci sia il racket è un non detto abbastanza ovvio. Si sente aria di mafia calabrese, ma certi pusher vanno a Scampia a rifornirsi. Il clima da conflitto permanente altera il metro di giudizio … Tutti barricati dentro, eccetto i carabinieri. La serratura del loro portoncino è rotta, ci vorrebbero 390 euro per ripararla, una parola. … ” (Corsera)

“Sconto pena maggiore per liberazione anticipata da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontata. Liberazione anticipata per chi in custodia cautelare ha una pena residua non oltre i 3 anni. Lavoro di pubblica utilità per i tossicodipendenti. Sono alcune delle misure del decreto carceri contenute in una bozza diffusa dall’Ansa e che andrà al prossimo Cdm.
Tra le altre novità, si prevede che quando la pena residua da scontare, computando le detrazioni per buona condotta, non superi i 3 anni, o i 6 per i reati commessi da tossicodipendenti, il pm “trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza” perché provveda “senza ritardo con ordinanza” alla riduzione della pena. Quando questo stesso quadro riguardi la custodia cautelare, si prevede che il pm “trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata”.  Inoltre, scatta la possibilità di sospendere l’esecuzione della pena nei casi di detenzione domiciliare in cui la pena non superi i 4 anni.” (La Repubblica)

Quante persone a piede libero in più avremo tra qualche mese – a San Basilio come altrove – dopo averli condannati a suo tempo per minacce, crimini d’odio, violenza privata, lesioni personali, risse, percosse, spaccio, contrabbando, estorsione, sfruttamento della prostituzione eccetera?
Verranno anche aumentate le pattuglie?

Ma, soprattutto, perchè non prevedete che tutti debbano “essere assegnati all’esecuzione di progetti di pubblica utilità”, non solo i detenuti tossicodipendenti, così – almeno per otto ore al giorno – non possono combinare guai, in base a “programmi aggiornati con frequenza semestrale e trasmessi al magistrato di sorveglianza”? E verranno incrementate le pene per coloro che, ritornati liberi, commettano nuovamente reati nel giro di un anno o due?


Sarebbe un modo semplice, produttivo ed efficace per garantire buoni risultati ad uno sconto di pena, che il governo vuole varare “ai fini della liberazione anticipata per i detenuti che danno prova di partecipare all’opera di rieducazione”.

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Stefano Cucchi, le colpe di tutti

7 Giu

Stefano Cucchi – in data giovedì 15 ottobre 2009, verso le ore 23.30 – viene fermato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti, a Roma, e trovato in possesso di un modesto quantitativo di droga, una ventina di grammi di cocaina e hashish in tutto.

Incredibile a dirsi, ma Stefano Cucchi – tossicodipendente ed epilettico con qualche spicciolo di droga in tasca – viene sottoposto a “custodia cautelare in carcere”, che è la forma più intensa di privazione della libertà personale in tema di misure cautelari.
Una misura, prevista dall’art. 275 del Codice di Procedure Penale, da applicare solamente quando ogni altra misura risulti inadeguata, ovvero solo in tre casi, cioè pericolo di fuga e conseguente sottrazione al processo ed alla eventuale pena, pericolo di reiterazione del reato e pericolo di turbamento delle indagini.

Al momento dell’arresto, il giovane non aveva alcun trauma fisico e pesava 43 chilogrammi per 176 cm di altezz, ma, il giorno dopo,16 ottobre, quando viene processato per direttissima, aveva difficoltà a camminare e a parlare e mostrava inoltre evidenti ematomi agli occhi.
Nonostante la modesta quantità di stupefacenti in suo possesso, la lunga storia di tossicodipendenza, l’epilessia, la denutrizione, il giudice stabilisce una nuova udienza da celebrare qualche settimana dopo e che Stefano Cucchi rimanesse per tutto questo tempo in custodia cautelare nel carcere romano di Regina Coeli.
C’era il sospetto che fosse uno spacciatore, come poi confermatosi grazie alla collaborazione dei genitori, che – dopo la morte del figlio – scoprono e consegnano 925 grammi di hashish e 133 grammi di cocaina, nascosti da Stefano Cucchi in una proprietà di famiglia.

Una scelta, quella della privazione della libertà, decisamente infausta, visto che già dopo l’udienza le condizioni di Cucchi peggiorarono ulteriormente e viene visitato presso l’ambulatorio del palazzo di Giustizia, dove gli vengono riscontrate “lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente” e dove Stefano dichiara “lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori”. Anche all’arrivo in carcere viene sottoposto a visita medica che evidenzia “ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione”.
Trasportato all’ospedale Fatebenefratelli per effettuare ulteriori controlli, viene refertato per lesioni ed ecchimosi alle gambe, all’addome, al torace e al viso, una frattura della mascella,  un’emorragia alla vescica ed  due fratture alla colonna vertebrale.

Un quadro clinico gravissimo ed eloquente per il quale i sanitari chiedono il ricovero che però viene rifiutato dal giovane stesso, che nega di essere stato picchiato.
Stranamente, con una tale prognosi e l’evidenza biomedica di un brutale pestaggio nessuno dei sanitari intervenuti (in tribunale, nel carcere di Regina Coeli, nell’ospedale Fatebenefratelli) sente il dovere di segnalare al drappello ospedaliero ed a un magistrato la cosa, come accadrebbe, viceversa, se a presentarsi al Pronto Soccorso fosse – massacrato e reticente – un qualunque cittadino.

Stefano Cucchi, con un’emorragia alla vescica e due vertebre fratturate, ritorna in carcere. Il giorno dopo, 17 ottobre,  viene nuovamente visitato da due medici di Regina Coeli, trasferito al Fatebenefratelli e poi, all’ospedale Sandro Pertini, nel padiglione destinato ai detenuti.
Lì trascorre altri tre giorni in agonia, arrivando a pesare 37 chili, ai familiari vengono negate visite e notizie, muore ‘per cause naturali’ il 22 ottobre 2009.

Durante le indagini circa le cause della morte, ottenute con grande fatica dalla famiglia anche grazie ad un forte coinvogimento popolare, diversi testimoni confermarono il pestaggio da parte di agenti della polizia penitenziaria. Un testimone ghanese e la detenuta Annamaria Costanzo dichiararono che Stefano Cucchi gli aveva detto d’essere stato picchiato, il detenuto Marco Fabrizi ebbe conferma delle percosse da un agente,  Silvana Cappuccio vide personalmente gli agenti picchiare Cucchi con violenza (fonte Il Messaggero).

“Pestato nei sotterranei del tribunale. Nel corridoio delle celle di sicurezza, prima dell’udienza. Stefano Cucchi è stato scaraventato a terra e, quando era senza difese, colpito con calci e pugni”. L’omicidio preterintenzionale viene contestato a Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici, sospettati dell’aggressione.  (fonte La Repubblica)

Traumi conseguenti alle percosse, che da soli non avrebbero, però, potuto provocare la morte di Stefano Cucchi. Per i quali non si aprono indagini immediate, nè in tribunale quando Cucchi si presenta in quelle condizioni, nè dopo quando rimbalza tra Fatebenefratelli e carcere, informando un magistrato.
Ed infatti, oltre agli agenti di polizia penitenziaria, vengono indagati i medici Aldo Fierro, Stefania Corbi e Rosita Caponnetti che non avrebbero curato adeguatamente il giovane.

Stefano Cucchi muore per il digiuno, la mancata assistenza medica, i danni al fegato e l’emorragia alla vescica che impediva la minzione del giovane (alla morte aveva una vescica che conteneva ben 1400 cc di urina, con risalita del fondo vescicale e compressione delle strutture addominali e toraciche). Determinante fu l’ipoglicemia in cui i medici lo avevano lasciato e tale condizione si sarebbe potuta scongiurare mediante la semplice assunzione di zuccheri.

Un pestaggio in carcere non dovrebbe, ma può accadere, visto che si accomunano uomini privi di libertà con altri dotati di potere assoluto. Che si infierisca con brutalità su un tossicodipendente, epilettico e denutrito è un abominio, non a caso il ministro La Russa espresse “sollievo per i militari mai coinvolti”, riferendosi ai carabinieri che avevano arrestato Stefano Cucchi.

Ma è davvero mostruoso che un malato trascorra la propria agonia in una corsia, dove dovrebbe essere monitorato, nutrito, curato, tutelato senza che nulla di tutto questo accada.
Una colpa gravissima che ricade tutta sui medici preposti e giustamente condannati in prima udienza per omicidio colposo.
Gli agenti di polizia penitenziaria sono stati assolti – in primo grado – dall’accusa di lesioni personali e abuso di autorità con la formula che richiama la vecchia insufficienza di prove.

“Nonostante siano passati 25 anni da quando il nostro Paese ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura e altre pene e trattamenti… inumani e degradanti, ancora nell’ordinamento italiano non è stato introdotto un reato specifico, come richiesto dalla Convenzione, che la sanzioni”. (Irene Testa, segretario dell’associazione radicale Detenuto Ignoto).

Un vuoto legislativo che ci «colloca agli ultimi posti in Europa» denuncia Mauro Palma, presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura. Un buco nero tornato alla ribalta dopo che i pm che indagano sui fatti di Bolzaneto legati al G8 di Genova sono stati costretti a contestare agli indagati solo l’abuso di ufficio. (fonte Corsera)
Una ‘problematica’ che si ripresenta, tra i tanti,  per Stefano Cucchi e per Federico Aldrovandi, per Giuseppe Uva (Varese), per Aldo Bianzino (Perugia), per Marcello Lonzi (Livorno), per Stefano Guidotti (Rebibbia), per Mauro Fedele (Cuneo), per Marco De Simone (Rebibbia), per Marcello Lonzi (Livorno), Habteab Eyasu (Civitavecchia), Manuel Eliantonio (Genova),  Gianluca Frani (Bari), Sotaj Satoj (Lecce), Maria Laurence Savy (Modena), Francesca Caponetto (Messina), Emanuela Fozzi (Rebibbia) e Katiuscia Favero (Castiglione Stiviere).

In effetti, nel 1987 Roma ratificò la convenzione Onu che vieta la tortura, ma in Italia non è mai stata fatta la legge in materia, nonostante già nel dicembre 2006 la bozza di legge era stata approvata alla Camera  e  nel luglio 2007 era stata licenziata dalla Commissione Giustizia del Senato. Intanto, nelle carceri italiane muoiono in media 150 detenuti l’anno: un terzo per suicidio, un terzo per “cause naturali” e la restante parte per “cause da accertare”.

«Avrebbe dovuto approdare in aula nei giorni della crisi ma è stata lasciata morire. È necessario che il prossimo Parlamento metta tra le sue priorità l’approvazione del provvedimento che introduce il reato di tortura in Italia» auspica”. (Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone per i diritti nelle carceri)

Il ‘prossimo parlamento’ c’è e nel Padiglione detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini sembra siano rimasti solo tre medici, visto che i loro colleghi degli altri reparti hanno il diritto di rifiutare il trasferimento, , come accade per tanti altri servizi necessari ai cittadini.

Intanto, prendiamo atto che per Stefano Cucchi un intero ospedale non è riuscito a fornire un cucchiaio di zucchero (meglio una flebo di glucosio), che le lesioni gravi e l’abuso di potere ci sono state, ma non si sa chi le abbia perpetrate e, soprattutto, che nessuno dei medici le ha denunciate.

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Carceri, la realtà dei dati

7 Feb

Gravissime le affermazioni del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in visita al penitenziario milanese di San Vittore:  «È emergenza, avrei firmato amnistia anche dieci volte». Gravissime perchè aprire il fronte dell’amnistia in piena campagna elettorale significa, de facto, parteciparvi.

A parte la forza attrattiva del consensmafia astenutao di migliaia di persone detenute e dei loro familiari – per non parlare delle ombre esistenti su altre elezioni ed altri indulti/amnistie/deregolazioni – il tema si rappresenta ‘di per se’ come un fattore di condizionamento della politica futura e futuribile da parte di un presidente uscente, specie se leggiamo che «bisogna fare tutto quello che è possibile tenendo fermo che, se non si può avere il consenso in Parlamento, non passa». Vale la pena di ricordare che per l’amnistia per decine di migliaia di delinquenti è necessario il consenso popolare, sennò è difficile trovare parlamentari disposti al voto, temendo che, poi, qualcuno degli amministiati vada a far guai proprio nel collegio elettorale di riferimento.

Gravi, comunque, sono le parole del Presidente Napolitano, perchè denunciano le condizioni oggettive, ormai subumane, in cui versano ormai tanti detenuti e, indirettamente, i loro carcerieri, mentre i dati dimostrano una situazione ‘leggermente’ diversa da quella comunemente prospettata, che indica “un’origine dei mali’ piuttosto verosimile che più meritevolmente potrebbe attrarre gli strali del Quirinale.

Secondo recenti statistiche,  i detenuti in Italia sono 67-68.000 su circa 42.000 ‘posti letto, ma circa 11.000 non dormono nè vivono in carcere dato che 7.000 sono in affidamento in prova e 4.000 agli arresti domiciliari. L’esubero di detenuti è, dunque, di circa 15.000 persone: un detenuto in più ogni 5-6 già in cella, senza detrarre quanti sono in infermeria od in viaggio.

Di questi detenuti 24.908 sono stranieri e ne sarebbero espellibili forse anche la metà, se esistessero degli accordi per assicurare la loro detenzione nei paesi d’origine. Come anche, se i Comuni garantissero dei congrui ed efficienti servizi sociali si potrebbero estendere alcuni benefici a parte dei 10.000 detenuti con pene residuali inferiori ai tre anni.
Peccato che molti di questi (27.345  al 31 dicembre 2008) siano spesso delinquenti abituali, cioè hanno commesso almeno un reato contro il patrimonio (furti, rapine, truffe) o contro la pubblica amministrazione, ma è anche vero che ben 8.652 persone erano detenute nel 2008 per violazioni di leggi sulle armi, per le quali si potrebbero spesso prevedere misure detentive diverse dal carcere.

Inoltre, il fatto che oltre 26.000 detenuti siano tossicodipendenti e che siano oltre 23.000 gli ‘spacciatori’, tra i quali non è noto quanti siano semplici possessori, conclama il dato fallimentare della Legge Giovannardi-Fini. Le Carte dei Diritti che l’Italia ha sottoscritto a livello internazionale comportano la necessità di garantire adeguati assistenza  sanitaria per tutti e valido supporto psicoterapeutico per chi voglia superare la dipendenza.
Cose che possono essere fatte meglio e con minori costi non incarcerando i drogati, piuttosto che sovraffollando le carceri e trasformandole in una sorta di girone dei dannati dalle mille lingue parlate e dai cento desideri osceni. Tra l’altro, il consumo di cannabis in Olanda è quasi la metà che in Italia e Spagna ed almeno questo dovrebbe far riflettere.

In poche parole, almeno diecimila stranieri potrebbero essere detenuti a casa loro se l’Italia trovasse un accordo con i loro paesi d’origine, quasi il doppio dei detenuti non sarebbero mai entrati in carcere se l’italia avesse leggi sulle droghe e sulle armi simili a quelle degli altri paesi europei.

Inoltre, solo il 3% dei detenuti è impiegato in qualche attività lavorativa esterna, mentre solo il 24% lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, mentre, nel 2009, i corsi professionali hanno coinvolto solo il 13,3% dei detenuti. Che il carcere abbia finalità formative e riabilitative appare come una mera chimera e, di sicuro, l’ozio in cui è lasciato il 63% dei detenuti è del tutto inaccettabile agli occhi di chi paga le tasse, specialmente sapendo che tra i detenuti improduttivi sono quasi 20.000 quelli che hanno commesso reati sessuali, omicidi e sequestri, ovvero sono inviati ai ‘lavori forzati’ in gran parte dei paesi civilizzati.

Riguardo i ben 37.300 detenuti (55,32%) in attesa di condanna definitiva, contro una media europea del 25%, sarebbe interessante sapere se, poi, sono stati condannati – chiedendosi se non si poteva fare prima – o, caso mai ed in che misura, siano stati assolti – chiedendoci perchè avevamo imprigionato un innocente per mesi ed anni.

Numeri allarmanti arrivano riguardo il numero di detenuti per reati contro la pubblica amministrazione (appena 6.151), per associazione mafiosa con poco più di 5.200 reclusi: è evidente, agli occhi di tutti, che sia impossibile, in un paese conciato come il nostro, che siano così pochi i criminali assicurati alla giustizia e condannati per i crimini che generano maggiore degrado sociale.

Come anche, con tutto quello che è accaduto nel nostro paese durante gli Anni di Piombo e durante la lotta alla Mafia ed alla Ndragheta, con stragi e delitti efferati, è incredibile che gli ergastolani siano solo 1.357.

Lo spaccato che ne viene dai dati è molto chiaro: almeno un terzo degli attuali detenuti non dovrebbe essere lì, grazie a leggi e soluzioni più civili e pragmatiche, e serve spazio per i tanti attualmente a piede libero, non perseguiti od ignoti dalla legge, che continuano a commettere reati gravi da mafiosi o come pubblici impiegati.

Dunque, se il nostro Presidente della Repubblica vuole davvero sanare l’avvilente situazione dei detenuti delle carceri italiane, lasci perdere un’impopolare amnistia e solleciti una depenalizzazione per l’immigrazione irregolare ed il possesso/consumo di stupefacenti, oltre che degli accordi internazionali, che permettano il rimpatrio per gli immigrati e l’inserimento comunitario per i tossicodipendenti che lo richiedano, ed un maggior rigore ed efficacia contro le mafie ed i corrotti.
Altrimenti, son lacrime da coccodrillo.

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Tortura: se ne riparla l’anno che verrà

5 Ott

Sta per arrivare al vaglio del Sentao il testo di legge prodotto dalla Commissione Giustizia per introdurre nell’ordinamento italiano il reato di tortura.

Una carenza ingiustificabile per un paese civile che però non gode dell’interesse dei media e della Politica, di conseguenza, il dibattito finora svoltosi è passato del tutto inosservato.

Tortura, un atto spregevole che riguarda – nell’accezione comune – un mondo che non vogliamo conoscere, dato che è lì che ogni società seppellisce la propria ‘cattiva coscienza’:  detenuti e carcerieri.

Un reato che ogni democrazia deve necessariamente andare a qualificare, se vuo chiamarsi tale, dato che lo Stato si fonda primariamente sul monopolio della violenza, resa lecita e normata dalle leggi.

Un problema ‘italiano’ se, circa due anni fa, ad pochi mesi le condanne in appello per i fatti di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001, il nostro ambasciatore all’ONU ebbe a dichiarare che l’Italia non aveva bisogno di una legge ad hoc sulla tortura.

Oggi, nel nuovo testo, il reato di tortura non è più un reato specifico delle forze di sicurezza. E’ vero che negli altri paesi la nozione di reato è direttamente correlata alle forze di polizia, ma sarebbe riduttivo non prevederlo anche per eventuali milizie e mafie, ovvero qualsiasi cittadino.

Purtroppo, la Commissione Giustizia ha ritenuto opportuno che il reato di tortura sia prescrivibile, contro ogni logica, visto che non lo è per tutte le corti internazionali. In sede di approvazione, si spera che qualche emendamento ribadisca l’imprescrivibilità di un reato che è, per gravità e dimensione psicologica del’azione, giusto un millimetro al di sotto dell’omicidio volontario premeditato. Forse, anche molto oltre l’assassinio, se guardiamo l’efferratezza.

Dulcis in fundo, a differenza di tante nazioni, l’Italia si dimostra ‘consuetudinarimanete taccagna’ con i deboli e non è previsto un fondo per la tutela delle vittime, che portano segni incancellabili delle violenze subite.

Legge migliorabile? Forse, dato che, mercoledì 26 settembre, il Senato ha reinviato il testo in  Commissione del testo.
Certamente, però, si finirà per discuterne tra un anno con la prossima legislatura.

Non resta che chiedersi perchè in Italia (e quasi solo in Italia) dichiarare reato la tortura sembra impossibile. O, meglio, faremmo meglio a chiederci cosa succede od è successo in un passato recente nel nostro paese se esiste questa impossibilità …

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Pasqua: quando la famiglia diventa un carcere …

9 Apr

Il magistrato, nel concedergli gli arresti domiciliari, l’aveva obbligato a convivere con la madre con cui non aveva buoni rapporti.
Dopo aver chiesto di poter cambiare “domicilio”, senza esito, un sorvegliato speciale di Torre Annunziata ha deciso di ritornare in carcere.

Come?
Lanciando una molotov contro un commissariato di pubblica sicurezza, sempre a Torre Annunziata e facendosi arrestare poco dopo.

Il fatto, accaduto alla vigilia di Pasqua, ha visto Carmine Iervolino, di 43 anni, con precedenti per rapina, estorsione, ricettazione e spaccio di droga, che si era recato al commissariato di zona per i problemi di convivenza insorti con la madre e per cambiare domicilio, cosa per la quale è necessaria un’istanza all’ Autorità giudiziaria.

Messo dinanzi alla contingente necessità di soggiornare ancora con la propria mamma e di doverlo fare propria a Pasqua, Carmine non ha esitato un minuto e, procuratasi della benzina, poco dopo, verso le 21, ha lanciato una bottiglia molotov in bella vista delle telecamere di sorveglianza del commissariato.

Il pressochè immediato arresto, avvenuto poco dopo in corso Umberto, ha reso possibile che il desiderio di Carmine Iervolino si avverasse, trascorrendo la Santa Pasqua lontano dalla madre e con le persone che abitualmente frequenta: poliziotti e delinquenti.

Molto probabilmente, gli altri detenuti avrebbero dato “non so che cosa” per esser fuori, in famiglia, almeno a Pasqua, ma la situazione di Carmine deve essere davvero terribile,  se, con una Torre Annunziata “così” preferisca stare al carcere di Poggioreale …

foto pubblicata su Giornalettismo da Luca Scialò

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Il lato oscuro del garantismo

19 Gen

Per “garantismo” si intende comunemente l’insieme delle garanzie previste a tutela delle libertà individuali e di gruppo contro il possibile arbitrio dell’autorità. Sono garantiste, ad esempio, le norme italiane inerenti la libertà di opinione e di culto, come lo è il Secondo Emendamento della costituzione statunitense.
Il concetto di “garantismo” si traspone nel processo penale per quello che riguarda l’arresto, l’istruttoria, la custodia cautelare in carcere, i diritti della difesa.

In Italia, però ha attecchito un “garantismo” piuttosto difficile da classificare, che alcuni esempi possono ben evidenziare.

Ad esempio, non è giusto che una persona trascorra troppo tempo in carcere prima della sentenza definitiva, su questo tutti sono d’accordo.  In tal caso, “garantismo” significherebbe prevedere una procedura abbrevi i tempi e solo in casi eccezionali dovrebbe permettere che l’imputato, in attesa di giudizio, si ritrovi a trascorrere anni agli arresti domiciliari, cioè a casa.

Ed, infatti, la cosa ci apparrebbe affatto o poco garantista (anche le vittime ed i parenti hanno i loro diritti), se, per tutelare un colpevole “dall’arbitrio dell’autorità” ed assicurargli diritti di difesa pressochè illimitati, andasse a finire che trascorra buona parte se non tutta la pena tra arresti domiciliari, prima della sentenza, e libertà condizionata per un terzo della condanna.

Come anche, siamo tutti d’accordo che la libertà condizionata è un aspetto essenziale della “riabilitazione” del detenuto. Una riabilitazione che, però, deve aver già dato i suoi segni durante la detenzione, una “buona condotta” che non può essere solo “il non aver dato problemi”, ma che già avrebbe dovuto mostrare ravvedimento e impegno nello studio e nel lavoro.

Una “detenzione garantista” dovrebbe, dunque, liberare sulla parola solo coloro che hanno gia iniziato a “cambiare vita”, magari conseguendo un diploma od imparando un mestiere.

Questo, sostanzialmente, il garantismo “non garantismo” che conosciamo tutti.

Dall’investore folle e fuggiasco, che “non essendoci pericolo di fuga” dopo tre giorni torna a casa, allo stupratore di Capodanno, che “non è pericoloso” perchè ha stragiurato che non lo farà più, al comandante Schettino “agli arresti domiciliari” per abbandono di nave (… che più fuga di così non si può), mentre tutto il mondo l’ha già giudicato in base alle sue frasi, per finire ad Er Pelliccia, certamente ravvedutosi, ma autore di una “giornata di ordinaria follia”.

Tutte persone che verrano sicuramente condanante e che sconteranno buona parte, se non tutta, la pena con l’unico fastidio di qualche firma in caserma e delle “visite” improvvise dell’agente incaricato.

Come abbiano fatto i parlamenti succedutisi nell’arco di 30 anni – tutto inizia con la Legge Gozzini – a votare ed assemblare una cosa del genere è un mistero.

E’ incredibile che il nostro diritto non preveda il processo per direttissima per l’abbandono di nave, per un reo confesso di stupro, per l’autore di devastazioni in mondovisione, per il pirata della strada.

E, visto che “a tutto ci pensa Mario Monti”, i nostri parlamentari potrebbero anche provvedere a questa lacuna, legiferando, visto che lo “stipendio”, noi italiani in “un mare di guai”, stiamo continuando a saldarlo a fine mese.

Avrebbero anche qualcosa, una legge, di cui discutere a Ballarò … che lo share traballa.

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