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Rapine: serve una legge sulle armi

25 Lug

“Chiunque, per procurare a se’ o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, e’ punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da lire un milione a quattro milioni. Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione per assicurare a se’ o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a se’ o ad altri l’impunita’.” (art. 628 del Codice Penale italiano)

Ieri, la moglie di Edinson Cavani, il top player della squadra di calcio partenopea, è stata rapinata, nel quartiere residenziale prospiciente lo stadio che ospita anche la sede del Politecnico e dell’Università Federico II, dell’orologio che portava al polso, un Piaget da 18.000 euro.

Un fatto non isolato, se Claudio Anellucci, agente del calciatore, ha commentato: “Purtroppo non è il primo episodio del genere che accade a Napoli, già qualche tempo fa dei ladri avevano svaligiato la casa di Edinson. Anch’io mi sono visto minacciare con una pistola. Addirittura nel mio caso l’hanno puntata contro mia moglie incinta.  Maria (moglie di Cavani-ndr) è ancora un  provata dall’accaduto, ci vorrà del tempo ma passerà. La nota positiva viene comunque dalla solidarietà espressa e manifestata da molti”.

Non è il primo episodio – era toccato anche ad Hamsik ed alla compagna del Pocho Lavezzi tra gli altri – e non sarà l’ultimo. Un ‘problema’ – quello delle rapine a mano armata in pieno giorno – che esiste  dagli Anni Ottanta, con la diffusione delle tossicodipendenze, e che altrove è regredito già da molti anni, mentre a Napoli continua ad essere un fenomeno che nè la Legge nè la Camorra riescono a debellare.

Ovviamente, turisti, investimenti ed eccellenze rifuggono una città dove si rischia di vedersi una pistola puntata alla testa mentre si è a passeggio e Napoli è condannata al degrado da  ‘quattro pezzenti’, i soliti ‘lazzaroni’, e non solo dal saccheggio e l’oblio seguiti all’Annessione delle Due Sicilie.

A contraltare, è di questi giorni la notizia che il complesso ricreativo, che Aurelio De Laurentis e la Società Calcio Napoli intendono riqualificare, potrebbe includere non solo lo Stadio San Paolo, ma anche lo Zoo, la Mostra d’Oltremare, il Cinodromo, il Bowling ed il parco divertimenti di Edenlandia.
Sempre nell’area flegrea, praticamente in posizione limitrofa, la Fondazione per l’Infanzia del Banco di Napoli rientrerà in possesso – entro la fine del 2013 – degli appezzamenti e delle strutture attualmente utilizzate dal Comando NATO di Bagnoli. E sempre lì, a Bagnoli, si attende che Roma e la Regione Campania smettano di cincischiare e realizzino il porto turistico previsto da 30 anni e passa, ormai. Infine, giusto per non farsi mancare nulla, aggiungiamo che l’area confina con il Parco Naturale degli Astroni, la Solfatara di Pozzuoli, le Terme e l’Ippodromo di Agnano.

Tutto entro un diametro di cinque chilomentri al massimo.

Perchè una tale gallina dalle uova d’oro sia ferma da 30 o settant’anni è uno dei misteri della Repubblica Italiana. Fatto sta che i luoghi di balneazione, fin dal Settecento, erano a Bagnoli ed a Posillipo e che Eduardo De Filippo ha voluto ambientare uno dei suoi capolavori, ‘Uomo e Galantuomo’, proprio in questa realtà, esistente fino agli Anni Cinquanta.

Quello che sappiamo di sicuro è che finchè ci saranno rapine e scippi come quello subito dalla moglie di Edinson Cavani – e da tantissimi napoletani prima di lei – è difficile pensare che possa esserci una ripresa della città od un rientro di chi è andato via.

Scondo le statistiche del 2011, Roma e Milano registrano un’impennata dei reati denunciati dell’8% come anche per Genova, Bologna e Firenze, mentre Napoli segna un – 7%, piazzandosi al 23° posto per reati complessivi e al 91° per i cosiddetti “reati predatori”, cioè scippi e rapine. Non è dato sapere quanti reati non vengano affatto denunciati dai napoletani – per rassegnazione o per paura – ma, anche se il dato fosse lontanamente coincidente con la realtà partenopea, l’esito sarebbe comunque lo stesso: c’è un centinaio, forse un migliaio di rapinatori, più o meno improvvisati, che imperversa in città commettendo reati di tipo predatorio, ovvero quelli che tipicamente attentano alla sicurezza sociale ed all’ordine costituito, ovvero le due condizioni essenziali per avere investimenti e crescita.

Rapinatori che raramente vengono catturati, dato che arrivano in scooter da quartieri o comuni distanti anche decine di chilometri, e che possono contare sulle rappresaglie del proprio entourage, caso mai la vittima reagisca o tenti rivalsa. Persone che hanno una disponibilità illegale di armi di a fuoco.

Una ‘detenzione illegale di armi in pubblico’ che in Italia si chiama ‘porto abusivo di armi’ – una contravvenzione di pubblica sicurezza, non un reato grave – ed è punita con una pena di 18 mesi al massimo, che diventano 3 o 4 se consideriamo gli arresti domiciliari in attesa del processo e la riduzione di un terzo della pena.

Per lo stesso reato in Gran Bretagna vengono comminati fino a quattro anni di carcere per direttissima (Prevention of Crime Act 1953 ). In USA, il sospetto di “armed and dangerous” giustifica la perquisizione e l’arresto immediati, oltre che l’uso delle armi da parte degli agenti  (Terry v. Ohio, 392 U.S. 1 – 1968). In Germania, vengono comminati fino a due anni d reclusione, salvo però che l’arma non sia stata usata per fatti gravi, con incremento della pena per il solo possesso illegale fino a dieci anni di carcere (§§51,52 WaffG strafbar).

Mentre Obama si accinge ad irrigidire – almeno – il possesso di armi automatiche in USA e, forse, il numero di quante una singola persona possa possederne, sarebbe opportuno che l’Italia rivedesse la propria legislazione in materia di armi da fuoco,  incrementando i controlli e irrigidendo le pene.

Rischiare tre anni di carcere per una rapina è un conto – specialmente se gli anni si riducono a mesi quando l’arresto non è in flagrante – ma è tutt’altra cose rischiarne altrettanti o di più per direttissima, solo perchè colti con un’arma addosso, mentre ci si reca a commettere reati.

E, se parliamo di reati predatori (anche gli stupri e non solo le rapine) commessi a Napoli, Roma od in altre località turistiche, dovrebbe essere d’obbligo ritrovarsi, eventualmente il ‘fattaccio’ sia rimbalzato sui media nazionali od esteri, il Comune come parte civile per i danni d’immagine causati (vedi il caso di Cavani) e che i ‘risarcimenti’ siano convertibili in ulteriori anni di carcere o di servizio sociale.

Uno Stato degno di tale nome non può continuare a permettere che una manciata di ‘lazzaroni’ infanghi il buon nome di una intera popolazione, terrorizzi residenti e turisti, metta in fuga investimenti e crescita. Uno Stato che volesse ‘salvare l’Italia’ non può lesinare mezzi ed uomini alle forze dell’ordine o rincorrere, in certi territori,  solo il ‘grande crimine’, mentre la microcriminalità opera indisturbata e distrugge il tessuto produttivo.

A dire il vero, uno Stato decente non avrebbe permesso a Regione Campania e Comune di Napoli di cincischiare per 30 anni sul porto turistico di Bagnoli, ma questa è un’altra storia, la solita storia italiana di fanfaronate, appalti e sprechi. Ne riparleremo

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Strage ad Oakland. Il movente? Rivalsa …

3 Apr

Sette morti, tre feriti gravi: ecco l’ennesima strage, questa volta all’interno di una università statunitense, la Oikos University, una piccola università  d’ispirazione cristiana  ad Oakland, in California.

Come al solito, nelle cronache, troviamo la definizione di “folle”, come in altri casi abbiamo letto le parole “islamico” o “anarchico”. E come al solito, accade che nessuno si interroghi – analisti, politici, militari e giornalisti – sul nuovo corso del terrorismo, iniziatosi nel 1995 con il massacro di Oklahoma City in cui venne demolito, con un “camion bomba”, l’edificio federale Alfred P. Murrah, sede dell’FBI, in cui morirono 168 persone e se ne ferirono oltre 800.

Un attentato avvenuto  sei anni prima dell’abbattimento delle Torri Gemelle, che ha visto l’uso di tattiche ed “armi” non convenzionali, che era mirato non alla semlice strage, ma alla disarticolazione di una leadership (FBI), che venne eseguito da due sole persone (Timothy McVeigh e Terry Nichols), politicizzate ma prive di contatti o collegamenti, che aveva come movente la “rivalsa” (in ingl: revenge) e non un mondo migliore.

Un attentato cui fece seguito quello delle Twin Towers, attuato da una cellula jihadista, collegata al network Al Qaeda di cui l’emiro Osama Bin Laden era uno dei fondatori. Anche in questo caso parliamo di tattiche ed “armi” non convenzionali, non di una semlice strage, ma della disarticolazione di una leadership (Wall Street), un attacco eseguito da poche persone, politicizzate ma prive di contatti o collegamenti sul posto, che aveva come movente la “rivalsa” e non un mondo migliore.

Nella confusione e nello shock collettivo seguito all’11 settembre, George Walker Bush ed i suoi consiglieri trovarono utile affermare qualche mezza verità ed un paio di grosse bugie pur di nascondere una realtà ben più complessa, ma anche relativamente semplice.

Nacque il teorema della “guerra asimmetrica” e dei “combattenti non belligeranti”, in cui degli “stati canaglia” finanziavano delle “cellule terroristiche”, motivate da una fede corrotta o da fame di denaro. In realtà, gli “stati canaglia” non c’erano (salvo forse l’Afganistan del Mullah Omar), la “guerra asimmetrica” non esisteva, se non nella quantità di missili e bombardieri in dotazione alla USAF, i “combattenti non belligeranti” erano spesso degli “insorgenti”, le “cellule terroristiche” erano motivate dalla “revenge” e non solo e semplicemente dalla “fede corrotta”.

Così andando le cose, specialmente per colpa di un sistema mediatico che raramente riesce a contraddirre, con propri studi, le informazioni “official”, accadde che iniziasse la “War on Terror” che ancora oggi coinvolge le forze armate di mezzo mondo contro un nemico invisibile e largamente inesistente, come comprovano le statistiche decennali relative a complotti ed attentati attuati o sventati che vedono all’opera singoli o pochi individui, solitamente “pazzi”.

Non a caso le misure “antiterrorismo”, messe finora in atto, poco hanno a che vedere con l’attentato del kamikaze isolato ed a nulla servono se ad agire è un network (islamico o narcomafioso che sia), ma che tanto servono a prevenire il terrorismo interno, quello spontaneo, quello dei cittadini che “impazziscono”.

Ed, infatti, nonostante si sia ingigantito il controllo sulle armi, sui prodotti chimici di base, sulle transazioni di denaro, su determinati ambienti e persone, solo in Europa ci ritroviamo, nel giro di un anno o poco meno, con i roghi di Atene e le persone bruciate vive dai Black Blocks, il massacro di Utoya attuato da Brevik, la mattanza di Tolosa, attuata da Mohammed Merah, la ripresa del terrorismo “endemico” in Italia, tra pacchi bomba, sabotaggi e pistolettate, l’eccidio (ormai trimestrale o quasi) in un campus universitario.

Tutti attentati condotti con tattiche ed “armi” modeste o non convenzionali, finalizzati alla disarticolazione di una leadership o di un gruppo preciso, eseguiti da singoli individui, politicizzati ma aventi come movente la “rivalsa”.

Dunque, si sbaglia chiunque pensi che la fine delle ideologie coincida con una periodo di “pace” sociale, come si sbaglia chi pensa che per far risorgere il terrorismo serva una “organizzazione”.

Analizzando i tanti atti di “terrore” avvenuti nella Storia, raramente ci troviamo dinanzi ad individui ben collegati o parte di una organizzazione, un aspetto che prende forma solo nel Novecento con le organizzazioni paramilitari marxiste-leniniste o con i movimenti nazionalistici come l’IRA irlandese, l’ETA basca, la Banda Stern israeliana, Al Hamas palestinese.

Gli atti terroristici sono azioni condotte da pochi, se non singoli, individui o da organizzazioni o network con forti connotazioni settarie, un po’ come la Congrega degli Hashassin di un migliaio di anni fa, ai quali vanno ad aggiungersi gli attentati condotti da o per conto di uno dei tanti cartelli narcomafiosi operanti nel mondo.

D’altra parte cosa aspettarsi dal Liberismo, se, finite le ideologie e trasformati i partiti in grosse ammucchiate, non resta solo l’antipolitica, così “utile” per chi, come i poteri finanziari, necessita del “divide et impera” per condurre i propri giochi.

Riemerge con imperio il “prepolitico”, come i Communards antropofagi del 1848 parigino, le bande armate come quella di Bonnot o di Pancho Villa, gli atti isolati come quello di Apple ad Odessa, i regicidi come quello di Umberto I di Savoia ucciso dal meridionale Gaetano Bresci, quarante anni dopo l’annessione delle Due Sicilie.

La sete di “rivalsa”, figlia dell’esasperazione e nipote dell’esclusione, è la “dea” che guida la mano di un attentatore, non le “ideologie”, come tanti, molto speranzosamente, vorrebbero credere.

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Terrorismo del III Millennio

22 Mar

Mentre l’agguato al consigliere dell’UDC torinese, Alberto Musy, è già sparito dalle prime pagine e mentre Mohammed Merah decide di morire armi alla mano, come i suoi avi nella Guerra d’Algeria, accade che nessuno si interroghi – analisti, politici, militari e giornalisti – sul nuovo corso del terrorismo, iniziatosi nel 1995 con il massacro di Oklahoma City in cui venne demolito, con un “camion bomba”, l’edificio federale Alfred P. Murrah, sede dell’FBI, in cui morirono 168 persone e se ne ferirono oltre 800.

Un attentato avvenuto  sei anni prima dell’abbattimento delle Torri Gemelle, che ha visto l’uso di tattiche ed “armi” non convenzionali, che era mirato non alla semlice strage, ma alla disarticolazione di una leadership (FBI), che venne eseguito da due sole persone (Timothy McVeigh e Terry Nichols), politicizzate ma prive di contatti o collegamenti, che aveva come movente la “rivalsa” (in ingl: revenge) e non un mondo migliore.

Un attentato cui fece seguito quello delle Twin Towers, attuato da una cellula jihadista, collegata al network Al Qaeda di cui l’emiro Osama Bin Laden era uno dei fondatori. Anche in questo caso parliamo di tattiche ed “armi” non convenzionali, non di una semlice strage, ma della disarticolazione di una leadership (Wall Street), un attacco eseguito da poche persone, politicizzate ma prive di contatti o collegamenti sul posto, che aveva come movente la “rivalsa” e non un mondo migliore.

Nella confusione e nello shock collettivo seguito all’11 settembre, George Walker Bush ed i suoi consiglieri trovarono utile affermare qualche mezza verità ed un paio di grosse bugie pur di nascondere una realtà ben più complessa, ma anche relativamente semplice.

Nacque il teorema della “guerra asimmetrica” e dei “combattenti non belligeranti”, in cui degli “stati canaglia” finanziavano delle “cellule terroristiche”, motivate da una fede corrotta o da fame di denaro. In realtà, gli “stati canaglia” non c’erano (salvo forse l’Afganistan del Mullah Omar), la “guerra asimmetrica” non esisteva, se non nella quantità di missili e bombardieri in dotazione alla USAF, i “combattenti non belligeranti” erano spesso degli “insorgenti”, le “cellule terroristiche” erano motivate dalla “revenge” e non solo e semplicemente dalla “fede corrotta”.

Così andando le cose, specialmente per colpa di un sistema mediatico che raramente riesce a contraddirre, con propri studi, le informazioni “official”, accadde che iniziasse la “War on Terror” che ancora oggi coinvolge le forze armate di mezzo mondo contro un nemico invisibile e largamente inesistente, come comprovano le statistiche decennali relative a complotti ed attentati attuati o sventati.

E, intanto, venivano prese misure che poco hanno a che vedere con l’attentato del kamikaze isolato ed a nulla servono se ad agire è un network (islamico o narcomafioso che sia), ma che tanto servono a prevenire il terrorismo interno, quello spontaneo, quello dei cittadini che “impazziscono”.

Ed, infatti, nonostante si sia ingigantito il controllo sulle armi, sui prodotti chimici di base, sulle transazioni di denaro, su determinati ambienti e persone, solo in Europa ci ritroviamo, nel giro di un anno o poco meno, con i roghi di Atene e le persone bruciate vive dai Black Blocks, il massacro di Utoya attuato da Brevik, la mattanza di Tolosa, attuata da Mohammed Merah, la ripresa del terrorismo “endemico” in Italia, tra pacchi bomba, sabotaggi e pistolettate.

Tutti attentati condotti con tattiche ed “armi” non convenzionali, finalizzati alla disarticolazione di una leadership, eseguiti da singoli individui, politicizzati ma aventi come movente la “rivalsa”.

Dunque, si sbaglia chiunque pensi che la fine delle ideologie coincida con una periodo di “pace” sociale, come si sbaglia chi pensa che per far risorgere il terrorismo serva una “organizzazione”.

Analizzando i tanti atti di “terrore” avvenuti nella Storia, raramente ci troviamo dinanzi ad individui ben collegati o parte di una organizzazione, un aspetto che prende forma solo nel Novecento con le organizzazioni paramilitari marxiste-leniniste o con i movimenti nazionalistici come l’IRA irlandese, l’ETA basca, la Banda Stern israeliana, Al Hamas palestinese.

Gli atti terroristici sono azioni condotte da pochi, se non singoli, individui o da organizzazioni o network con forti connotazioni settarie, un po’ come la Congrega degli Hashassin di un migliaio di anni fa, ai quali vanno ad aggiungersi gli attentati condotti da o per conto di uno dei tanti cartelli narcomafiosi operanti nel mondo.

Dunque, venendo all’Italia.la questione si pone in un modo ben più complesso di quanto vogliano pensare i “grilli parlanti” che poco leggono d’inglese o d’internet.

In una tale ottica, il rischio principale è rappresentato dagli over 50 che dovessero trovarsi senza impiego o sul lastrico e che, avendo imparato quanto necessario durante gli Anni di Piombo, potrebbero dar luogo ad azioni individuali anche molto plateali e drammatiche, ben oltre l’arrampicarsi su una gru o darsi fuoco per strada come già accaduto. In subordine, c’è da chiedersi cosa faranno i loro figli, visto che la “rivalsa” sembra essere il movente universale … senza trascurare qualche ex naziskin o panterino quarantenne esacerbato da 20 anni di precariato.

L’attentato ad Alberto Musy sembra appartenere a questa categoria di eventi, a prescindere dalla eventuale politicizzazione dell’attentatore.

Immediatamente dopo, i rischi che l’Italia corre derivano da due “attori protagonisti”, non “combattenti non belligeranti” o “disadattati confuiti nel terrorismo”,: le mafie e gli stati esteri con cui non abbiamo alleanze, interessati a destabilizzare l’Italia e, tramite noi, l’Eurozona ed il sistema finanziario “trilaterale”. Ma queste, a voler essere corretti, si chiamano “guerre asimmetriche” e non semplicemente “terrorismo”.

Ritornando al potenziale caos italiano, il rischio di atti isolati non è affatto irrilevante, specie se i media dovessero continuare ad ignorare il diffuso malcontento che si ascolta in giro e se un governo di tecnici dovesse continuare a perseguire una china autoritaria.

Infatti, quello di cui non stanno tenendo in conto sia Mario Monti & co. sia l’attuale classe politica europea è che, finite le ideologie e trasformati i partiti in grosse ammucchiate, non resta solo l’antipolitica, così “utile” per chi, come i poteri finanziari, necessita del “divide et impera” per condurre i propri giochi.
Riemerge con imperio il “prepolitico”, come i Communards antropofagi del 1848 parigino, le bande armate come quella di Bonnot o di Pancho Villa, gli atti isolati come quello di Apple ad Odessa, i regicidi come quello di Umberto I di Savoia ucciso dal meridionale Gaetano Bresci, quarante anni dopo l’annessione delle Due Sicilie.

La sete di “rivalsa”, figlia dell’esasperazione e nipote dell’esclusione, è la “dea” che guida la mano di un attentatore, non le “ideologie”, come tanti, molto speranzosamente, vorrebbero credere.

Il conducente è avvisato, ma … dato che queste cose non si studiano in una Università Commerciale privata come la Bocconi … chissà se i nostri “tecnici professori banchieri” saranno in grado di “leggere lo scenario” che hanno davanti.

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