Si inizia a parlare del European Redemption Fund (sigla RF o ERF), il così detto Fondo di Redenzione Europeo, che sarà il primo impegno dell’Unione Europea nel dopoelezioni, secondo la sequenza di interventi anticrisi decisi dall’Assemblea plenaria di Strasburgo nel luglio 2012.
Come ben descriveva il Sole 24 Ore del 13 Luglio 2012, “la plenaria di Strasburgo ha approvato con larghissime maggioranze i testi del ‘two pack‘, i regolamenti per l’ulteriore rinforzo della governance europea con sorveglianza di bilancio dei Paesi a rischio e valutazione dei budget annuali che il Parlamento europeo ha emendato inserendo strumenti per la crescita come Eurobond, fondo di riscatto e fondo per la crescita.” È stato invece bocciato l’emendamento presentato dai socialisti per la golden rule per lo scorporo degli investimenti produttivi dal deficit.
Stiamo parlando dei regolamenti presentati dalla Commissione Europea per integrare il “fiscal compact” e il “six pack” per la governance economica, a cui il Parlamento aggiunse, rispetto alla proposta della Commissione europea:
- l’obbligo di «armonizzare» l’emissione del debito;
- una roadmap per gli ‘stability bonds’;
- la mobilitazione di circa l’1% del PIL ogni anno» ovvero 100 miliardi l’anno «per un periodo di dieci anni» tramite Project Bond;
- un ‘fondo di riscatto« (Erf, European Redemption Fund) cui i paesi conferiscono la parte di debito eccedente il 60% del rapporto sul pil per il rimborso in 25 anni.
In due parole, circa 1.500 miliardi di euro di debito pubblico italiano verrebbero trasferiti nelRedemption Fund, dove saranno convogliate anche tutte le eccedenze di debito pubblico degli altri Stati dell’Eurozona, inclusi quelli come la Germania (debito all’80% del PIL).
Un fondo venticiquennale del genere offrirebbe buone garanzie agli investitori e permetterebbe di ‘spalmare’ il debito con interessi bassissimi. Praticamente, all’Italia l’European Redemption Fund ‘costerebbe’ una sostenibilissima ‘rata’ di 100-150 miliardi annui.
Inoltre, non più gravati da tale fardello, le risorse dissipate per interessi e deficit andrebbero a beneficio della nazione, come minore fiscalità, più welfare e infrastrutture eccetera eccetera.
Tutto bene, anzi, benissimo?
No. Di peggio in peggio.
Infatti, se il Redeption Fund è una manovra da manuale se si tratta di risanare debiti e dare ossigeno all’economia, c’è il problema che l’Italia – come tutti a tal punto – dovrebbe assumersi l’impegno di non sforare oltre il 60% del PIL … con una spesa publica che naviga oltre il 100% del PIL.
A dire il vero, si tratterebbe del 75-80% del PIL, se escludesssimo dal computo le pensioni dei lavoratori (non la previdenza sociale) erogata dall’INPS, più interessi e sprechi vari.
Restano circa 200 miliardi di euro, un 15-20% del PIL, che al momento non ci sono, anche risanando la finanza pubblica e destatalizzando l’INPS.
E questo non è un Dogma europeo o una Pretesa tedesca, ma sono i debiti che i politici da noi eletti per 20 o 40 anni hanno accumulato, dilapidando le fortune di una nazione.
Onorare i debiti ed evitare di contrarne troppi dovrebbe essere il minimo per uno Stato come si deve, con la lira, l’euro o altra valuta.
Certo che quei 200 miliardi di minori spese che mancano per portare in equilibrio la nostra macchina pubblica potrebbero essere anche trovati nell’arco di qualche anno, mettendo da parte qualche tabù, magari.
Ad esempio, pensionando in anticipo 1,5 milioni di dipendenti pubblici over60 nel quinquennio, con un turn over del 25-30%, che rappresenta una minore spesa stipendiale annua a regime di oltre 50 miliardi di euro. Se, d’altra parte, la grandissima parte dei servizi è informatizzata ed è, per giunta, gestita da ditte esterne, non si comprende la ragione di un tale mastodontico apparato di lapis e blocchetti …
Allo stesso modo – ma parliamo di buona gestione e non di tagli – potrebbero fruttare qualcosa alla nazione i 50 miliardi di euro annui che spendiamo in ‘diritto allo studio’, che andrebbero meglio gestiti e che dissipiamo in modo disomogeneo tra i territori, per il tempo pieno alle materne ed elementari, nonchè scuolabus, mense scolastiche, interculture, alunni disabili, disagio giovanile, formazione, e … associazionismo e pro loco, persino le feste patronali e tradizioni locali varie, che sempre ‘kultura’ è.
O la Sanità, la cui spesa andrebbe standardizzata su costi base nazionali e per fattori di rischio locali, visto che si tratta di un comparto assicurativo tipico (come le pensioni) nel quale il sistema pubblico si ostina a ‘deformarne le regole’ dato che detiene una condizione monopolistica.
Il resto dovrebbe arrivare dagli appalti, con una maggiore resa e una durevole manutenzione, dalla concentrazione delle funzioni pubbliche e dalla loro accessibilità per i cittadini via internet, dal rilancio produttivo e turistico del Meridone, dalla lotta alla mafia, all’evasione, alla corruzione politica.
L’European Redeption Fund è un’ottima idea, come lo sarebbe quella (in un paese, l’Italia, superindebitato) di rassegnarsi a dover soddisfare – progressivamente si spera – i fabbisogni finanziari in regime di “pareggio di bilancio”, che, vicerversa, è la pietra dello scandalo per alcuni ‘intellettuali’ e, con loro, M5S e – in parte – la Lega, con i sindacati in prima linea.
Eppure, l’ERP non è altro che i famosi bond europei che tutti cheidevano due anni fa …
Se alcuni aspetti del Fiscal Compact sono scandalosi perchè de facto esautorano i parlamenti di alcune loro funzioni a diretta ricaduta ‘esecutiva’, ciò non toglie che un debito pubblico superiore al 60% del PIL mette il paese in mano agli speculatori.
E noi italiani farcene una ragione, visto che questa storia ‘dei debitucci’ italici (ma non duosiciliani) dura da prima del 1861 …
originale postato su demata
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