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Prodi presidente? Tanti motivi per dire di no

15 Dic

Fassina nel salotto buono di Lilli Gruber sostiene la candidadura di Romano Prodi, come sostituto di Giorgio Napolitano; Giachetti, un’ora dopo, reesta possibilista.

Eppure di motivi (ottimi) per escludere una ‘presidenza Prodi’ ce ne sono. In un altro post si raccontava la sua biografia estesa, ricordiamo in pochi punti perchè proprio sarebbe inopinabile una tale candidatura.

Romano Prodi, al suo primo incarico manageriale nei primi Anni ’70 come presidente della Maserati e della società nautica Callegari e Ghigi, due imprese in difficoltà gestite dall’istituto finanziario pubblico GEPI, fu ‘de facto’ l’inventore della famigerata ‘cassa integrazione’. Una vicenda di cui scriveva Adriano Bonafede (Miliardi nel pozzo Gepi, La Repubblica, 8 gennaio 1988), raccontando che “a posteriori è possibile attribuire a GEPI un notevole ruolo nello sperpero di risorse pubbliche e nel ritardo infrastrutturale italiano, dato che  solamente per la Innocenti, nel decennio tra il 1976 e il 1986, erogò contributi per l’astronomica cifra di 185 miliardi di Lire.

Nel 1982, Romano Prodi ottenne la presidenza dell’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, dove verrà successivamenre richiamato nel 1993: la produzione e la capacità manifatturiera del Meridione venne dimezzata,  dismettendo ben 29 pregiate aziende del gruppo, tra le quali l’Alfa Romeo, Finsider e Italsider, Italstat e Stet, Banca Commerciale, Rai, Alitalia, Sme, con drammatici tagli occupazionali gestiti tramite generosi prepensionamenti, che ancora oggi gravano sul nostro PIL,  azzerando le attività portuali ed industriali di una città come Napoli e provocando il crash del Banco di Napoli, con lo stop degli interventi straordinari nel Mezzogiorno e la canalizzazione su banche settentrionali dei fondi europei.

Come Presidente del Consiglio, Romano Prodi è stato artefice dell’entrata nell’Euro e dell’adeguamento delle pensioni in Lire, che oggi si sono rivelati disastrosi. Inoltre i suoi governi hanno promulgato le quattro norme sulla Sanità che oggi – anni dopo – si conclamano incapaci sia di contenere gli sprechi sia di incidere sulla malasanità sia garantire trasaprenza come sanno i cittadini delle Regioni con Irperf maggiorata. A Romano Prodi dobbiamo anche ascrivere la blindatura dei contratti di lavoro del pubblico impiego, nel 2007, e le norme che hanno causato /permesso il vero e proprio saccheggio che le casse previdenziali ex Inpdap hanno subito prima di essere fagocitate dal Inps.

Ma, soprattutto, Romano Prodi non può fare il presidente della Repubblica – non in un’Italia che volesse ‘cambiare’ – se Il Manifesto del 14 agosto 2004 titolava”Li fermeremo in Libia. Accordo con l’Italia per blindare frontiere e mari. Prodi si congratula con Gheddafi“ e  se Der Spiegel scriveva non troppi anni fa sui presunti legami nel ruolo di consulente per il leader kazako Nazarbayev, per non parlare dell’inchiesta Why Not su una presunta ‘loggia sammarinese’ poi finita archiviata.

originale postato su demata

 

 

 

Romano Prodi, un curriculum da conoscere

15 Apr
(tempo di lettura 8-10 minuti) 

Romano Prodi, dopo il flop del suo esecutivo ‘di lotta e di governo’, nel 2007, e dopo il conseguente oblio, neanche interpellato sui guai dell’Eurozona di cui fu l’ideatore ed il fondatore, ritorna in auge nel listino degli probabili presidenti della Repubblica, con il voto del PD e del M5S.

Ma chi è Romano Prodi? Cosa ci racconta il suo curriculum?

Iniziamo col dire che non proviene da una ‘famiglia di contadini’, ma, più esattamente, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri emiliani, relativamente benestanti visto chei figli poterono studiare presso il prestigioso liceo classico Ariosto di Reggio Emilia e, poi, continuare gli studi universitari come fuori sede.
Romano l’ottavo dei nove figli di Mario Prodi, un ingegnere, sembrerebbe ‘dipendente pubblico’ (Luciano Chiappini, “Una voce fedele e libera: il Taccuino”), e di Enrica, maestra elementare.
Dipendenti pubbici sotto il Fascismo, che dovevano essere di giurata fede, come pretendeva il regime dell’epoca, come anche va ricordato che Romano era il nome il nome di battesimo del più giovane dei figli del Duce. Nulla di male e nulla di nuovo, gran parte degli italiani erano sentitamente fascisti all’epoca.

Una famiglia Prodi che, comunque, credeva nel progresso e – proprio nell’epoca in cui, sappiamo oggi, vennero a costituirsi le famigerate filiere baronali e nepotistiche – ebbe il merito e la fortuna di riuscire ad  inserirsi nel sistema di carriere universitarie.
Infatti, oltre a Romano, ben cinque suoi fratelli sono o sono stati docenti universitari. Tra questi, ricordiamo, in particolare, i più famosi:

  1. Giovanni, il primogenito, nato nel 1925 ed arruolato nelle milizie della Repubblica di Salò nel 1943, costituistosi nel 1944 e detenuto per cinque mesi a Coltano (Giampaolo Pansa – “Vincitori e vinti”). Laureatosi in matematica nel 1948, già nel 1956 era docente universitario e nel 1963 ottiene la prestigosa cattedra all’Università di Pisa, dove sarà a lungo professore di analisi;
  2. Giorgio, il terzo dei nove fratelli, nato nel 1928, medico, docente di Patologia Generale fin dal 1958 e pioniere dell’oncologia in Italia presso l’Univesrità di Bologna;
  3. Paolo, nato nel 1932, è uno storico, preside della Facoltà di Magistero bolognese dal 1969 al 1972  e rettore dell’Università di Trento dal 1972 al 1977. E’ tra i fondatori dell’Associazione di cultura e di politica “il Mulino”, controllante dal 1965 dell’omonima Società editrice il Mulino, sui cui testi si sono (con)formate due generazioni di laureati e tecnici italiani.

Dunque, Romano Prodi era già il fratello di tre noti ed autorevoli docenti universitari quando, nel 1961,  presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, conseguì  una laurea in Giurisprudenza – non in Economia come quella conseguita da Mario Monti nel 1965 presso l’Università Bocconi di Milano – presentando una tesi sul protezionismo nello sviluppo dell’industria italiana.
Due anni dopo, iniziò la sua carriera accademica come assistente presso Università di Bologna, dove due fratelli erano già affermati docenti, e, nel 1973, dodici anni dopo la laurea, Romano ottenne l’incarico per l’insegnamento di “Economia e politica industriale” presso l’Università di Trento, il cui rettore era all’epoca il fratello Paolo. L’anno dopo, arrivava a presiedere la casa editrice il Mulino, controllata dall’omonima associazione di cui lo stesso fratello Paolo era uno dei fondatori.

Nel 1965 – già inserito nel sistema universitario e già consigliere comunale a Reggio Emilia per la Democrazia Cristiana –  conobbe Flavia Franzoni, studentessa diciottenne, sua lontana cugina e figlia di un docente di chimica, anche lei impegnata nell’Azione Cattolica (ndr. un altro fratello di Romano Prodi, Vittorio, diventerà prima presidente dell’Azione Cattolica di Bologna, dal 1986 al 1992, e poi europarlamentare iscritto al gruppo gruppo Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa).
Nel 1969, l’omelia delle loro nozze fu officiata dall’attuale Cardinale Ruini ed anche lei diventerà docente universitaria presso la facoltà di Scienze politiche di Bologna –  dove «è soprannominata “google”, perché sa tutto» (Alessia Ercolini, Grazia) – e direttrice dell’Istituto regionale per i servizi sociali. Una donna “prima allieva, poi moglie e quindi mamma”, come la definiva il Corsera nel lontano 1995 (link).

Una tipica storia familiare, dunque, come tante altre delle provincie dell’Italia centrale, microcosmi di tradizione contadina, patriarcale, cattolica, ma anche attenti alle opportunità, proprio come nella tradizione lo fu Bertoldo. Un giurista che si occupava di politica economica, dunque, in un paese che predilige la volontà politica ed il giusto intendimento alla prova dei fatti ed alla legge dei numeri.

Prodi 1982 aLa carriera professionale di Romano Prodi ‘economista’, da quel lontano 1965 fino agli Anni ’80, non sembra aver lascitato particolari tracce (su internet) di pubblicazioni o consulenze, ma sappiamo che all’inizio degli Anni Settanta ottenne un primo incarico manageriale come presidente della Maserati e della società nautica Callegari e Ghigi, due imprese in difficoltà gestite dall’istituto finanziario pubblico GEPI allo scopo di risanarle.
Maserati si riprenderà solo con l’arrivo, nel 1975, dell’argentino Alejandro De Tomaso e grazie all’intervento della Benelli, mentre della Callegari e Ghigi, che nel momento più florido dava lavoro a circa 1500 dipendenti e famosa per i suoi gommoni, non v’è più traccia.

Per comprendere l’approccio socio-politico e metodologico dell’operazione, ricordiamo che la GEPI, Società per le Gestioni e Partecipazioni Industriali, era una finanziaria pubblica costituita nel 1971, con capitale posseduto per il 50 % dall’IMI e per l’altra metà suddiviso in parti uguali tra IRI, ENI ed EFIM. Pur avendo lo scopo di assumere il controllo delle aziende private in crisi per risanarle, ristrutturarle, rilanciarle, la GEPI nel linguaggio giornalistico e sindacale dell’epoca fu descritta come “lazzaretto“, “reparto di rianimazione“, “ambulatorio“, “rottamaio di aziende” (fonte Wikipedia).
Un bagno di sangue per le finanze pubbliche italiane, come scriveva Adriano Bonafede (Miliardi nel pozzo Gepi, La Repubblica, 8 gennaio 1988), raccontando che “a posteriori è possibile attribuire a GEPI un notevole ruolo nello sperpero di risorse pubbliche e nel ritardo infrastrutturale italiano, dato che  solamente per la Innocenti, nel decennio tra il 1976 e il 1986, erogò contributi per l’astronomica cifra di 185 miliardi di Lire.

D’altra parte parliamo dell’Italia che iniziava ad uscire dalla Guerra Fredda e si avviava verso il Consociativismo: il ‘metodo GEPI’, con i dovuti correttivi, piacque ad industriali, partiti e sindacati e Romano Prodi venne chiamato ad essere ministro dell’Industria dal novembre 1978 fino al marzo 1979, nel quarto Governo Andreotti, giusto in tempo per emanare un decreto legge che porta il suo nome (legge Prodi), finalizzato proprio al salvataggio delle grandi imprese in crisi.
L’anno successivo – sempre allo scopo di tamponare le crisi del sistema industriale centrosettenrionale invece che ristrutturare e ricollocare più a Sud dove l’industrializzazione era in crescita – alla GEPI fu affidato il compito di prendersi in carico i dipendenti in esubero di grandi imprese private (FIAT, Montedison, SNIA, SIR, Marzotto, eccetera), con il conseguente mantenimento in Cassa Integrazione di decine di operai e tecnici per molti anni (A. Bonafede, op. cit.). Intanto, si avviò lo spacchettamento delle industrie meridionali.

Gianfranco Viesti, politologo con laurea in economia all’Università Bocconi, in Abolire il Mezzogiorno, ricorda che “la ristrutturazione dell’industria a controllo pubblico inizia in ritardo, nel periodo della presidenza di Romano Prodi all’IRI e Franco Reviglio all’ENI“, sottolineando che “per alcuni il Mezzogiorno è una palla al piede. Per altri è un alibi. Per alcuni è un noioso rituale da inserire in agenda. per altri è la scorciatoia per arricchirsi illecitamente. Per tutti è una buona scusa per non affrontare realmente i problemi italiani.

industria meridione prodi svimez

Nel 1982, il governo Spadolini affidò a Romano Prodi la presidenza dell’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, creato da Benito Mussolini al fine di evitare il fallimento delle principali banche italiane (Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma) all’epoca della Grande Crisi del 1929.
Un IRI che Prodi ridimensionò notevolemente e dove verrà successivamenre richiamato, nel 1993, per l’incarico del Presidente del Consiglio Azeglio Ciampi, allo scopo di completare un’enorme serie di privatizzazioni e dismissioni.

La ristrutturazione dell’IRI, attuata da Romano Prodi negli Anni ’80, portò alla cessione di 29 pregiate aziende del gruppo, tra le quali le più dolorose furono quella dell’Alfa Romeo, privatizzata nel 1986, e la liquidazione di Finsider, Italsider ed Italstat, ovvero della siderurgia e della navalmeccanica italiane, con drammatici tagli occupazionali gestiti tramite generosi prepensionamenti, che ancora oggi gravano sul nostro PIL.

Utile ricordare che ciò avvenne azzerando le attività portuali ed industriali di una città come Napoli e provocando il crash del Banco di Napoli, con lo stop degli interventi straordinari nel Mezzogiorno e la canalizzazione su banche settentrionali dei fondi europei.
Non sappiamo quali furono le effettive responsabilità di Romano Prodi, forse nessuna, ma furono certamente suoi il metodo  e la visione con cui si gestirono salvataggi, ristrutturazioni e cessioni di una delle ricchezze primarie del nostro Paese.
Un metodo che non poteva lasciare perplessi, fosse solo perchè era nato per intervenire su realtà limitate ed mergenziali, mentre lo si voleva utilizzare a strumento per ristrutturare il sistema industriale ed infrastrutturale nazionale, senza affatto tenere conto della millenaria tradizione industriale, commerciale ed agroalimentare del Meridone.

Le ricchezze storico-artistiche, le bellezze naturali e ambientali concentrate nelle regioni del Mezzogiorno sono di prim’ordine. é su queste ricchezze che va fondata una nuova via per lo sviluppo. Pensando al da farsi ho anche indicato un nome alla nostra strategia: facciamo del Sud la “Florida d’Europa”… Al Sud ci sono tanti giovani pieni di capacità che devono essere finalizzate“, prometteva il presidente del Consiglio Romano Prodi alla Fiera del Levante di Bari il 14 settembre 1996.

La politica deflazionistica di Prodi e di Ciampi è stata la vera responsabile dell’affondamento del Mezzogiorno. Nel ’97 il governo ha dimezzato le erogazioni di cassa per le aree depresse del Mezzogiorno” e “Bagnoli da sei anni è bloccata al palo da un contenzioso tra Comune e Ansaldo Trasporti” (Panorama, Raccolta Edizioni 1677-1680 – 1998).

I dati pubblicati da Svimez per i 150 anni dell’Unità non lasciano dubbi: l’anno peggiore per l’industria meridionale fu il 1998, mentre la ripresa nel ventennio a seguire fu nei limiti congiunturali. Inoltre, abbiamo visto tutti come è andata con la crisi in Spagna, dove avevano investito nell’industria turistica.

svimez industrializzazione meridione

Per avere un’idea delle strategie e degli effetti della seconda tornata all’IRI di Romano Prodi, ‘a protezione dell’industria e dell’occupazione italiane’, ricordiamo almeno una parte di cosa accadde drammaticamente in quegli anni:

  1. Banca Commerciale Italiana, privatizzata nel 1994 ed oggi assorbita in Intesa Sanpaolo. Credito Italiano, privatizzata nel 1993, e Banco di Roma, confluito nella Banca di Roma nel 1992, ed tutti oggi parte di Unicredit;
  2. Finsider, privatizzata “a pezzi” (operazione conclusa nel 1995), di cui oggi restano ‘i problemi’: il raddoppio dell’inquinante stabilimento siderurgico di Taranto (ILVA – Gruppo Riva) e l’area industriale-portuale di Gioia Tauro, che già all’epoca si prevedevano essere investimenti improduttivi;
  3. SOFIN, acquisita dal ILVA – Gruppo Riva, era partecipante di Industrie Ottiche Riunite, Strade Ferrate Secondarie Meridionali, Sidalm, Forus SpA, Acciaierie e Ferriere di Piombino e Vertek;
  4. Finmeccanica e Fincantieri, che fu trasferita al Ministero dell’Economia e delle Finanze, divenuto direttamente proprietario di fabbriche d’armi e risorse energetiche;
  5. Italstat, settore costruzioni, anch’essa trasferita al Ministero dell’Economia e delle Finanze e controllante di Gruppo Autostrade S.p.A. (privatizzata nel 1999), Italinpa, Aeroporti di Roma, Stretto di Messina, eccetera;
  6. STET, fusa nel 1997 con Telecom Italia e trasferite al Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre la prestigiosa controllata Selenia-Divisione Spazio con sede a Napoli veniva fusa con la Elsag e ridislocata, per poi essere del tutto assorbita, dal 1989, dalla controlalnte Finmeccanica;
  7. Cofiri e SPI (Società per la Promozione e Sviluppo Imprenditoriale), invece, furono inghiottite da Sviluppo Italia nel 2000, quando il Governo D’Alema fuse tutte le società di promozione in un’unica azienda per attrarre investimenti esteri per lo sviluppo industriale del sud Italia;
  8. Alitalia, la cui proprietà fu trasferita al Ministero dell’Economia e delle Finanze, arrivando a costare agli italiani almeno un miliardo di euro l’anno in debiti, nel 2008, mentre, pochi mesi fa, annunciava ancora 280 milioni di perdite;
  9. RAI, la proprietà fu trasferita al Ministero dell’Economia e delle Finanze, diventando a pieno titolo una televisione commerciale di Stato.

Aggiungiamo la storia di Finmare, ovvero Tirrenia che fu inglobata in Fintecna e trasferita al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che la ha privatizzata circa un anno fa. Proprio a partire dal 1993, la Tirrenia avviò una dispendiosissima politica di ammodernamento della flotta confluita nell’acquisto di quattro nuove navi superveloci, una vera manna dal cielo per la Fincantieri degli stabilimenti di Sestri Levante (GE). Costosi gioielli del mare che furono messi in disarmo dopo pochi anni a causa degli inconvenienti ed elevati consumi di carburante (circa 290 kg di gasolio al minuto), dieci volte superiori ad un traghetto tradizionale di simili capacità. La privatizzazione di Tirrenia è stata assemblata sullo stesso schema di quella di Alitalia e prevede la creazione di una bad company.

O quella di SME, privatizzata “a pezzi” negli anni ’90, con l’ex  Motta venduta alla Nestlé; GS (distribuzione) vendute alla famiglia Benetton ed a Leonardo Del Vecchio, il gruppo Cirio Bertolli De Rica (oli, latte e conserve) venduto alla Fisvi di Carlo Saverio Lamiranda, rivenduto a Unilever e poi passato sotto il controllo di Sergio Cragnotti, con relativi crac e noti scandali, Autogrill (ristorazione). Il tutto perdendo un’occasione unica per realizzare un grande gruppo alimentare italiano, in grado di competere con le multinazionali straniere e di difendersi dalle organizzazioni criminali.
All’epoca, ricordiamolo, ebbe origine l’eterno conflitto tra Prodi e Berlusconi, scatenato dalla tentata vendita della SME al gruppo CIR di Carlo De Benedetti, per la quale Romano Prodi fu accusato di aver stabilito un prezzo troppo basso.

Prodi 1982Una vera e propria tragedia italiana, da togliere il sorriso per una vita, quella che coincise con il passaggio di Romano Prodi all’IRI o ne fu conseguenza o proseguimento.

Una vicenda che, ormai, è affidata alle statistiche ed agli storici di cui tanta Italia sembra essersi dimenticata e che l’intervento alla Camera dei Deputati di Emilia Calini Canavesi (PRC), del 1 luglio 1993,  ben delinea nel contesto dell’epoca: “abbiamo denunciato che la FIAT ha acquistato (si fa per dire, perché per sei anni non ha pagato una lira ed ho presentato un’interrogazione per sapere se sia stata pagata anche solo la prima rata, ma nessuno mi ha ancora fornito una risposta) o meglio, ha avuto in regalo l’Alfa Romeo dal Governo di allora, presieduto da Craxi, il cui braccio destro era allora l’onorevole Amato.
I ministri che hanno trattato questo regalo dell’Alfa Romeo alla FIAT, per citarne solo alcuni, erano Darida, De Lorenzo, Nicolazzi, De Michelis. Dunque, quanti hanno trattato quell’affare non godono certo oggi di una buona fama e reputazione. Questi sono coloro i quali hanno condotto la prima rilevante privatizzazione in Italia. … La percentuale di vendite di auto che ha toccato oggi la FIAT non è mai stata così bassa, neppure quando l’Alfa Romeo era di proprietà statale, dell’IRI.”
Noi posteri, oggi, ben sappiamo quale valore avesse quel Centro Ricerche Alfa, ormai volato via a Detroit.

Dopo una tale mattanza per il futuro industriale italiano e con un futuro inesistente per vasti territori del paese, Romano Prodi, il 31 maggio 1994,  rivendicando i bilanci ‘finalmente’ in attivo dell’IRI, formalizzò le proprie dimissioni al nuovo Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e l’11 agosto  annunciò di entrare in politica: «Adesso ho mente e animo liberi. Un impegno in politica diventa un dovere, vista la situazione».

Riuscì a raggiungere l’obiettivo, due anni dopo, quando venne nominato Presidente del Consiglio dei ministri dopo le elezioni politiche 1996, a capo di una coalizione guidata da quello che è oggi il Partito Democratico, ma molto eterogenea, che, soprattutto, si avvalse di un appoggio esterno da parte di Rifondazione Comunista, con cui aveva stretto un patto di desistenza elettorale (la mancata presentazione di proprie liste nella maggior parte dei collegi elettorali maggioritari), che costituisce, con gli occhi di oggi, una sottile forma di forzatura elettorale.

Prodi IRI 1994

Non pochi i risultati, nei due anni di vita che ebbe il Governo Prodi, tra cui il il tentativo di semplificazione amministrativa della P.A. e di deregulation delle scuole e delle facoltà universitarie, il mantenere l’Italia fuori dai conflitti in corso nella ex-Yugoslavia, i finanziamenti per i Beni Culturali. Romano Prodi, soprattutto, ebbe il merito a riportare il rapporto deficit/PIL entro i parametri del Trattato di Maastricht, ma a costo di un impopolare ed iniquo contributo straordinario, chiamato anche “eurotassa” o “tassa per l’Europa”, in parte restituita nel 1999 a furor di popolo.
Oggi possiamo aggiungere che si confidò, molto ottimisticamente, sull’ipotesi che l’entrata nell’euro avrebbe portato un considerevole risparmio di interessi sui titoli di Stato anche nel lungo periodo. Il tutto, senza tenere conto che una pressione fiscale di quel genere non poteva risanare un debito pubblico a due zeri e non poteva essere che una tantum.

Di nuovo, una questione di metodo.
Inoltre, l’Ulivo – la creatura politica che Romano Prodi aveva raccolto intorno a se –  promulgò, sotto D’Alema ed Amato, la pessima riforma del Titolo V della Costituzione e, soprattutto, l’odierno disastro Sanità in Italia: fu quella maggioranza ulivista, con tanto di Lega al seguito, che emanò le quattro leggi che affliggono contribuenti, casse pubbliche, fornitori e, soprattuto, malati: istituzione del Servizio Sanitario Regionale, ridestinazione dei centri psichiatrici, legge sulle malattie rare, recepimento dei parametri dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità inerenti lavoro, funzionalità e stato invalidante.

Sfiduciato dalla sua stessa maggioranza e lasciando il movimento appena fondato, nel marzo del 1999, Romano Prodi accetta la designazione dei governi europei  alla Presidenza della Commissione Europea, avviando quel processo che, in Germania, i malevoli chiamano ‘italianizzazione dell’Europa’.
Durante la sua presidenza vennero introdotte gran parte delle innovazioni su cui c’è oggi dibattito e divisione tra gli europei:

  1. 1º gennaio 2002, l’entrata in vigore dell’Euro come valuta corrente dell’Unione, di cui sono ben noti i pregi, i difetti e le polemiche incessanti;
  2. 1º maggio 2004 l’allargamento dell’Unione ad altri 10 paesi: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, che si è rivelato disastroso per le economie spagnole ed italiane;
  3. il 29 ottobre 2004, la firma a Roma della Costituzione europea, un progetto definitivamente abbandonato nel 2009 a seguito dello stop alle ratifiche imposto dai no ai referendum in diversi paesi europei, tra cui Francia e Paesi Bassi.

Prodi EuroMissione compiuta anche in Europa, dato che sul momento sembrò a tanti un successone, Romano Prodi si candidava alle Primarie, con il Partito Democratico (attuale) che -caso unico nella Storia- non volle candidare un proprio iscritto di particolare fama. Inutile dire che Prodi vinse alla grande, con una marea di equivoci al seguito, visto che c’erano Di Pietro, Bertinotti e Mastella a far da coprotagonisti, mentre D’Alema eterno dominus del PD andava a dettare i tempi ed i modi.
Sull’onda dell’antiberlusconismo e di questi consensi ‘primari’ – apparentemente per la sua persona – Romano vinse anche le elezioni politiche 2006, ma con uno scarto inferiore ai 25.000 voti e solo grazie al Porcellum ottenne 340 seggi alla Camera dei deputati e 159 seggi al Senato della Repubblica.
Una maggioranza risicata e borderline che diede adito a numerosi reclami e ricorsi, respinti, ma, soprattutto, venne ritenuta un azzardo, sia per l’esigua maggioranza al Senato – corroborata dal voto spesso decisivo dei Senatori a vita, fino ad allora per prassi non incidenti sulla fiducia ai governi – sia per la deriva ‘di lotta e di governo’ che la cooptazione dell’estrema sinistra avrebbe imposto, mentre esattamene la metà degli italiani era di opinione del tutto opposta.

Fu un brutto inizio, dato che, nonostante gli italiani già mugugnassero abbondantemente sugli sprechi e sulle inerzie della Casta e nonostante le promesse fatte in campagna elettorale, il governo Prodi II passò alla storia della Repubblica come quello più numeroso (102 tra ministri, viceministri e sottosegretari).

Fu allora che le tasse s’impennarono a livelli ancora più intollerabili, secondo la logica che ogni contribuente è un sospetto evasore. Ciò permise a Romano Prodi di archiviare l’early warning che pendeva sull’Italia dal 2005 per sfondamento del Patto di Stabilità Europeo e così accadde, che archiviata la sanzione e regalati all’Italia altri tre anni di tempo, mentre Comunisti e CGIL raccontavano di un ‘tesoretto’ di risorse pubbliche sommerse da spendere in welfare, passò del tutto inosservato il ‘problema’ che il Trattato di Maastricht prevedeva e prevede (saggiamente) che gli stati non abbiano – grosso modo – un debito pubblico eccedente il 60% del PIL ed un deficit superiore al 3%.
Servivano urgenti misure strutturali, ma lo stesso Romano Prodi riteneva, fin da quando era Presidente della Commissione, “il Patto inattuabile per la sua rigidità, sebbene ritenesse comunque necessario, sulla base del Trattato, cercare di continuare ad applicarlo” (Wikipedia).

Quel governo, come prevedibile, fu vessato, nella sua breve esistenza, da continue contrapposizioni intergovernative, manifestazioni sindacali e della sinistra estrema, tensioni con gli alleati NATO, interventi militari controversi, spese incrementali per lo Stato in nome di una presunta economia in crescita e di un fantomatico Tesoretto nelle casse pubbliche.
Tra l’altro, nonostante venga ricordato per l’avvio dato alla  moratoria universale della pena di morte, adottata in forma non vincolante dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, c’è da sottolineare che è sotto Romano Prodi che nacque l’Equitalia S.p.a. che conosciamo, per l’esattezza il 4 luglio 2006, quando Riscossione S.p.A. (poi ridenominatasi) fu autorizzata ad utilizzare i dati in possesso dell’Agenzia delle entrate, fino ad allora considerati riservati.

Caduto il governo per le insuperabili tensioni interne, il 9 marzo 2008, Romano Prodi annunciava di aver «chiuso con la politica italiana e forse con la politica in generale», ma, sei mesi dopo, il 12 settembre 2008, accettava di presiedere il Gruppo di lavoro ONU-Unione Africana sulle missioni di peacekeeping in Africa.
Nessun proglema riguardo al potenziale conflitto di interessi – specialmente in Nigeria o Libia, ricche di petrolio – per essere “stato chiamato nell’ ‘Advisory Board’ di British Petroleum per i temi di strategia internazionale e industriale”, almeno dal 2009, come confermato dallo stesso Prodi l’11 giugno 2010.

Nè sembrano aver creato imbarazzo i buoni rapporti pregressi con il sanguinario dittatore libico Gheddafi, come anche nè SEL nè Laura Boldrini, l’attuale Presidente della Camera, sembrano ricordare che Il Manifesto del 14 agosto 2004 titolava”Li fermeremo in Libia. Accordo con l’Italia per blindare frontiere e mari. Prodi si congratula con Gheddafi.

No, non appare un cattivo uomo, il professor Romano Prodi, forse solo un po’ troppo accomodante ed ambizioso, certamente notevolmente fortunato e, di conseguenza, fin troppo ottimista. Meno fortunate le sue soluzioni, come lo fu il suo famoso ‘si può fare’ in campagna elettorale, smentito meno di due anni dopo a stretto giro parlamentare.
Un uomo di buona volontà, avrebbe detto qualcuno quando si credeva ancora che ‘chi non sbaglia, non fa’, dmenticando che ‘di buone intenzioni, son lastricate le vie per l’inferno’.

Il suo passaggio all’IRI – ed i ‘risultati’ che oggi, a ragion veduta, possiamo annoverare tra i pochi cocci rimasti – dovrebbero escludere ‘di per se’ la possibilità che Romano Prodi possa diventare il presidente degli italiani; allo stesso modo, per la sua ostinazione nell’arrivare a tappe forzate alla moneta unica europea con i controversi problemi in cui ci troviamo o, peggio, per la sanguinosa questione di Equitalia (ex Riscossione Spa).
Un’ampia parte di noi cittadini potrebbe non sentirsi rappresentata o rassicurata.

Dunque, perchè ostinarsi a candidarlo, se poi dal PdL arriva un “Prodi al Colle? Tutti all’estero” e lui stesso annuncia: “Nessuna mia candidatura al Quirinale, io sto semplicemente a guardare”, ribadendo da Lucca ai giornalisti “io sono fuori”?
Ma, soprattutto, perchè dovrebbero votarlo il Movimento Cinque Stelle ed i Renziani, che promettono di volere il cambiamento da quel ‘metodo’ e da quell’Italia consociativa che fu?

Post Scriptum: Fu sotto la presidenza del Consiglio di Romano Prodi che si svolsero e furono secretate le audizioni del pentito Carmine Schiavone inerenti il traffico di rifiuti tossici e il disastro ambientale in Campania.

Demata

Tripoli è caduta: ministoria di un’insurrezione

23 Ago

Tutto iniziava il 17 febbraio 2011, il Giorno dell’Ira.

Migliaia di manifestanti scendevano in strada nelle città della Cirenaica, il regime uccide 6 persone e ferisce decine di manifestanti.

Dopo giorni di manifestazioni e dure repressioni, Bengasi e la Cirenaica insorgono il 23 febbraio . Migliaia di morti e massicce defezioni dei soldati del despota. Inizia la rivolta.

23 febbraio 2011 Un aereo con Aisha Gheddafi a bordo chiede di atterrare a Malta, ma il permesso viene negato. I media avanzano sospetti che il Colonnello stia trasferendo ed occultando capitali all’estero.

19 marzo Dopo un mese di stragi e pulizie etniche del regime, l’Aereonautica francese attacca le forze di Gheddafi in applicazione del mandato ONU.

20 marzo Alla missione si uniscono, progressivamente, gli USA, la Gran Bretagna, la Germania ed alcuni paesi della Lega Araba. L’Italia resta ai margini delle operazioni a causa dell’ambiguità delle sue relazioni con il tiranno.

26 marzo I ribelli riconquistano Brega e Ajdabija, puntando verso Ras Lanuf: inizia la ritirata dei lealisti.

11 aprile Inizia a formarsi un governo provvisorio libico e vengono fornite ampie rassicurazioni riguardo i contratti petroliferi siglati dal regime.

23 aprile Viene liberata Misurata, dopo oltre due mesi di assedi e di bombardamenti da parte dei lealisti di Gheddafi. Viene anche liberato il rimorchiatore italiano, Asso 22, rimasto bloccato lì.

30 aprile Iniziano gli attacchi missilistici al bunker del tiranno e muoiono uno dei figli dei tiranni ed alcuni nipoti. Gheddafi chiede, senza successo, di fermare i bombardamenti USA.

16 maggio Il procuratore Luis Moreno-Ocampo chiede l’emissione di mandati di cattura internazionali contro Gheddafi, il figlio Seif al Islam e il direttore dei servizi segreti libici Abdallah al Senussi.

26 giugno La Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja emette mandato d’arresto contro il Colonnello Gheddafi per crimini contro l’umanità insieme al figlio primogenito ed al capo dei servizi di intelligence.

22 agosto 2011 Gli insorti entrano a Tripoli ed inizia l’assedio al bunker del tiranno.

Questi i post passati che si sono occupati del Colonnello Gheddafi:

04-mar-10 Lo stile inconfondibile della Famiglia Gheddafi
04-mar-10 Gheddafi e l’embargo alla Svizzera: dopo il petrolio tocca ai datteri
16-giu-10 Il denaro che puzza
31-ago-10 Gheddafi, dall’Europa un silenzio di tomba
21-feb-11 Gheddafi e l’amico Berlusconi
23-feb-11 Libia, scoperti corpi bruciati (video)
24-feb-11 Massacri libici, affari italiani
23-mar-11 Libia, petrolio e guerra
04-apr-11 Non solo Libia
26-apr-11 Italia in guerra senza Bossi e Bersani?
11-apr-11 Libia, chi sono gli insorti
30-mag-11 Perché Al Qaeda attacca l’Italia?

Italia in guerra senza Bossi e Bersani?

26 Apr

Sì ad «azioni aeree mirate» italiane in Libia. Questa la brief note con cui il Governo ha annunciato l’entrata in guerra dell’Italia.

Una decisione, come conferma il ministro degli Esteri Franco Frattini, che che poteva attuata ben quindici giorni fa, visti i toni tenuti dal rappresentante del governo provvisorio Jalil, in visita a Roma.
“Voi vi siete fatti ingannare dalla retorica di Gheddafi, ma noi che siamo i libici di Bengasi, i libici che dovrebbero odiare di più gli italiani, riconosciamo che voi non ci avete solo colonizzato: avete costruito il nostro Paese. E’ per questo ha continuato – che abbiamo bisogno di voi, proprio di voi, adesso: aiutateci.”
Un accorato appello, al quale Silvio Berlusconi aveva pubblicamente risposto, pochi giorni dopo, che “considerata la nostra posizione geografica ed il nostro passato coloniale, non sarebbe comprensibile un maggior impegno militare.”

Una mossa, imposta da Obama a nome evidentemente del Consiglio NATO, che potrebbe, almeno, riqualificare l’immagine italiana dall’imbarazzante amicizia di Gheddafi con Berlusconi, il quale, per l’appunto, si dichiara imbarazzato.

Una ripresa “obbligata” della politica italiana nel Mediterraneo, dopo 150 anni di stasi, che  riporterebbe le regioni ed i porti del Sud agli antichi fasti, con prevedibili ricadute (negative?) per le regioni padane e quelle “rosse”.

Infatti, se Calderoli annuncia un “Non con il mio voto”, aprendo un’ulteriore frattura nel governo, dalla riva opposta arriva un durissimo il comunicato di Emergency.
“Il governo italiano continua a delinquere contro la Costituzione e sceglie la data del 25 aprile per precipitare il Paese in una nuova spirale di violenza. Le bombe non sono uno strumento per proteggere i civili: infatti non sono servite a proteggere la popolazione di Misurata. La città di Misurata, assediata e bombardata da oltre due mesi, nelle ultime 24 ore ha vissuto sotto pesantissimi attacchi che hanno raso al suolo quartieri densamente popolati, anche per l’impiego di missili balistici a medio raggio”.
Intanto, il ministro della Difesa Ignazio La Russa precisa che  “non si tratterà di bombardamenti indiscriminati ma di missioni con missili di precisione su obiettivi specifici” per “evitare ogni rischio di colpire la popolazione civile”.
E Frattini conferma: «Bombarderemo obiettivi mirati, per esempio batterie anticarro, carrarmati, depositi di munizioni. Obiettivi pianificati dalla Nato, che ce li indicherà di volta in volta».

Quanto al popolo padano, Berlusconi rassicura (secondo lui) che “non occorre un nuovo voto del Parlamento, dunque non ci sarà nessuna spaccatura tra noi e la Lega come spera l’opposizione”.

L’opposizione?  Tace, imbarazzatamente tace, trincerandosi dietro “i limiti posti dalla risoluzione Onu”, come se non ci siano un popolo insorto, un dittatore efferato e tremila anni di storia comune.

Intanto, a Misurata l’assedio, la fame, la sete, le morti innocenti continuano.

Non solo Libia

4 Apr

Ho scritto della crisi libica mentre accadevano i primi eventi e l’impressione è che il fenomeno in atto sia molto più ampio della sola Libia o del Nordafrica.

Come non notare che, dopo la Siria,  solo Palestina-Israele manca all’appello del “Day of rage” e che, se non avverrà, potrebbe solo significare che Hamas è ovunque e che la repressione israeliana soffoca anche i laici palestinesi.

Oppure, come non rendersi conto che il disastro nucleare di Fukushima e l’intensità di certi eventi naturali mettono in crisi sia una certa visione dello sviluppo futuro delle nostre infrastrutture ed attivano un’ancor più spietata ricerca di risorse energetiche e minerarie.

Tornando ai crucci italiani sulla Libia, esistono dei “quid” che sono del tutto disattesi dall’informazione italiana, vuoi per interessi di bottega, vuoi per formazione risorgimentale, vuoi per appartenenza militante.

Questioni, tutte squisitamente politiche ed economiche, che sottendono ai quesiti ondivaghi con cui la pubblica opinione sta lentamente e confusamente apprendendo riguardo gli eventi molto variegati e le (poco) diverse posizioni.

Ad esempio, in uno scenario di superamento degli accordi coloniali del 1884, quale può essere mai il ruolo e le garanzie dell’Italia verso i paesi emergenti se lo stesso Meridione viene tenuto nel degrado con l’aiuto delle mafie?

Oppure, quale politica possiamo mai sostenere nel Mediterraneo, se tutto è deciso a Roma (che ha ormai accettato i “patti di Yalta” tra Saladino e Federico ai tempi delle Crociate) ed a Milano, che è più svizzera che penisola? Sarà un caso che il comando NATO sta proprio a Napoli?

Come rispettare la convenzione di Ginevra per i profughi, se negammo l’asilo persino ai fiumani, oppure garantire la firma delle Carte dei diritti ONU, se 4 milioni di italiani devono ricorrere ai banchi alimentari con la spesa pubblica che abbiamo?

E’ anche da quesiti come questi, che gli altri si pongono e noi no, che nasce la marginalità italiana nel contesto africano e mediorientale.

leggi anche Libia petrolio e guerra

con le mappe petrolifere

e Massacri libici, affari italiani

con i dettagli sulle nostre aziende

Libia, petrolio e guerra

23 Mar

La Libia possiede circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti e, con 46,5 miliardi di barili di riserve accertate, (10 volte quelli d’Egitto), supera la Nigeria e l’Algeria (Oil and Gas Journal). Al contrario, le riserve accertate di petrolio degli Stati Uniti sono dell’ordine di 20,6 miliardi di barili (dicembre 2008) secondo la Energy Information Administration. (fonte CoTo)

Le sue riserve di gas a 1.500 miliardi di metri cubi, ma la sua produzione è stata tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della capacità produttiva secondo i dati della National Oil Corporation (NOC) l’obiettivo a lungo termine è di tre milioni di b / g ed una produzione di gas di 2.600 milioni di piedi cubi al giorno.

E’ evidente che una invasione della Libia, anche se nel quadro di un mandato umanitario, servirebbe anche gli interessi delle imprese petrolifere angloamericane, come l’invasione del 2003 e l’occupazione dell’Iraq, in modo da prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia e privatizzare l’industria petrolifera del paese. Wall Street, i giganti petroliferi anglo-americani, i produttori di armi USA-UE ne sarebbero soli beneficiari.

 

Tra l’altro, mentre il valore di mercato del petrolio greggio è attualmente ben al di sopra dei 100 dollari al barile, il costo estrattivo del petrolio libico è estremamente basso, a partire da 1,00 dollari al barile: a 110 dollari sul mercato mondiale, la semplice matematica dà la Libia un margine di profitto 109 $ per barile” … (fonte EnergyandCapital.com 12 Marzo 2008)

 

Non sorprenderà sapere che, da qualche tempo, anche  la Cina sta giocando un ruolo centrale nel settore petrolifero libico e non a caso la China National Petroleum Corp (CNPC) ha dovuto rimpatriare dalla Libia ben 30.000 cinesi. L’unico dato certo è che l’11% delle esportazioni di petrolio libico vengono incanalate verso la Cina, ma non ci sono dati sulla dimensione e l’importanza, certamente notevole,  della produzione cinese in Libia e delle trivellazioni.

La campagna militare contro la Libia è , evidentemente, volta ad escludere la Cina dal Nord Africa, che ha interessi petroliferi anche in Ciad e Sudan.

Importante è il ruolo d’Italia, dato che ENI, il consorzio petrolifero italiano, tratta 244 mila barili di gas e petrolio, che rappresentano quasi il 25 per cento delle esportazioni totali della Libia. (fonte SKY News UK), come quello tedesco che, nel novembre 2010, ha firmato tramite la compagnia petrolifera nazionale, la RW Dia,  un accordo settennale con la National Oil Corporation (NOC) libica di entità paragonabile a quelli italiani e cinesi.

 

L’operazione militare in corso ha come scopo “a lungo termine” di ristabilire l’egemonia anglo-statunitense nel Nord Africa, una regione storicamente dominata da Francia e in misura minore, da Italia e Spagna.

Per quanto riguarda la Tunisia, il Marocco e l’Algeria, il disegno di Washington potrebbe essere quello di indebolire i legami politici di questi paesi verso la Francia e spingere per l’installazione di nuovi regimi politici che hanno un rapporto stretto con gli Stati Uniti con esclusione della Cina dalla regione. I precedenti sono noti e disastrosi: parliamo dell’Indocina-Vietnam e  delle guerre dei soldati-bambino dell’Africa equatoriale.

La Libia, inoltre, confina con molti paesi che sono sfera d’influenza della Francia tra cui Algeria, Tunisia, Niger e Ciad. Exxon, Mobil e Chevron hanno interessi nel sud del Ciad, tra cui un progetto di gasdotto che arriverà fino alla regione sudanese del Darfur, ricco di petrolio, ma anche la China National Petroleum Corp (CNPC) ha firmato un accordo di vasta portata con il governo del Ciad nel 2007.

Sempre ai confini della Libia c’è il Niger che possiede ingenti riserve di uranio, attualmente controllate dal gruppo francese Areva nucleare, precedentemente conosciuto come Cogema ed anche la Cina ha una partecipazione nell’estrazione di uranio del Niger.

Dunque, il confine meridionale della Libia è strategico per gli Stati Uniti nel suo tentativo di estendere la sua sfera di influenza in Africa francofona, una regione che faceva parte degli imperi coloniali Francia e Belgio, i cui confini sono stati stabiliti dalla Conferenza di Berlino del 1884, in cui gli USA ebbero un ruolo minore.

 

Inoltre, l’Unione europea è fortemente dipendente dal flusso di petrolio libico, di cui ben l’85% viene venduto a paesi europei e, principalmente Italia e Germania attraverso il gasdotto Greenstream nel Mediterraneo.

Dunque, l’operazione statunitense ha  anche un impatto diretto sul rapporto tra Stati Uniti e l’Unione europea: considerato che gli USA e la NATO sono coinvolti in tre distinti teatri di guerra (Palestina-Libano, Afghanistan-Pakistan, Iraq-Curdistan), un attacco contro la Libia comporta il rischio di escalation militare.

Infatti, dal punto di vista di Obama e del suo staff, l’attacco in Libia non sembra essere altro che un ulteriore “teatro bellico”, nella logica del Pentagono di “multiple simultaneous theater wars”, che gli USA ritengono necessarie, come affermava il documento PNAC del 2001, dove venivano definite le strategie statunitensi nel medio periodo.

Intanto, mentre i caccia francesi difendono insorti, pozzi di petrolio e, probabilmente, la pace nel Mediterraneo, i Tornado italiani si alzano in volo, consumano un tot di carburante, monitorano dei radar che non ci sono e tornano a casa … questa è tutta la politica dell’Italia nel Mediterraneo.

Anche questi sono i frutti di uno scandaloso premier, del suo governo “de poche” e della “politica del fare” (ndr. poco e male) della Lega.

(leggi anche “Chi sono gli insorti

“Non solo Libia” “La guerra ingiusta”

e “Massacri libici, affari italiani”)