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Tagli alla Rai, Grillo contro Renzi. Ma c’è qualcosa da sapere

19 Mag

Consultando la Guida Rai scopriamo che ha 15 canali televisivi in chiaro e sei radiofonici.
Sono Rai1, Rai2, Rai3, Rai4, Rai5, RaiMovie, RaiPremium, RaiGulp, RaiYoYo, RaiStoria, RaiScuola, RaiNews24, RaiSport1, RaiSport2, Rairadio1, Rairadio2, Rairadio3, Rai Isoradio, Rai GR Parlamento, Raiweradio6, Raiwebradio7, Raiwebradio8.

Ma quella che tutti credono essere la televisione commerciale di Stato italiana è una società per azioni, concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia, i cui rapporti sono regolati da una convenzione triennale che scadrà il 6 maggio 2016. È una delle più grandi aziende di comunicazione d’Europa, il quinto gruppo televisivo del continente a corrispettivo di ampia fascia  della popolazione italiana che vede quasi solo Rai e non ha mai navigato su internet.

Sulla piattaforma digitale terrestre in chiaro, i canali del gruppo Rai ottengono il 6,78% di share, mentre i canali del gruppo Mediaset il 6,51%; nella piattaforma satellitare, invece, Rai quasi ‘scompare’ e i gruppi preferiti sono Discovery (5,43% nelle 24 ore), Sky (4,99%), Fox (1,64%).
Semimonopolista a casa propria, un nano in termini internazionali.

Lo sperato accesso al ‘mondo’ tramite l’upgrade satellitare è venuto meno, in questi vent’anni, per la carenza di una produzione autonoma di cartoon, di documentari, di serie televisive avvincenti, di un reale supporto alla musica italiana, che anche su Youtube ha una presenza ‘povera’.

Radio Televisione Italiana Spa è un’azienda prettamente romana, con sedi in ogni capoluogo di regione e provincia autonoma e un vasto numero di sedi di corrispondenza dall’estero dove lavorano stabilmente diversi giornalisti , ma gran parte dei Centri di produzione televisiva sono nella capitale italiana con le sedi di via Teulada (8 studi) e Saxa Rubra  (14 studi), più i sei Studi Dear, il Teatro delle Vittorie, l’Auditorium del Foro Italico. Società controllate sono Rai Pubblicità, RaiNet, Rai Way, Rai World, Rai Cinema, 01 Distribution; società collegate risultano San Marino RTV, Tivù, Auditel, Euronews.

La corresponsione di una quota del canone televisivo (imposta)  alla Rai Spa da parte del governo in carica dovrebbe essere determinato dal rispetto del Contratto di servizio, che prevede:

  • Articolo 2.3 “La concessionaria è tenuta a realizzare un’offerta complessiva di qualità, rispettosa dell’identità, dei valori e degli ideali diffusi nel Paese, della sensibilità dei telespettatori e della tutela dei minori, rispettosa della figura femminile e della dignità umana, culturale e professionale della donna, caratterizzata da una ampia gamma di contenuti e da una efficienza produttiva”
  • Articolo 3.1 La Rai riconosce come fine strategico e tratto distintivo della missione del servizio pubblico la qualità dell’offerta ed é tenuta a … improntare, nel rispetto della dignità della persona, i contenuti della propria programmazione a criteri di decoro, buon gusto, assenza di volgarità, anche di natura espressiva”
  • Articolo 12.4 “La Rai si impegna affinché la programmazione dedicata ai minori … proponga valori positivi umani e civili, ed assicuri il rispetto della dignità della persona e promuova modelli di riferimento, femminili e maschili, egualitari e non stereotipati”
  • Articolo 13.6 La Rai si impegna a collaborare, con le istituzioni preposte, alla ideazione, realizzazione e diffusione di programmi specifici diretti al contrasto e alla prevenzione della pedofilia, della violenza sui minori e alla  prevenzione delle tossicodipendenze”

Da quello che vediamo da anni in televisione, parlare di pieno rispetto del contratto da parte di Rai spa è davvero difficile.

Ovvio che vada a finire che il bilancio di Radio Televisione Italiana  è una frana, tra inandempienze al contratto e cittadini che si rifiutano dal pagare il canone e tra le folli spese (senza dimenticare lo strabordante organico ed i super-compensi) di quella che è una televisione commerciale con vip, star e tanti lustrini.
Il dato per il 2014 è di 350 milioni di debiti che saranno ripianati con le tasse degli italiani, onde  – soprattutto – evitare all’elefantico apparato radiotelevisivo romano di subire tagli occupazionali e qualche dismissione.

E’ evidente che chiunque voglia un’Italia diversa dall’attuale, voglia anche una televisione pubblica con meno sprechi e meno pubblicità, con programmi adatti ai bambini e a chi voglia apprendere od informarsi, che non trasformi le donne in soubrette sboccate e gli uomini in machos tracotanti, che è non ‘talmente pubblica’ da dover usare troupe esterne persino per le partite di calcio che si giocano a Roma.

Detto questo, sarebbe da capire perchè, se il governo vuol mettere mano a questa annosa e vergognosa questione, arriva Beppe Grillo e ci annuncia che “continua il saccheggio di un bene comune e adesso tocca alle infrastrutture della tv pubblica. … Tutti restano sul vago…”cominceremo solo col vendere un 40% di quote di Raiway…” e poi “faremo un nuovo piano industriale…” e ancora: “anche negli altri paesi si privatizza”, con l’immancabile citazione finale della BBC.”

Bene comune?
Ma se lo stesso Grillo, due mesi fa, strillava all’Ariston di Sanremo che «la Rai è la responsabile del disastro di questo Paese», «La Rai è un servizio pubblico? Vi sembra un servizio pubblico un’azienda che perde 7,8 milioni nel 2010, 7,5 nel 2011 e quasi 5 milioni nel 2012. Adesso la Corte dei Conti ha detto state spendendo troppo, dovete abbassare i costi».

E, poi, sul proprio portale, sotto il titolo #BeppeaSanremo2014, precisava: «Il bilancio della RAI al 31 dicembre 2012 si è chiuso con una perdita di 250 milioni di euro. Il bilancio del 2013 dovrebbe chiudersi con una perdita che sfiora i 400 milioni di euro». «Per il festival di Sanremo in tre edizioni (2010/2011/2012) la Rai ha perso circa 20 milioni di euro».  «In sintesi l’andamento dei costi, risulta ancora nettamente superiore ai ricavi pubblicitari con negativi riflessi sul Mol (margine operativo lordo) aziendale; è necessario pertanto che vengano adottate adeguate iniziative volte a conseguire una più significativa razionalizzazione dei costi».

E quali iniziative se non l’afflusso di nuovi capitali, privatizzando una quota di minoranza di Raiway, e un piano industriale che concentri risorse e potenzialità?

Intanto, prendiamo atto che Beppe Grillo in meno di tre mesi è passato dal considerare la Rai ‘responsabile del disastro di questo paese’ a ‘bene comune’ e … che – anche per quest’anno – la cara tivù ‘italiana’ ci costerà qualche soldo in più del dovuto.

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Fuori dall’Europa, c’è solo l’Italia del declino

19 Mag

L’Italia, nel 2010, era calata all’8° posto per import-export nel mondo, con una quota del 3% a livello globale.
Una potenza mondiale, dirà qualcuno, che ha un peso commerciale tale da potersi permettere una valuta autonoma, una moneta nazionale.

Il punto è che dalla Germania importiamo quasi il 16%, ma esportiamo solo il nostro 11% (pari ad un mero 5,5% se visto come import tedesco), a beneficio delle regioni del Norditalia, ovvero il 13,1% dell’export veneto, il 23,6% dell’export del Piemonte, e il 14% di quello lombardo.
Un export tedesco che è passato, dal 2000 al 2011, dal 33,4 al 50,1% del Pil, grazie alla crescita dell’export verso la Cina Popolare dall’1 a oltre il 6% tra 2000 e 2011, specialmente a discapito dell’Italia.

Aggiungiamo che l’Italia esporta l’11% verso la Francia da cui importa l’8% dei prodotti, cioè è il secondo fornitore commerciale dei francesi, mentre risulta quarto come cliente.
I flussi verso/da gli altri paesi europei dell’Eurozona sono poco rilevanti (entro il 3% del prodotto movimentato dall’Italia, salvo la Spagna al 5-6% di import-export), più interessanti i flussi mercantili verso Gran Bretagna, Svizzera, Stati Uniti, ma messi insieme non vanno oltre il 20% del totale del nostro import-export.

In parole povere, per la Germania siamo commercialmente ininfluenti, ma i loro mercati sono determinanti per il Norditalia, mentre la Francia tutto può permettersi fuorchè un’Italia che vada ad incrementare l’inflazione o la disoccupazione dei francesi.
Per Gran Bretagna e Svizzera, viceversa, un’Italia fuori dall’Eurozona potrebbe non dispiacere affatto, visto che parliamo ancora del secondo paese manifatturiero d’Europa, ma, se Piazza Affari è ormai almeno al 36% di fondi stranieri, c’è davvero da andare cauti.

E’ evidente che uscendo dall’Euro le ripercussioni da parte di Francia e Germania sarebbero significative, come lo sarebbe la fuga dai nostri bond che esploderebbero negli interessi provocando il crollo del nostro debito, mentre sarebbe davvero da capire quanto la Gran Bretagna e altri cointeressati ci attendano a braccia aperte.

La causa dei nostri mali?
Innanzitutto, il rapporto lira-euro che si è rivelato troppo favorevole, cioè ottimo all’inizio e pessimo dopo. Un errore di valutazione di Romano Prodi che ci è costato molto caro.

Poi, c’è il federalismo mai attuato a livello di fiscalità e di servizi, come anche la ristrutturazione del ‘capitalismo di Stato’ (a partire dall’Inps e da Cassa Depositi e Prestiti) e l’innovazione e semplificazione dell’apparato pubblico.  E qui, se la sinistra ha delle resposabilità gravissime, è anche vero che Berlusconi non ha affatto tentatodi fare le riforme che aveva promesso.

Infine, l’insano impulso alla decrescita, al downgrade, che gli italiani dimostrano ogni qual volta ci sia da crescere, da far vanto della propria nazione, di mettersi in gioco con gli altri paesi.
Ad esempio, voler uscire dall’Europa proprio mentre arrivano le ‘moral suasions’ che potrebbero aiutare gli italiani onesti a riportare l’Italia sul binario del futuro.

Pareggiare un bilancio, pagare le pensioni quando promesso, tenere le tasse al minimo possibile, permettere alle comunità locali di organizzare scuola e sanità entro parametri nazionali/europei, avere dei servizi che sostengano e non intralcino le aziende sane, treni e bus puntuali, strade sicure … l’Europa è questo.
Fuori dall’Europa, c’è solo l’Italia che già conosciamo.

Meglio un uovo oggi che una gallina domani? E dopodomani chi farà l’uovo?

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Stalin, Hitler, #vinciamonoi: ecco Grillo e le sue 5S. Appello al voto

18 Mag

Non voto spesso e ritengo che ogni sistema diverso dall’uninominale secco sia deformante e cooptante: a mio modesto avviso, ogni altro sistema elettorale somiglia troppo ad una struttura multilevel alla quale  – festosamente o furiosamente – aderisce chi considera la politica per le ‘parole’ e non per i ‘numeri’, con il presupposto che le parole possano dimostrarsi chiacchiere e fantasie, mentre i numeri corrispondano, viceversa, a fatti e guai reali.

In realtà, siamo convogliati in un sistema ultrasemplificato di bipolarismo, affinchè la maggioranza non sia eterna (vedi Democrazia Cristiana in Italia) ed affinchè l’opposizione sia abbastanza folta e compatta da condizionare il governo ed avvicendarlo.

In parole povere, in condizioni normali ed in qualuque nazione, i veri elettori non sono quel 30% dei votanti ‘fedele alla linea’ – questi determinano SOLO le gerarchie interne dei big di partito – non almeno quanto quel 10% che di volta in volta ‘si sposta’ e quell’altro 20% che mediamente non vota, ma talvolta lo fa. Un altro 10% circa è costituito da astensionisti duri e puri.

In tempi di crisi – è importante saperlo – vanno a cambiare due parametri: una parte degli elettori ‘fedeli alla linea’ si astiene e in minor numero migra verso un altra coalizione od un movimento di protesta, mentre il fronte dell’astensione si incrementa a dismisura.
Il risultato che ne viene dalle urne è paradossale: da un lato le coalizioni dei partiti ‘storici’ subiscono una flessione naturale proporzionale al numero dei ‘fedeli alla linea’ astenuti, dall’altro lato emerge un movimento politico di protesta che – apparentemente – ha la forza per ribaltare il tavolo, ma – in realtà – corrisponde a meno di un sesto dell’elettorato, ovvero  è fortemente minoritario.

E’ un fenomeno che noi italiani dovremmo conoscere bene, vista la nostra storia parlamentare che ha sempre accolto una tale percentuale, tra formazioni estreme di destra e sinistra, Lega e Italia dei Valori, fino alle 5S di oggi.

Piuttosto, sempre la ‘politica dei numeri e dei fatti’ ci racconta che perchè avvenga un effettivo cambiamento deve emergere un movimento politico che attragga tecnici, quadri, bassa dirigenza, media imprenditoria, professionisti, ovvero chi già si occupa di far funzionare le cose, è in grado di valutare cause ed effetti, può articolare proposte con senso ed esperienza.

Dicevo del voto, di quanto sia prezioso e di come possa essere sprecato, perchè stamattina mi son svegliato e … ho trovato l’invasor.

ehila beppe

“Bisogna ringraziarlo Stalin. La guerra contro i nazisti l’ha vinta lui.  Schulz (ndr. il candidato premier socialdemocratico per l’Europa), vedi di andare affanculo…”. “Dicono che io sono Hitler. Ma io non sono Hitler…sono oltre Hitler!” “Se non ci fosse il M5s adesso ci sarebbero i nazisti. Il nostro populismo è la più alta espressione della politica” “La Digos è tutta con noi, la Dia è tutta con noi, i carabinieri pure.”  “Siamo scesi in piazza per vincere e vinceremo queste europee con il 100 per cento”.

Riepilogando, secondo lo stesso comico genovese:

  1. Josip Stalin fu un benerito della Storia,
  2. Beppe Grillo è un ultra-Hitler,
  3. le persone che aderiscono alle 5S sarebbero divenute naziste senza il movimento da lui fondato,
  4. la polizia politica e l’antimafia più i carabinieri sono fidelizzati da un movimento politico.

Stamattina mi son svegliato e (bella Ciao) … ho trovato l’invasor, cos’altro dire?
Poi, però, mi sono ricordato dell’ultima frase di Beppe, un grande comico davvero: “Vinceremo queste europee con il 100 per cento” …

Le 5S non sono in coalizione con altri partiti europei e, grazie a questo, otterranno un minore numero di eletti, in proporzione, rispetto ai partiti che si sono coordinati …
Se c’era un sistema per NON vincere è proprio questo.

E dai media arrivano conferme che fosse uno scherzo anche l’adesione alle 5S delle forze dell’ordine, perchè “le forze dell’ordine non stanno dalla parte di nessun partito o movimento, ma dalla parte delle Istituzioni e della legalità” (Coisp) e perchè “le forze dell’ordine difendono tutti i cittadini a prescindere dal loro orientamento politico e sono il baluardo su cui si fonda la sicurezza della nostra Nazione” (Copasir).

Un gran burlone, quel diavolo di Beppe, che non di rado eccede.
Peccato che – finito lo show – ci sia chi lo prenda per serio anche quando scherza.

 

P.S. Dimenticavo … se c’è chi rievoca Stalin e le SS … ANDATE A VOTARE !!!

leggi anche I sette punti per l’Europa dei Cinque Stelle: oltre il nulla, solo protesta?

leggi anche Cinque Stelle va in Europa: tutti i candidati. Sono credibili?

 

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Spari a Palazzo Chigi, tanti interrogativi

29 Apr

Spari a Palazzo Chigi mentre il governo giura, poteva essere una strage, due carabinieri ed una passante colpiti, uno è gravissimo, l’attentatore, un disoccupato: «Volevo colpire i politici».

Scoppia la polemica tra i partiti e nei talk show.
E’ colpa della Rete, della sopravvalutazione dei social network e dei messaggi di ira popolare che veicolano? E’ colpa della politica, che ha dato per mesi uno spettacolo deprimente? E’ colpa dell’eterna campagna elettorale in cui viviamo da decenni e della demonizzazione dell’avversario?

Probabilmente si, è ‘colpa’ sia dei social network e del labile senso di community che alimentano, è colpa della nostra partitocrazia che non riesce ad evolversi da almeno 20 anni, è colpa del berlusconismo e dell’antiberlusconismo, che hanno monopolizzato sentimenti e soluzioni nazionali.
Ma, in primis, è ‘colpa’ di uno Stato Italiano che è nato 150 anni fa promettendo liberalità e riforme, che non sono mai realizzate ‘per il popolo’, con conseguenti trasformismi, statalismi, clientelismi, populismi, fascismi.

Se in Italia è endemico uno status pre insurrezionale – come attestano da decenni studi, esperti e fatti – la causa non può essere contingente, bensì endemica, come le condizioni in cui è tenuto il Meridione, come l’improduttività della nostra Capitale, come la fatiscenza e l’arroccamento di scuola, sanità ed università, come il sistema del lavoro e delle pensioni che prevede doppi, tripli e quadrupli binari.

Se in Italia vogliamo pervenire, dopo 150 anni, ad una effettiva pacificazione è necessario innanzitutto riaprire la ‘questione meridionale’ e chiudere la ‘questione mafiosa’, con interventi ‘preventivi’ che taglino ‘i mercati del malaffare’, come una legge ‘legalizzante’ sulle sostanze stupefacenti, il commissariamento dei poli logistici e grandi mercati all’ingrosso, una legge sulla prostituzione e sui casinò, l’istituzione di porti franchi.

Se in Italia vogliamo elettori consapevoli e non ‘da bar dello sport’, è necessario maggiore decoro delle istituzioni (leggasi manutenzione ordinaria), più aggiornamento del personale pubblico (leggasi pensionamenti), più istruzione e formazione (leggasi finanziamenti alle scuole e interventi per i minori a rischio).

Un reddito di cittadinanza, letale per il lavoro nero, per il caporalato, fondamentale se vogliamo superare le casse integrazione, le pensioni da fame, i veri invalidi non riconosciuti, gli esodati e le casalinghe, il calo delle nascite, la flessione dei consumi …

Un reddito di cittadinanza che avrebbe dato un minimo di dignità alla vita di Luigi Preiti, un cinquantenne senza il lavoro e senza l’affetto che cercava, senza speranza.

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La Protezione Civile ritorna agli Interni

27 Nov

“Il presidente del Consiglio Mario Monti “lasci la Protezione civile dov’e’, e’ un modello, con buona pace dei denigratori che non sopportano realta’ indipendenti e abituate a parlare chiaro e metterci la faccia, che stanno copiando ovunque nel mondo!”. (Guido Bertolaso, ex capo del Dipartimento della Protezione civile, coinvolto in diversi scandali di corruzione)

Un “modello”, su questo siamo d’accordo tutti, che è costato ben 160.070,00 euro, nel 2009, solo per quanto riguarda la Comunità Montana del Casentino, che ha pubblicato il budget on line (link).
Figuriamoci il resto …

La Protezione Civile gestisce un’enorme quantità di soldi e di piccoli appalti.

Ben venga dunque “la restaurazione del sistema di Protezione civile nell’ambito del Viminale”, come lamenta Bertolaso, e che siano Carabinieri, Vigili del Fuoco e Genio Civile (regionale) ad occuparsi di ciò che gli compete per la sicurezza di tutti.

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Roma inerme: la Mafia è alle porte

24 Nov

Secondo il criminologo Francesco Bruno, «il segnale è inequivocabile: vi è la presenza evidente di una struttura mafiosa a Roma di grosso calibro». Mentre le organizzazioni locali «non sono bande classiche ma vere organizzazioni clandestine».

E Gianni Alemanno conferma che «ci siano o possano esserci contatti tra il grande crimine che ha comprato pezzi di economia romana e che per ora si è limitato al riciclaggio di capitale sporchi e le bande che operano sul territorio nell’ambito per ora del solo controllo dello spaccio della droga».

La ricetta del Ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, è quella che si aspettava da tempo e che Mastella e Maroni avevano negato: più uomini, più mezzi, più controllo del territorio. Speriamo che basti.

Purtroppo, nonostante la gravità del contesto che vede le organizzazioni mafiose impossessarsi sanguinariamente di Roma, il PD romano, per voce di Ileana Argentin, non esita a criminalizzare il Sindaco di Roma, per «aver perso tre anni a minimizzare anche i più evidenti fenomeni di criminalità nella Capitale, sollecitando media e organi di informazione a non dipingere Roma come terra di conquista di organizzazioni malavitose».

Eppure, i “veri” problemi che inficiano la sicurezza di Roma sono di vecchia data.


Innanzitutto, il Lazio accoglie quasi metà dei collaboranti di giustizia esistenti in Italia, se solo una piccola parte di costoro continua a delinquere, a Roma c’è l’equivalente di una cupola.
Inoltre, a causa del rischio di incappare in qualche VIP, i controlli sui locali pubblici sono scarsi e poco incisivi, come lo sono i controlli antialcol ed antidroga all’uscita.
Infine, essendo la Capitale dipendente dagli snodi logistici di Fondi e di Civitavecchia-Gioia Tauro, è improbabile che, tra Veltorni e Storace, si potesse NON prevedere “cosa” si sarebbe impossessato di questi gangli vitali per l’economia locale.

Andando in “profondità”, dobbiamo rilevare che 18 anni di politiche “de sinistra”, dopo quelle cinquantennali del centrodestra democristiano, consegnano alla città:

  • oltre un milione di persone, tra cui poveri ed anziani, ma anche malviventi e sussidiati, che vive in case popolari
  • un livello di istruzione dei maschi adulti spaventosamente basso: circa il 40% degli under50 è non è in possesso di un diploma.

Se parliamo delle case popolari ricordiamo anche che le pertinenze non possono essere pattugliate dalle forze dell’ordine, come sono impattugliabili le borgate totalmente abusive che assediano la città.
Giusto per non mancare, ricordiamo anche che i servizi sociali, notoriamente clientelari e/o esternalizzati, non sono in grado di organizzare gli interventi (giudiziari e sociali) che servirebbero per l’enorme massa di bulli, persone prive di requisiti e famiglie allo sbando.

Gianni Alemanno passerà alla storia come il “sindaco immobile”, questo è probabilmente nell’essere dei fatti, ma è del tutto errato affrontare il problema “mafia a Roma” come fosse una delle quotidiane sterili polemiche capitoline in cui si “diletta” il nostro Consiglio Comunale.

Come lo è continuare a guardare solo all’immagine, alle clientele ed ai potentati locali senza tentare di “emancipare la suburbia” e di innovare, dopo due millenni, questa città nei servizi come nelle sanzioni.

E’ inconcepibile che in una Capitale circa un quarto della popolazione viva di sussidi o sia assistita in vario modo: la città deve essere produttiva e deve avere abbastanza cittadini in grado di esserlo.

Come anche, a Roma, non possiamo continuare ad amministrare le pene come ai tempi del Papa Re: le carceri devono essere moderne e lontane, altro che Regina Coeli sul Lungotevere, come fosse casa e bottega.

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Alassio, bar vietato ai marocchini. Perchè?

5 Set

Alassio è la città che Ghalfi El Mohammed, immigrato marocchino trentenne, aveva scelto per il suo soggiorno in Italia.
Non aveva scelto il duro, ma onesto lavoro in fabbrica o nei campi, come tanti altri immigrati. Aveva preferito vivere alla giornata grazie a piccoli business illegali.

Ghalfi El Mohammed aveva già avuto a che fare con le forze dell’ordine per vendita di prodotti con marchio contraffatto, spaccio di stupefacenti, ricettazione. Ma non solo: era stato denunciato anche per porto abusivo d’armi e stalking.

Nessuno di questi processi è ancora pervenuto a sentenza definitiva e, pertanto, Ghalfi El Mohammed circolava liberamente per Alassio, spesso abbrutito dalla sua dipendenza, e,comunque, continuando nella sua vita borderline.
Certo, qualcuno avrebbe potuto notare un declino morale ed una escalation criminale, ma questo accade solo nei film e nei paesi diversi dal nostro.

Fatto sta che per l’italiano medio Ghalfi è “un po’ una testa calda”, “tutt’al più un po’ fuori”, ma questo non implica che il costosissmo ed inefficiente welfare si sia occupato del caso. Diamo una marea di soldi alle Onlus, ma non c’è un assistente sociale od un consultorio se si tratta di “una vita da bere”, figurarsi se straniero.
Nè è accaduto, seguendo la strada opposta, che sia stato espulso per “reati contro il soggiorno sul territorio”, anch’essi, sembra, in attesa di giudizio.

Intanto Ghalfi sta sempre peggio e viene denunciato, poche settimane fa, per resistenza durante un controllo contro l’abusivismo commerciale: aveva infatti spintonato e morso due vigili, che gli sequestravano 63 paia di occhiali contraffatti.
Era esasperato, era la quarta volta in una settimana che accadeva, ma non c’era verso di fargli capire che i “tempi d’oro” dei “vu cumprà” erano finiti e che la contraffazione di merci era duramente perseguita, visto che impoverisce il nostro paese.
Neanche si era reso conto della grande clemenza del giudice che gli sospendeva la pena dopo aver patteggiato 6 mesi di reclusione, con la condizionale, come se le altre denunce non esistessero e come se fosse un cittadino italiano od europeo.

Cosa fare? Ritornare in Marocco, evitando guai peggiori, o restare in Italia, in attesa di una dura condanna?
Ghalfi El Mohammed sceglieva la seconda e, nel fine settimana, tornava ad Alassio per vendere merce contraffatta.

Sabato notte, era completamente ubriaco e, mancava solo questa, molesta una ragazza di 21 anni che rientrava a casa dal lavoro presso il bar dei genitori.
Al suo rifiuto, l’aveva afferrata per palpeggiarla, forse stuprarla, e, quando la giovane si era divincolata, l’aveva ferita con un fondo di bottiglia ad un braccio e al collo.
Dopo di che fuggiva via, mentre la gente accorreva e, fortunatemente per lui, veniva rapidamente intercettato da una pattuglia dei carabinieri, quando parenti della vittima e cittadini qualunque stavano per scatenare una caccia all’uomo.

Ghalfi El Mohammed non doveva essere lì. Uno Stato civile non avrebbe permesso che restasse sul proprio territorio, che restasse in libertà, che restasse privo di cure.

Nel bar dove lavorava la vittima, quello di proprietà dei genitori, da oggi, c’è un cartello: “Vietato l’ingresso ai marocchini”. Sarà razzismo, ma cosa dire all’accorata madre che campeggia dal bancone, a caldo, dopo quello che è accaduto alla figlia?

E poi, perchè solo i marocchini? Al posto loro, vista la storia di Ghalfi El Mohammed, io ce l’avrei con gli italiani tutti.

Mafia: dopo la Lombardia, il Veneto

14 Apr

I carabinieri di Vicenza e dalla Direzione investigativa antimafia di Padova hanno arrestato almeno 29 persone appartenti ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso legata al clan camorristico dei Casalesi, che operava sotto la schermatura della società di recupero crediti Aspide, con sede principale a Padova.
Numerosi gli imprenditori che pagavano i debiti contratti con interessi usurai anche del 180% e che, infine, venivano costretti a cedere la loro attività alla cosca stessa.
Infatti, il “cuore” dell’attività criminale consisteva in una catena di società di intermediazione finanziaria più o meno fittizie finalizzate a coprire fiscalmente sia gli esborsi dei debitori sia gli incassi e le appropriazioni dei malavitosi.

I camorristi veneti avevano messo sotto tiro almeno un centinaio di imprenditori padani e di alcune regioni del centro e del meridione.
In almeno due casi si sono verificati anche sequestri di persona, a scopo di estorsione naturalmente, e, non di rado, il trasferimento di intere quote societarie.

La rilevanza ed il radicamento dell’organizzazione è comprovata dal “volume di affari”, oltre 4 milioni di euro, dall’esistenza di un “gruppo di fuoco” ben armato e dalla destinazione di parte dei “proventi” ai affiliadetenuti in carcere e dei loro familiari.

L’aspetto più riprovevole della vicenda consiste nei diversi casi in cui gli imprenditori taglieggiati si sono trasformati in procacciatori di affari per il clan camorristico, “agganciando” aziende in difficoltà e trascinandole nella tela dal ragno pur di ottenere una dilazione od uno sconto.

Una squallida vicenda che conferma che “tutto il mondo è paese”.