Tag Archives: capitalismo

Ursula von der Leyen e Josep Borrell: due scelte adatte ai tempi di guerra?

10 Apr

Ursula von der Leyen e Josep Borrell sono rispettivamente la Presidente della Commissione UE e l’Alto Commissario per la sicurezza comune UE e se la prima sollecita l’entrata dell’Ucraina nell’Unione, il secondo era fortemente contrario, almeno un mese fa.
Il punto è che ambedue non hanno i poteri per decidere e forse anche di proporre, oltre al fatto che – come vedremo – vennero scelti per un ruolo di ‘speaker’ in un mondo in pace.

Ma se quella di Josep Borrell è una storia che possiamo ritrovare anche nelle cronache demotiche di Atene o Roma, quella di Ursula von der Leyen e dei legami familiari con la Russia, l’Ucraina, gli USA e il Regno Unito è una lunga storia che inizia nel 1700, agli albori dell’industrialesimo, del colonialismo e del capitalismo. E merita di essere conosciuta, dato che è ben nota in Russia e in Cina.

Infatti, parliamo del cotone – l’oro bianco, quello degli schiavi nei campi o in fabbrica – che arrivò in Europa per la prima volta poco prima dell’Anno Mille grazie ai Saraceni che ne sfruttavano la coltivazione nell’Alto Egitto e per molti secoli fu considerato un prodotto di lusso importato dall’India, al pari della seta importata dalla Cina.

Le cose cambiarono a partire dal 1733 quando John Kay inventò la ‘spoletta volante’, un congegno per la tessitura automatica, e soprattutto nel 1769, quando l’inventore britannico Sir Richard Arkwright ideò un sistema meccanizzato per la filatura del cotone in filato, utilizzando più fusi, azionato dall’energia idraulica. I telai erano collegati da pulegge e ingranaggi a una grande ruota di legno, che veniva fatta girare dall’acqua che scorreva attraverso un canale.

A stretto giro, intravista la possibilità di produzione di massa a costi infimi, il Parlamento inglese nel 1774 abrogò l’editto protezionistico del 1700 che vietava l’uso di tutte le stoffe di cotone colorate e venne autorizzata in Inghilterra la stampa su tessuti di cotone.

Nel 1784, l’Indian Act britannico concedeva ai governatori generali della Compagnia delle Indie la facoltà di agire in nome del governo di Londra nella loro espansione in India, dove il cotone era autoctono. Contestualmente, il 1792 fu l’anno di massima espansione delle piantagioni nelle colonie americane dove si coltivava un cotone locale.

Così nacquero in un colpo solo l’industrialesimo, il capitalismo e il colonialismo.

Giusto un paio di generazioni e nasceva anche il consumismo: nel 1858, quando Sir William Henry Perkin, direttore del Royal College of Chemistry di Londra, brevettò il primo colorante sintetico tessile derivato dal catrame di carbon fossile (un violetto brillante). Quattro anni dopo, all’Esposizione universale che si tenne a Londra nel 1862, erano esposti molti tessuti tinti con le nuove sostanze coloranti di sintesi.

Fu un secolo di grandi arricchimenti familiari, durante il quale etnie e comunità intere vennero fagocitate da questa ‘corsa all’oro’ bianco. Tra queste famiglie quella di Johann Andreas Frerichs e Johann Heinrich Frerichs, due mercanti di Brema che si stabilirono a Manchester, che all’epoca aveva il soprannome di ‘Cottonopolis’ e fondarono l’industria manifatturiera De Jersey & Co.

Nel 1840 De Jersey & Co. inviò a San Pietroburgo Ludwig Knoop, che successivamente ebbe il compito di fondare una propria azienda affiliata, L. Knoop & Co., in collaborazione con Platt Brothers, un’azienda con sede a Oldham che produceva macchine per la filatura del cotone.

Questo avvenne nel 1852, quando Knoop costruì in Estonia (all’epoca russa) 187 mulini ad acqua, mentre – però – le filande “a vapore” iniziavano ad affermarsi questo comportò un ritardo nello sviluppo industriale estone-russo, anche perché faceva affidamento esclusivamente su macchinari inglesi e su manager, tecnici e supervisori inglesi per i quali erano previste una copertura sanitaria, abitazioni, asili nido e scuole, cosa decisamente innovativa per l’epoca.

Pochi anni dopo, dal 1861 in poi la Guerra Civile Americana bloccò produzione ed esportazioni di cotone verso l’Europa, e lo zar decise che gli odierni Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan venissero destinati alla produzione intensiva dell’oro bianco.

Così iniziò la diaspora degli ucraini che più o meno volontariamente si trasferirono nelle provincie asiatiche, rappresentate dall’intelligencija come un ‘Eldorado’ per coloni in cerca di ‘terra e libertà’. Solo in Siberia tra 1860 e 1916, si insediarono oltre 260.000 persone provenienti dall’Ucraina, tra cosacchi arruolati nell’esercito e coloni attratti dalla promessa di terre gratuite. .

Per i risultati ottenuti nel settore cotonifero, nel 1877 Alessandro II conferì il titolo di Barone dell’impero russo a Ludwig Knoop, che visse fino all’età di 73 anni, morendo nel 1894 a Brema. Otto anni dopo, nel 1902, suo nipote Carl Albrecht – erede non solo del lascito Knoop, ma anche della Johann Lange Wwe. & Co. , compagnia di navigazione e casa commerciale dal 1642 – sposò l’americana Mary Ladson Robertson, sorella maggiore del mercante di cotone Edward T. Robertson.

Mary Ladson era discendente del più grande commerciante di schiavi nelle Tredici Colonie, Joseph Wragg, un capitano di navi negriere nato a Chesterfield, e del principale proprietario di piantagioni con centinaia di schiavi nel XVIII e XIX secolo, John Ladson, un quacchero di Brigstock arrivato in Carolina nel 1679 dalle Barbados, dove si era arricchito e dove l’epoca dei bucanieri era ormai in declino.

L’influsso della famiglia Knoop-Albrecht-Ladson sull’industria del cotone, che come abbiamo visto è all’origine del nostro sistema legale, produttivo, occupazionale, commerciale e diplomatico che su di essa andò a costituirsi nell’Ottocento arriva fino alla moda e agli stili di vita.

Infatti, Sarah Reeve Ladson (1790-1866) fu un’icona di stile americano. Era considerata una delle donne americane più alla moda del suo tempo ed è stata oggetto di vari ritratti e sculture. Nel 2015, Maurie D. McInnis, storica dell’arte, ha sottolineato che la Ladson “faceva riferimento visivamente al gusto delle schiave intorno alle quali era stata cresciuta” con il turbante e i colori vivaci, come nel suo ritratto dipinto da Thomas Sully e come, tra le tante, Frida Khalo.

Anche se la Carolina del sud si colloca stabilmente come il 46° stato per PIL pro capite, la famiglia Ladson ha numerosi discendenti che hanno un ruolo importante sia nella società americana – uomini d’affari, avvocati e politici – sia in Germania – filantropi, direttori d’orchestra e politici.

Anche Ursula von der Leyen (nata Albrecht) è una discendente della famiglia Ladson e, come studentessa di economia alla London School of Economics alla fine degli anni ’70, ha vissuto nel Regno Unito sotto il nome di Rose Ladson, come ha confermato nel 2015 durante l’intervista “Mehr gelebt als studiert” rilasciata alla rivista Zeit. Nel 1986 ha sposato un discendente della famiglia di mercanti di seta von der Leyen, oggi direttore dell’azienda biotecnologica statunitense Orgenesis, specializzata in terapie cellulari e geniche.

Detto questo, c’è l’Huffington Post che 3 anni fa raccontava a noi italiani dei vari scandali che avevano agitato l’opinone pubblica tedesca quando Ursula von der Leyen era ministra tedesca alla Difesa, a proposito delle “consulenze per centinaia di milioni di euro e dell violazioni delle disposizioni a tutela della corretta aggiudicazione dei contratti”, della nomina dell’ex sottosegretaria agli armamenti Katrin Suder, ex consulente della statunitense Accenture, assegnataria di “contratti milionari dal 2014 in poi, secondo la Corte dei conti federale senza gara e in barba alle norme sulla concorrenza“, della Gorch Fock, la nave scuola della marina militare tedesca varata nel 1958, “il cui costo iniziale di ripristino era di dieci milioni, ma è esploso a135 milioni”, delle accuse di “plagio per la sua tesi di specializzazione in ginecologia all’Università di Hannover nel 1991” piena zeppa di citazioni non indicate, per la quale il senato accademico dell’Università riconosceva che “sono stati riscontrati degli errori”, del “personale tedesco di stanza in Lituania in una missione Nato per scoraggiare eventuali aggressioni russe che utilizza cellulari non schermati a causa della mancanza di apparecchiature radio sicure“.
Ancora peggiore è il bilancio della ‘sua’ Bundeswehr descritto a chiare lettere dall’Agenzia AGI tre anni fa (link), che certamente conoscono i vari Erdogan, Putin, Zelenskij, Biden, Xi Jinping eccetera.

Infatti, Ursula von Leyen è dal 2019 presidente della Commissione Europea, che «assicura la rappresentanza esterna dell’Unione», ma «fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune», che è di competenza dell’economista catalano Josep Borrell, del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) ed Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che «guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea» e l’attua «in qualità di mandatario del Consiglio dell’Unione europea». 

Del resto, da tempo sia dagli avversari politici sia all’interno della Cdu sia gli alleati Nato avevano contestato la gestione delle forze armate tedesche da parte del suo ministero, accusandola di aver “fatto poco per migliorare le condizioni di un esercito logorato, in carenza di mezzi, equipaggiamenti e uomini, sottofinanziato“.  

E proprio ieri Josep Borrell ha escluso  qualsiasi ipotesi di “mediazione” europea tra Mosca e Kiev: “Torno con una lista di armi di cui gli ucraini hanno bisogno. E noi la seguiremo”, dopo che da oltre un mese insiste per sanzioni sempre più dure, visto come è stato trattato nella sua visita a Mosca.

In effetti, Josep Borrell è abbastanza noto persino alle cronache italiane, come presidente dell’Istituto Universitario Europeo, l’ente di studio e di ricerca finanziato dall’Unione europea con sede a San Domenico di Fiesole, in provincia di Firenze, in quanto dopo un anno circa (2012) dovette lasciare l’incarico, perchè “una inchiesta di El Pais rivelò che durante la presidenza dell’eccellenza accademica dell’Ue continuava a percepire 300mila euro di compensi all’anno come membro del Cda della società spagnola Abengoa, che si occupava di energie rinnovabili.

Borrell “si assunse la responsabilità, parlando di “errore procedurale” e di una “leggerezza”. Nel 2015 si è poi dimesso anche dal consiglio di amministrazione di  Abengoa poco prima che l’azienda annunciasse bancarotta.”Nel 2018 è stato multato per 30mila euro per insider trading dopo aver venduto diecimila azioni del gruppo per conto terzi”  (fonte Huffington Post) e dall’anno successivo il Parlamento europeo l’ha messo alla guida della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea.
Del resto, perchè no: negli ultimi 30 anni, il PSOE stesso si è distinto per una serie pressoché ininterrotta di reati finanziari e abusi amministrativi, come … certamente sanno sia a Mosca, ma anche a Bruxelles, Washington e Ucraina.

Va da se che la Spagna è con la Germania il paese europeo che meno spende per la Difesa in proporzione al PIL e, se la seconda per decenni è stata governata dalla CDU di von del Leyen, la prima lo è stata dal PSOE di Borrell, ambedue partiti oggi riconosciutamente poco lungimiranti.

La prima domanda è facile: oggi, nella situazione in cui si trova l’Europa, il Parlamento UE sceglierebbe proprio Ursula von der Leyen e Josep Borrell per rappresentarci tutti ufficialmente nelle relazioni internazionali?
La seconda un po’ meno: non un’eccessiva semplificazione quella di risolvere la rappresentatività europea (in tempo di pace …) nominando come ‘speaker’ la “meglio nobiltà” atlantica ed il “lìder obrero” di turno?

Demata

Vivere nella Crisi

5 Lug

La prima volta che ci dissero che arrivava la Fine del Mondo era agli inizi dei Settanta: crisi petrolifera, domeniche a piedi, benzina razionata, ma dopo un po’ iniziarono a vendere le Fiat 127 agli operai.
Lo chiamarono capitalismo postindustriale, la bacchetta magica, wow!

La seconda fu pochi anni dopo: era il 1977 e fu annunciato che non c’era abbastanza posto per noi, nati nei Cinquanta: li chiamarono sacrifici, ma eravamo noi ragazzi i martiri.
Non loro, oggi come ieri.

Poi, fu la volta del 1982. Arriva Reagan, impera Tatcher e, di nuovo, la crisi incombeva. Stavolta era il Welfare a fare acqua. E così accadde che per stare meglio, ci tolsero quello che serviva per non stare peggio: formazione, politiche per le famiglie, meritocrazia.
Dopo di che incominciammo ad affastellare esistenze ai bordi delle città e le periferie diventarono una giungla d’asfalto.

Dieci anni dopo circa, un’altra mattanza. La colpa, questa volta, era delle Tigri Asiatiche e degli speculatori delle casse rurali USA. In realtà, era caduto il Muro di Berlino e s’era aperto il serraglio del Caos. Il problema si risolse iniziando a mettere all’asta CdA e cariche pubbliche; le mafie e le lobby gradirono e approfittarono.
Finì che i migliori andarono in esilio o si ritirarono progressivamente in buon ordine.

E poi accadde di restar fermi nel pantano per 20 anni con due tizi in TV – uno pelato e l’altro occhialuto – a catalizzare il (pseudo)dibattito economico e politico. Prevalsero i comici e gli imbonitori da talk show: ad ognuno la sua professione, o no?
No. La gente confuse i comici per politici e la politica per una comica: frittata fatta.

Ed oggi si presentano con l’ennesimo Armageddon, un’altra Apocalisse, come se potesse ancora farci paura e come se non sapessimo che a noi ‘nati dopo il 1955’ tocca solo lavorare – se possibile – e pagare le tasse.
La pensione? I giovani? Si vedrà …

Ritornando all’inizio della storia, a quegli Anni Settanta, non resta che chiedersi cosa ci abbiamo guadagnato da tutta questa ‘crescita’ e dalla sopportazione che abbiamo dimostrato. L’aspettativa in vita?

… ma solo a patto che la Sanità funzioni e, soprattutto, che sia una vita che valga la pena di essere vissuta.

originale postato su demata

Socialismo e capitalismo: un laboratorio letale

18 Giu

L’Istituto Ludwig Von Mises ha pubblicato, oggi, una lunga ed accurata analisi (link) di Gary North, riguardo la comprovata velleiterietà delle idee socialiste, avverse alla proprietà privata e assertrici di una governance condivisa.

Nulla di più vero di quanto descritto nel testo, ovvero che ‘la natura del fallimento del socialismo non viene insegnata nei libri di testo universitari. L’argomento viene sorvolato ove possibile‘ e che ‘ il mondo accademico è impegnato ufficialmente con l’empirismo. Pensa che i test statistici debbano confermare la teoria. I  test sono andati avanti per decenni. Le economie socialiste li hanno falliti e poi hanno pubblicato false statistiche. Ma gli intellettuali dell’Occidente insistevano ancora sul fatto che l’ideale socialista era moralmente sano. Insistevano che i risultati alla fine avrebbero dimostrato che la teoria era giusta‘.

Dunque, acclarato che il socialismo è una dottrina economica e sociale ‘campata per aria’ – come quasi 100 anni di statistiche dimostrano – varrebbe la pena di capire se la tanto somigliante democrazia non sia altrettanto o peggio nociva, ma soprattutto, sarebbe bello verificare se il capitalismo funzioni.

Argomenti troppo complessi per un post su un blog, ma anche troppo importanti per poter essere elusi.

Così, giusto per contribuire al dibattito, potremmo iniziare a notare che le democrazie che ‘funzionano’ sono tutte o quasi delle monarchie costituzionali  e, se non lo sono, il sistema prevede un presidenzialismo od un premierato ‘forte’.

In poche parole, in uno stato come la Germania, i ‘decisori’ effettivi – per oltre 80 milioni di cittadini – non sono più di 200 persone: chiamarla democrazia è davvero difficile, specialmente se i ‘decisori’ provengono dagli stessi ambienti sociali, dalle stesse scuole, dalle stesse università. Oligarchia, dunque, ed anche più ‘restricted’ di quella che possiamo trovare in Inghilterra, Olanda, Belgio, Svezia, Norvegia, Spagna dove esistono dei monarchi con le loro corti ed i loro possedimenti.

Molto deludente, non c’è che dire, e non abbiamo toccato il dolentissimo tasto ‘cleptocrazia’.

Andando al Capitalismo, anche in questo caso è evidente che non funzioni.

Infatti, quello che abbiamo davanti non è quell’intreccio di investimenti e risorse tecniche – di cui parlava Arturo Labriola – che trae economicità e conformità dalla produzione di massa in grandi complessi industriali grazie alla creazione di una ‘klasse’ di nuovi lavoratori, gli operai.

Oggi, il capitalismo è delocalizzazione industriale (selvaggia) ed a bassa specificità, speculazione finanziaria e volatilità monetaria, aggressione sempre più vorace delle risorse naturali (non rinnovabili). Un sistema che si regge sugli enormi flussi finanziari del riciclaggio (specialmente russo) e delle tangenti (appalti e non solo).

Basti dire che, ormai, quasi tutte le banche nazionali sono di proprietà degli investitori. Una moneta ‘di mercato’, ancor meno preziosa (dopo oro ed argento) della carta: digitale, immateriale.

Un sistema che si basa sull’accettazione da parte degli individui di compartimentare la propria esistenza e la propria quotidianità in funzione del lavoro e dei consumi che gli vengono concessi, quasi esclusivamente, in base alle ‘etnie’ (origini sociali) ed agli ‘stili di vita’, per come vengono resi disponibili e/o di quanto sono accettati dal ‘sistema’.

Ed in un capitalismo – come in un socialismo, del resto – vincono sempre i ‘predestinati’. Anche questo è un dato.

Dunque, parafrasando Gary North, chiedo “qual è il più longevo esperimento capitalista di successo? Se qualcuno vi chiedesse di controbattere l’idea secondo cui il capitalismo ha fallito, che cosa offriste come vostro esempio?”

Mises credeva che la bontà dei risultati stesse nelle ricette e non bisognasse “provare per credere”. Se si aggiunge sale invece di zucchero, non sarà dolce. Ma il mondo accademico è impegnato ufficialmente con l’empirismo.”

Arturo Labriola considerava capitalismo, industrialesimo e socialismo come tre effetti di uno stesso processo, che – fatta salva l’aspettativa di vita – in questi ultimi 100 anni ci ha sottoposto a guerre mondiali, terrori e terrorismi, inquinamento e devastazioni, cospirazioni e speculazioni finanziarie, cleptocrazie, sistemi totalitari, mafie, narcomafie e chi più ne ha più ne metta.
Un sistema che non riguarda il ‘sud del mondo’ che, come la Storia dimostra, è considerato come una sorta di serbatoio, se va bene, ed una specie di sentina, se va male.

Ben venga, allora, l’empirismo e che i nostri ‘professori’ – statistiche alla mano – prendano atto del disastro e cambino rotta: il mondo non può continuare a ‘crescere’ e, senza ‘crescita’, niente mercati e niente economia di mercato …

Tutto sbagliato, tutto da rifare.

originale postato su demata