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Due semplici motivi per ridere del sovranismo

16 Set

L’idea dei sovranisti è ‘obsoleta’, forse ultimo rigurgito delle menzogne risorgimentali, ed è sintomatica dell’arretratezza ‘digitale’ del Paese.

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Facciamogliela vedere all’UE ?
Il principale indicatore di crescita italiano è l’importazione dalla Germania: buoni rapporti e molti scambi, da noi va tutto bene, cattivi rapporti e minori scambi, da noi va molto male.

Il nesso – almeno statistico – c’è, le importazioni dalla Germania sono vitali per l’Italia, vogliamo tentare la sorte e vedere come vanno le cose pagando le merci tedesche in lire?

Facciamo come ci pare ?
La valuta consente certi ‘giochetti’ solo se è di carta e la controllano gli Stati: fu per questo che si razziò tutto l’oro e l’argento sostituendolo con la cartamoneta.

Ma quando i soldi erano ‘materiali’ il mercato lo facevano i cambiavalute in base al tenore dei metalli ed alla credibilità dei reggenti. E con l’avvento del commercio elettronico globale, dei token e dei coupon in cui convertire … questo è il presente ed è il futuro.

Con le TPE (Google, Amazon, Apple, ecc.) si ritorna al libero mercato dei cambiavalute: fine della festa di quando uno Stato poteva da un giorno all’altro cambiare il valore di un foglietto stampato.

Demata

Governo Conte: come farsi cacciare dall’Europa

23 Gen

italietta-dei-politici-l-zrfmdzAd ogni azione segue sempre una reazione, specialmente se la Francia è accusata di “colonialismo” da Di Maio, con una sonora bufala su Franco Centrafricano ed invocando “l’Africa agli africani” (o meglio “gli africani stiano in Africa”) per prendersela persino con l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) dei cui servizi l’Italia usufruisce alla grande e da decenni.

 

Così accade che da oggi siamo soli nel Mediterraneo a fronteggiare i flussi migratori: la Germania è uscita dall’Operazione Sofia e così, in mare, restano solo 4-5 fregate spagnole, occupate di fronte al Marocco a protezione delle loro coste: il resto del mare, eccetto Malta e fino al largo della Grecia, è tutto nostro.

Da oggi finisce anche l’Europa del ‘triplice’ Patto di Roma che vedeva Germania, Francia e Italia come padri fondatori e protagonisti dell’unione: arriva il duplice accordo di Aquisgrana tra Merkel e Macron per “rafforzare l’integrazione fino alla creazione di “uno spazio economico franco-tedesco con regole comuni”.
Di fatto ha inizio l’unificazione di difesa, frontiere, strategie comunitarie, economia, sistemi fiscali e welfare state e, con la Brexit alle porte, è difficile immaginare a cosa sarà esposta a breve l’Italia se si mantiene alla deriva … nel Mediterraneo in fiamme.

Ed, oggi, si apre il Forum economico mondiale (FMI) di Davos 2019 con l’Italia sotto i riflettori, con una crescita ‘dichiarata’ allo 0,6%, cioè impercettibile e, comunque, la più bassa fra le principali economie mondiali.
Con l’Iva al 24,5% dal 2015 e ‘sospesa’ solo grazie a nuove tasse, a tagli dissennati, ad ulteriori indebitamenti e dinanzi ad ulteriori sprechi e a nuove spese, da oggi l’idea generalizzata è che il Bel Paese sia un “rischio globale”, dato che si teme un debito molto superiore a quanto già oggi si conosce.

A parte, c’è la questione che il Premier Conte ha appena concluso gli incontri con Ciad, Sahel, Etiopia e Niger, aggiungiamo che Di Maio anticolonialista ed antifrancese relega in panchina tutta la Farnesina ed un pezzo della Nato, con Salvini per il quale “il Fmi che è una minaccia per l’economia mondiale, una storia di ricette economiche coronata da previsioni errate, pochi successi e molti disastri”.

Ma il Parlamento cosa ne dice di questa improvvisa virata in politica estera, avversa a partner storici dell’Italia come Francia e Cina? E cosa pensiamo di promettere ai paesi africani se … il commercio estero è di competenza esclusiva dell’Unione Europea e non dei singoli Stati?
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nominato e non eletto, con il suo governo di opposte fazioni – tra leghisti, grillini e berluscones – intende portarci pian pianino al fatto compiuto di esser fuori fuori dall’Europa?

Demata

Brexit: i ‘dettagli’ non detti

16 Gen

E’ credibile che la bocciatura dell’accordo cercato da Theresa May condurrà a una Brexit senza intesa?
No, non è possibile una vera e propria uscita ‘secca’ della Gran Bretagna dall’Unione con quel ginepraio di trattati e accordi commerciali che c’è: sarebbe peggio della Crisi del 1929.
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Quel che veramente preoccupa l’UE è la possibilità che venga intaccato il principio per cui la politica commerciale di ogni Stato europeo è di competenza esclusiva dell’Unione Europea ed è gestita attraverso la Commissione, mentre gli Stati Membri possono solo assistere tramite un apposito Comitato.

In altre parole, la paura è che la stipula accordi tra singoli Stati UE ed il Regno Unito comporti che poi – pian piano – una o tutte le nazioni finiscano per sviluppare una propria politica commerciale, distruggendo de facto l’Unione Europea ed indebolendo  fortemente l’Euro.

Il problema non arriva dall’uscita da mercato unico europeo ed accordi sui trasporti, che saranno sostanzialmente mantenuti se il Regno Unito accedesse allo Spazio Economico Europeo ritornando membro dell’EFTA (Associazione europea di libero scambio), di cui faceva parte fino al 1972, quando decise di entrare nella Comunità Economica Europea, poi divenuta Unione europea.
Allo stesso modo, far parte di EFTA manterrà vigenti (eccetto il cabotaggio, attenzione) tutti gli accordi relativi a navigazione, compagnie aeree, registrazione di imbarcazioni ed aerei, come resteranno vigenti il  Memorandum di Parigi sui controlli e le norme in materia di ambiente e tutela della salute in mare.

Quanto agli immigrati dagli altri Paesi membri per motivi di studio, con qualche farragine in più resteranno tutti gli accordi di scambio culturale siglati dalle Università come quelli delle Società e non è poco.

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Il vero impatto arriverà dall’esclusione di Londra dal cabotaggio nei porti UE e viceversa: è il cavallo di Troia di una applicazione ‘secca’ della Brexit, dato che andrebbe a risolversi con accordi bilaterali e, da questi, sviluppo o decrescita per i diversi porti francesi, olandesi, scandinavi, tedeschi, polacchi. 

Anche l’introduzione di dazi doganali equivarrebbe alla possibilità di instaurare dei regimi commerciali diversificati tra UK e i vari paesi UE, ma in realtà le regole europee lo impediscono, per cui si applicheranno i parametri del WTO (es. 5% per i prodotti industriali) e buonanotte, salvo accordi dell’ultim’ora.

Timori simili arrivano per le ricadute sull’IVA, sulle accise e sulle imposte indirette di tanti piccoli operatori europei, se  il Regno Unito diventa un Paese terzo senza accordi appositi, ma almeno l’effetto sarebbe omogeneo per tutta l’Unione ed è una situazione che creerebbe molti problemi anche a Londra.

Ma il timore maggiore è che – con il rientro della Gran Bretagna nell’EFTA – le nazioni extraeuropee del Commonwealth potranno far destinare le merci pre-assemblate nel Regno Unito, per poi introdurle in Europa alle medesime condizioni del mercato unico, andando a colpire nazioni manifatturiere ‘deboli’ come la nostra.

In altre parole proprio quello che ha sottolineato durante il Consiglio europeo del 23 marzo 2018:la mancata partecipazione all’unione doganale e al mercato unico produrrà inevitabilmente attriti in ambito commerciale” … tra i diversi paesi europei che verranno toccati dalla Brexit in maniera diversa e con interessi differenti.

E gli inglesi? Quali ripercussioni negative dalla Brexit?

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Per la Confederazione dell’Industria Britannica, in caso di Brexit senza un’accordo, ci sarebbero “un calo del PIL fino all’8% e migliaia di posti di lavoro a rischio“.
I media parlano di ‘allarme’, ma non è una brutta previsione – anzi sarebbe un buon affare – se il ritorno al Commonwealth avesse un impatto iniziale sicuramente inferiore al 10% del PIL e se fossero solomigliaia, non decine e centinaia di migliaia, i disoccupati.
Effetti negativi che possono essere ammortizzati notevolmente con il mantenimento dell’IVA e degli accordi su accise e imposte indirette, come anche dall’uso delle proroghe per introdurre una qualche gradualità.

Viceversa, restando in Europa, la Gran Bretagna non riceve tutti i benefici che ha come fondatrice del Commonwealth, vede umiliato il proprio potenziale manifatturiero e sta registrando un passivo di 54 miliardi di euro nell’export-import ogni quattro mesi (gennaio-aprile 2018 – Eurostat).

Come finirà? La Germania e la Francia si stanno preparando? E quale batosta per l’Italietta del debito pubblico?
Alla prossima.

Demata

La Catalogna e l’eterno dilemma europeo

3 Ott

Il New York Times aveva previsto che “il 2 ottobre il president Puigdemont potrebbe dichiarare l’indipendenza della Catalogna e la Spagna interverrà manu militari e i catalani resisteranno… Mariano Rajoy passerà alla storia come uno sciocco che a forza di scalare una piccola collina l’ha fatta diventare l’Everest.”

Infatti, se Josep Maria Jové, ministro degli esteri catalano, ben aveva spiegato che “non è un problema di economia, cultura, lingua, ma democratico” e che vogliono essere “meno legati ai pregiudizi ereditati e più basati sullo sblocco delle potenzialità che ci offre il presente e il futuro”JP Morgan  sta consigliando ai propri clienti di “vendere i titoli del debito spagnolo per spostarsi con titoli in Portogallo e Germania”. “Fatelo il prima possibile, perché il movimento indipendentista catalano comincerà a fare pressione nel breve periodo e si cominceranno a vedere le perdite.” 

La chiave dell’enigma spagnolo, dell’irritazione statunitense che minaccia il trasferimento delle sue aziende e del silente attendismo europeo è presto detta: vada come vada, la ‘revuelta catalunya’ è un incipit che potrebbe contagiare tutto il Mediterraneo e l’Eurozona.

Infatti, l’agenzia Fitch ben spiega a chi vuole intendere che “la Catalogna è una regione che dipende fondamentalmente dal Fondo di Liquidità Autonomo e dagli anticipi di denaro per attendere spese immediate”, pur rappresentando il 19% del PIL spagnolo, ergo è tenuta in condizioni di assoluta sussidiareità da Madrid.

2017-10-03

Una regione che i nostri media associano alla movida, all’intrattenimento ed all’effimero, che è riuscita a riemergere nonostante la sussidiareità imposta dal Potere nazionale centrale ed è oggi un polo industriale, oltre che finanziario, con una zona franca, amministrata da un consorzio pubblico-privato costituito da circa 300 imprese di spessore ed una esemplare digitalizzazione della pubblica amministrazione, con la quale già oggi il 45% della popolazione interagisce via internet.
A proposito delle banche, quelle catalane: è vero che sono indebitate, ma una bella parte dell’esposizione è verso la Spagna e l’amministrazione spagnola … ed a portagli via le fabbriche ci sarà da capire dove trovare la manodopera, salvo deportare i catalani …

Una regione storicamente a parte – come Napoli, Istanbul, Beirut, Venezia o Bengasi, con le quali condivide una solida tradizione industriale e commerciale – che, a quasi 10 anni dal massivo arrivo dei cinesi al Pireo, inizia ad riaccedere ai flussi mercantili dall’Oriente. Se l’Italia sta ripristinando di fretta e furia i porti di Ortona e Pescara ci sarà un motivo …

Dunque, quel che accade ed accadrà a Barcellona avrà un peso anche in Campania, nel Nordest italiano, come in Turchia, Medioriente o Libia, ed è facile intuire il timore che sta serpeggiando tra i sostenitori della Stabilità a tutti i costi, cioè tra i Difensori degli equilibri costituitisi cento e passa anni fa nel Mediterraneo, grazie a veri e propri atti di rapina messi in atto da “stati-canaglia”, come li definiremmo oggi.

Ritorna in auge, insomma, la primaria questione se viviamo in un’Europa degli Stati (e delle Banche) o dei Popoli e dei Cittadini.
A seguire quella di quanto si possa andare avanti con Costituzioni, Codici di giustizia, Sistemi sanitari e previdenziali divergenti, se non l’un l’altro incompatibili. 

Intanto, in Italia, ‘grazie a Barcellona’, potremmo scoprire che “i porti italiani sono sempre più stretti tra competitori agguerriti e la loro governance in grave ritardo. 23 autorità portuali separate senza autonomia di spesa li governano con modalità barocche. Le dogane si allineano: un container proveniente dalla Cina subisce 17 controlli da 3 ministri coinvolti e deve esibire 70 documenti. Tempo necessario da noi una settimana, a Rotterdam 48 ore al massimo.”
Cioè accade come a Barcellona, dove una governance centrale farragginosa e corrotta soffoca la crescita di una città e di una regione che trainano la crescita e lo sviluppo generali.

Come andrà a finire in Spagna?
Dipende dall’Europa: in caso di ‘autonomia’ valgono le stesse regole di Brexit e tutti i trattati restano vigenti fino ad esplicita disdetta o variazione?
Oppure, l’Europa intende considerare i Catalani come fossero degli ammutinati contro la Reale Corona di Spagna?

Demata

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