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IMU, non IMU ed il paese senza meraviglie

2 Mag

Giorni fa, italiani e mercati tiravano un respiro di sollievo: è fatto, l’Italia ha un governo, che, forse, durerà pià di una stagione o di un anno, chissà. Tra l’altro, l’ultima cosa che si poteva pensare di Enrico Letta è che fosse un uomo da passi avventati, come quello del ‘salasso’ per le esauste finanze italiane, che zero IMU e tanta cassa integrazione apporteranno, insieme alle risorse che comunque servono per intervenire in aiuto di tanti esodati e disoccupati, che le politiche del Lavoro dell’ultimo anno hanno dimenticato.

Fermo restante che è ingiusto ed iniquo far pagare l’IMU sulla prima casa a chi rientra nelle fasce ISEE, che i redditi bassi devono pagare tasse locali proporzionate e che se si tratta di attività con ricavi sgravi ed esenzioni vanno ben valutati in funzione della crescita locale, va detto anche che a ‘voler mobilizzare 20 miliardi’ per alleviare la pressione fiscale ed alimentare l’occupazione si potrebbe fare ben altro.

Ad esempio, con previsionalità di minori entrate equiparabili a quella dell’IMU, si potrebbe ridurre l’IVA, almeno in alcuni settori, di un punto – non solo lasciarla così com’è – e rilanciare consumi e produzione . Come anche si potrebbero ‘aggirare’ alcune norme antiprotezionistiche dell’Unione, introducendo norme che consentano ai Comuni di modulare imposte e tributi in modo che abbiano effetti positivi sulle economie locali.

Allo stesso modo, se si vuol far ripartire le grandi aziende, oltre agli sgravi ed aiuti, servono contratti di lavoro molto diversi da quelli di cui si sente parlare dai nostri sindacati, che vogliono mantenere l’organizzazione verticistica che li ha resi parte della Casta ed arbitri dei destini italiani.
Contratti che diano spazio alle scelte ed ai benefit locali, in un quadro nazionale di regole, ma anche di intese che permettano – secondo un modello molto affermato nei paesi ‘veramente’ industriali e sperimentato con successo in Italia dall’Olivetti che fu – a fondazioni ed enti benefici alimentati dalle aziende di sostenere il benessere del territorio dove operano.

Una piccola rivoluzione, che riporterebbe la politica al ruolo ed al livello (alto) che le compete: in nessun paese al mondo, salvo quelli comunisti, esistono dei raprresentanti sindacali che sforino così tanto dal loro ruolo di lobby rappresentativa di interessi di una parte, ormai neanche maggioritaria, dei cittadini che producono.

Un mondo produttivo che è relativamente in crisi nei settori coperti dalle casse integrazione che tanto CGIL-CISL-UIL difendono a spada tratta. I disoccupati di oggi sono manovali, camerieri, banconisti, piccoli artigiani, precari con famiglia a carico, casalinghe con la laurea, giovani con la terza media che stazionano in sala giochi. Ditte individuali.
Dunque, non c’è da prendere atto che oggi come 30 anni fa i nostri sindacati continuano a distinguere tra un’illicenziabile pubblica amministrazione, gli occupati/disoccupati da cassa integrare, gli altri lavoratori.

Anche in questo caso ci si aspettava qualcosa di diverso. Ad esempio, formazione e riconversione professionale, non solo aiuto sociale. Anzi, visto che il reddito minimo è tutto ancora da discutere (abbatterebbe lo sfruttamento del lavoro nero, mettendo nei guai una parte del made in Italy), perchè non condizionare aiuti e sussidi all’inserimento in programmi sociali di riprofessionalizzazione e riqualificazione? Dicono che il turismo è il futuro dell’Italia e lo dicono proprio i vari Monti e Prodi …

E qui arriviamo al dunque: dove trovare i soldi per ripartire.
Certo, ci sono i tagli, ci sono gli sprechi, ci sono le caste, c’è l’evasione fiscale come c’è la mafia. Tutti obiettivi a lungo termine, che solo un governo forte e di longevo può sperare di affrontare con successo. Il buco Sanità? Indiscutibile con quasi 100 parlamentari che arrivano dal settore …

Ma, se parliamo di soldi, c’è il Demanio, con coste e luoghi ameni che attendono solo di essere valorizzati, c’è l’INPS, tirchio con i deboli e benefattore con i potenti, ci sono sedi ministeriali e degli enti locali del tutto inutili, mal dislocate e onerose. C’è Equitalia, che se vale quel che dice di valere – potrebeb essere effettivamente privatizzata privando il MEF di un ignobile ruolo di gabelliere e privando gli esattori del ruolo ‘istituzionale’ e degli accessi ai nostri dati personali di dubbia costituzionalità.
C’è la questione degli interessi maturati sui mutui, specie quelli ultradecennali, e l’evidenza che da un lato sono enormi, con la conseguenza che è crollato il settore, e che anche un’aliquota minima dell’1% sgli utili porterebbe nelle casse dello Stato enormi quantità di liquidità. Una questione che potrebbe essere affrontata nel corso della soluzione del caso Cassa Depositi e Prestiti o nel riparto – che prima o poi avverrà – di Finmeccanica e RAI.

In questo momento, il Governo Letta ha un’ampia maggioranza parlamentare, ma – mettendo insieme il 20% che non ha votato, il 18% che è andato a M5S, il 3% della Lega e di SEL con il 2% di Ingroia – viene fuori che quasi la metà di italiani è molto lontana dal sentirsi rappresentata.
Diciotto milioni di elettori – uno più uno meno – ai quali si aggiungono i tanti che hanno votato PD-Monti-PdL, ma stanno lì, diffidenti, a guardare … come, a guardare, c’è l’Europa, aspettando qualche passo falso del buon Enrico Letta che, forse, è già avvenuto.

Dunque, basta giochi di palazzo, si inizi a parlare di politica economica e del lavoro e, se si vuole placare il malcontento e smetterla con la politica ‘urlata’, si dia al Movimento Cinque Stelle un ruolo importante nella Convenzione per le Riforme, visto che con il 25% alla Camera è fuori da tutte le cariche istituzionali e da tutte le commissioni che contano. A furia di occupare sedie e poltrone, s’è lasciato il trono fuori le mura …
Aggiungere nanismo politico ed altra arroganza all’iniquità e all’incapacità ed all’avidità già dimostrate sarebbe un errore ferale per la politica e la governabilità italiane.

Mario Monti spiegava – giorni fa in televisione – che ‘loro’ prefriscono non confrontarsi con un certo mondo, come se fosse tutto composto da ignoranti od urlatori, ma che, comunque, ‘accettano i suggerimenti’.
Il Professore, a dire il vero, di suggerimenti che arrivavano ‘da noi comuni mortali’ ne ha accettati davvero pochi. Speriamo che Enrico Letta, almeno un’oretta in Rete al giorno, magari anche su siti non italiani, la trascorra e che, ancora quarantenne, non si sia già tagliato fuori dal (caotico, ma spietato) dibattito globale … smettiamola di dimenticare che dietro 100 tweet su una pagina di un politico, ci sono migliaia di ‘popolani’ che borbottano, centinaia di notizie unofficial, studi e statistiche ben accreditati.

Se le folle urlanti sono preludio di fatti infausti, e siam d’accordo, questa Politica preferisce forse vivere in un ‘mondo a parte’ e che si continui a ridergli dietro, visto che Crozza è più seguito dei telegiornali, ormai, e che l’immagine dell’Itala è putualmente deturpata?
Vogliamo continuare a vivere degli spiccioli che forse Angela Merkel concederà ‘per il bene dell’Europa’? E per quanto ancora?

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Arrivano le elezioni. E i temi concreti?

14 Gen

Si va alle elezioni e, finora, nessuno dei nostri partiti ha finora chiarito cosa intenderà fare riguardo i ‘temi concreti’ della politica e dell’economia italiana.

Ad esempio, dove prendere i soldi con i quali far ripartire la crescita e rilanciare il paese dopo dieci anni di stagnazione economica causata dall’inadempienza dei governi e dei parlamenti alla necessità di riforme strutturali ed innovazione.

E la patrimoniale “secca”, va fatta sui redditi privati, come propone Bersani, o sugli immobili pubblici, come chiede Oscar Giannino, leader di Fare per Fermare il Declino? Come anche cosa sarà della riforma delle concessioni demaniali e cessione di aree demaniali per edilizia turistica, in agenda entro la fine della prossima legislatura?

Oppure, manteniamo il deprimente ed iniquo caos sulle pensioni oppure andremo al riordino, visto che oggi 700.000 italiani percepiscono, senza aver adeguatamente contribuito, quanto altri 20 milioni di pensionati ben più poveri, incrementando il debito pubblico di almeno 10 miliardi di euro all’anno? E per quanto tempo ancora potremo assistere all’antropofago spettacolo di pensioni ben superiori al corrente stipendio d’ingresso per la stessa qualifica/posizione?

Porremo limiti all’espansione della grande distribuzione che sta svuotando i centri abitati dagli esercizi commerciali ed imporremo un sistema di packaging che eviti ai cittadini di dover costosamente smaltire enormi quantità di plastica e plastificati? Reintrodurremo la mezzadria e riformeremo dei sistemi consortili e cooperativi nell’agricoltura, una via per abbattere costi vivi e prezzi al consumo?

Arriveremo al contingentamento delle dirigenze pubbliche e dei redditi derivanti da incarichi plurimi, come nel caso dei primari dei policlinici universitari? Privatizzeremo il sistema assicurativo dei lavoratori del settore privato? Defiscalizzeremo i premi ai lavoratori e dei contributi previdenziali od assicurativi? Attueremo una riforma del sistema delle contrattazioni sindacali con maggiore apporto per gli accordi locali?

Introdurremo nuove leggi sul conflitto di interessi e sulla Par Condicio? Arriveremo all’immissione sul mercato (ed allo smantellamento) della televisione commerciale di Stato? Attuaremo la riforma delle norme sull’editoria, sia per quanto relativo ai finanziamenti pubblici sia per quanto relativo i rapporti tra editore e comitati di redazione?

E cosa ne sarà delle inutili Province e degli inutili comuni al di sotto dei diecimila abitanti? O delle tante aziende a capitale o partecipazione pubblici, che costano diversi miliardi per stipendi e rimborsi del personale?

Troveremo una via per prepensionare il pubblico impiego, che arranca da anni e decenni dietro un’innovazione tecnologica sempre più esigente, e così poter procedere alla riorganizzazione della Pubblica Amministrazione?

Fosse solo in nome dell’ambiente, avvieremo politiche fiscali che incentivino il trasporto su rotaia o via mare? Visto che almeno il 60% dei maschi adulti non è diplomato, avvieremo una campagna di formazione permanente per gli adulti e una qualche razionalizzazione della rete formativa post-diploma ed universitaria? Introdurremo l’obbligo per tutti i detenuti di attività di studio e lavorativa, in carcere per quelli pericolosi, eventualmente all’esterno per i recuperandi?

Attueremo una vera riforma della giustizia con totale separazione delle carriere tra inquirenti, giudici ed avvocati? Ci sarà la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, come organismo “interno” al sistema giudiziario e con forti poteri disciplinari? avremo una definizione degli standard di qualità e di best pactices nel sistema giudiziario? Otterremo delle sentenze “in base alle prove presentate” e non “in base a giusto convincimento”? E che dire della semplificazione dei codici di procedura giudiziaria e del sistema di notifica degli atti?

Quanto alla malasanità a macchie di leopardo, ci sarà l’istituzione di un qualche servizio ispettivo nazionale per il sistema ospedaliero e di medicina di base, visto che il monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità è palesemente poco descrittivo del disastro in corso e, soprattutto, non ha poteri di intervento?
Visto il caos burocratico e gestionale di tanti siti sanitari, a partire da certe astanterie chiamate sale d’attesa, ci sarà l’obbligo per i medici dirigenti di superare una prova giuridico-amministrativa?

Visto che in molti ospedali non si vede un volontario uno, cosa farne delle Onlus operanti nel settore sociale e salutistico? Le obbligheremo ad utilizzare almeno il 30% del fund rising in interventi diretti per i malati, come accompagno, assistenza e supporto, eccetera? Ed il mercato nero degli alloggi, vogliamo sanarlo obbligando i grandi ospedali di dotarsi, anche con convenzioni ad hoc, di strutture ricettive (bed & breakfast) per pazienti e familiari? Ed i 2-6 milioni di malati cronici e/o rari dovranno ancora macinare ore e chilometri per una fiala, oppure avranno il diritto di essere curati presso ospedali generali o poliambulatori di propria scelta, con abbattimento dei rischi terapeutici e dei costi per accertamenti e cure?

La smetteremo di inseguire il miraggio di 100-200 miliardi da recuperare dall’evasione fiscale e, piuttosto, prenderemo atto che qualche calcolo è, evidentemente, troppo ottimistico e che, probabilmente, è il sistema che utilizziamo che non funziona, visto che la pressione fiscale è esosa e sfilacciata? E come non considerare quanto stamane Oscar Giannino spiegava ai telespettatori durante la trasmissione Omnibus, ovvero che siamo in un paese dove la pressione fiscale è almeno al 43% a fronte di stipendi molto bassi e che per questo è necessario attenuare il carico sui redditi, sulla produzione e sul lavoro?

E che dire di uno Stato ‘guardone’ che pretende di analizzare persino i consumi di sapone nelle nostre case, ma non onora i propri impegni ed i propri debiti?

Alcune delle tante domande per le quali vorremmo leggere le soluzioni nei programmi elettorali e delle quali vorremmo sentir parlare nei talk show televisivi.

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Spesa pubblica: due conti in croce

29 Giu

I dati forniti da SIOPE e diffusi mesi fa dall’Unione Province Italiane (link) descrivono la distribuzione della Spesa Pubblica italiana e forniscono – nell’estremo tentativo di salvare gli enti politici provinciali – un quadro alquanto desolante, per quanto relativo alla situazione generale, e fin troppo deludente per quanto inerente l’azione di governo esercitata da Mario Monti ed i suoi prescelti.

Infatti, mettendo in tabella i dati SIOPE-UPI sul 2011 insieme ai dati forniti dal Ministero dell’Interno e dal MIUR – riguardo le proprie spese (2010) – e dalle Regioni e Province – relativamente al numero dei consiglieri – ecco cosa ne viene fuori.

Dati che vanno letti considerando che un consigliere comunale del Comune di Sassari ci costa solo 13.338 Euro all’anno, trasferte e rimborsi inclusi. (leggi anche sui CdA, Lo scandalo degli Enti Strumentali)

Se questo è il costo dei cosiddetti ‘apparati’, ovvero dei consiglieri-parlamentari e dei rispettivi gruppi consiliari, non è che con la sommatoria – incompleta- della spesa pubblica si vada meglio.

Fatti salvi circa 11 miliardi di Euro spesi per il Ministero dell’Interno e palesemente insufficienti, non è chiaro per quali motivi l’Italia abbia una spesa per l’Amministrazione Centrale di quasi 200 miliardi a fronte di una spesa complessiva delle Amministrazioni locali di ‘soli’ 135 miliardi, in cui rientrano strade, porti, reti locali, ambiente eccetera.

Quanto ai due soli servizi (istruzione e sanità) dove Stato e Regioni hanno competenze condivise, i dati raccontano che per la scuola si spende troppo poco, mentre per la salute si spenda troppo e male.

Male non solo per i servizi scarsi o inutili che arrivano ai cittadini, ma soprattutto perchè, se le Regioni spendono tre volte tanto per ASL e ospedali di quanto spendano per tutto il resto, è presto spiegato il disastro italiano.

Infatti, con una sproporzione tale – in termini di volume finanziario e di bisogni dei cittadini da soddisfare – non è improbabile che non pochi consigli regionali siano ‘dominati’ da lobbies afferenti al settore sanitario, come non pochi scandali dimostrano, dalla Regione Puglia agli ospedali cattolici romani o milanesi.

D’altra parte, 116 miliardi di spesa sanitaria annui sono una cifra enorme che richiederebbe ben altro che una spending review, in questi tempi di crisi. Infatti, non saranno i 246.691 infermieri (10 mld di spesa annua?), i 46.510 medici di base ed 7.649 pediatri (altri 5-6 miliardi) coloro che inabissano la spesa del Servizio Sanitario Nazionale.

Dei restanti 100 miliardi va cercata e chiesta ragione ai medici ospedalieri ed ai consigli di amministrazione delle ASL, non ad altri.

Sarebbe interessante sapere anche perchè quei 300 miliardi di previdenza siano congelati nelle casse dello Stato, anzichè diventare denaro circolante, con un sistema di previdenza privata sotto controllo pubblico come in Germania.

Come anche, ritornando alle ‘spese dell’Amministrazione Centrale’ per 182 sonanti miliardi di euro, sarebbe bello sapere in cosa consistano, visto che i beni monumentali languono e le infrastrutture attendono.

Sarebbe importante sapere, anche e soprattutto nell’interesse di Roma Capitale, quanta parte di questi miliardi siano andati a costituire lo strabiliante PIL che per anni fu vanto di Walter Veltroni e delle sue giunte e di cui, da che c’è crisi, non sembra esserci più l’ombra. Ma questa è un’altra storia.

Leggi anche Tutti i numeri delle Province

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Sondaggi: ancora piccole bugie. Legge Elettorale subito!

28 Mar

Mario Monti racconta ai giornalisti stranieri che “la maggioranza degli italiani percepisce questa riforma del lavoro come un passo necessario nell’interesse dei lavoratori” e, nelle foto, è possibile notare che … gli è cresciuto leggermente il naso, come accadeva a Pinocchio nel dire le bugie.

Un sondaggio “fresco fresco”, effettuato da Digis Srl per SKY24, mostra come solo il 22% degli italiani è d’accordo con la Riforma Fornero del lavoro. Viceversa, il 36% vorrebbe una “conciliazione”, come grosso modo come chiedono i sindacati e come prevede il “vero” modello tedesco, il 26% è fermamente contrario, il 16% ritiene che non sia una cosa così urgente, il 9% non risponde proprio.

A riprova della profonda sfiducia degl iitaliani ben il 56% è contrario all’abolizione degli stage gratuiti in azienda, perchè sono “una opportunità per i giovani al primo impiego”.

Se non bastasse questo a dimostrare che “l’ottimismo” di Mario Monti e delle redazioni giornalistiche italiane è del tutto inattendibile, c’è anche il sondaggio EMG per Telecom-LA7, su una base di affluenza alle urne del 67% degli elettori, con riferimento alle future elezioni per la sola Camera dei Deputati, dato che il Senato intendono votarselo da soli:

  • Partito Democratico: 26.6% (26.0%)
  • Popolo della Libertà: 23.8% (23.6%)
  • Sinistra, Ecologia e Libertà: 8.8% (8.7%)
  • Italia dei Valori: 7.8% (7.7%)
  • Lega Nord: 7.9% (8.4%)
  • UDC: 7.2% (7.0%)
  • Cinque Stelle: 3.9% (4.4%)
  • Futuro e Libertà: 3.0% (3.2%)
  • Federazione della Sinistra: 2.0% (2.2%)
  • Verdi: 1.6% (1.6%)
  • La Destra: 1.6% (1.3%)
  • Partito Socialista: 1.2% (1.2%)
  • Alleanza per l’Italia: 0.8% (0.6%)
  • Grande Sud: 0.8% (0.9%)
  • Mpa: 0.7% (0.9%)
  • SVP: 0.5% (0.5%)
  • Radicali: 0.5% (0.6%)
  • Pli: 0.5% (0.5%)
  • Altri: 0.8% (0.7%)

Andando per aggregati elettorali, qualcosa balza all’occhio con prepotenza:

  • Patto di Vasto: 46,8% (PD, SEL, IDV, Sinistra, Verdi)
  • Centrodestra + Lega: 34,5% (PdL, Destra, PSI, Lega)
  • Terzo Polo: 11% (UDC, FLI, Alleanza)
  • Autonomie senza Lega: 2% (MPA, Sud, SVP)
  • Altri: 5,7% (5 Stelle, Radicali, Liberali, altri)

Alcuni fatti sono, dunque, evidenti se confrontati con i dati di qualche tempo fa, ad esempio mentre mezza Italia era sommersa dalla neve:

  • l’iniquità delle misure sulle pensioni e sul lavoro e dei pesanti tagli lineari in corso spinge l’elettorato “verso sinistra” e lo sta facendo in modo indistinto quasi fosse semplicemente un “porto sicuro”;
  • un futuro governo di centrodestra non sembra avere i numeri e, comunque, avrebbe una vita difficile e probabilmente breve. Ciò anche considerando la cooptazione di una parte del Partito Democratico (Veltroni, Fioroni, Letta) in una Grosse Ammucchiata con il Terzo Polo e senza la Lega;
  • le spinte autonomistiche appaioni irrilevanti su scala nazionale;
  • la necessità di accordi locali tra partiti maggiori ed UDC o Lega, per le amministrative, non dovrebbe più condizionare così pesantemenre le alleanze nazionali, se parliamo di una Camera con 3-400 deputati: i numeri della Lega e del Terzo Polo sono sostanzialmente statici.

L’abbraccio “fatale” tra Partito Democratico e Mario Monti non ha gambe lunghe, visto che la migliore “Grosse Ammucchiata” è rappresentata da un governo di “Unità Nazionale” (cosa un po’ diversa …) con PD, Terzo Polo, IDV ed Autonomie (41% circa), all’opposizione  il Centrodestra + Lega a circa il 35% e SEL a circa il 9%, un congruo 33% dell’elettorato che, messo dinanzi ad una proposta seria, potrebbe decidere di andare a votare … ed un premio di maggioranza che è ancora tutto da decidere.

Ovviamente, se il Parlamento dovesse ostinarsi a lavorare sulla cosiddetta “bozza Violante”, che non consente agli elettori di votare per il Senato, la necessità di votare prima per le Politiche è impellente se vogliamo evitare, come accaduto da 20 anni, che piccoli partiti o gli “outsider delle Primarie” od i “capibastone locali” stravolgano il quadro nazionale, facendo leva sugli esiti delle Amministrative.

La priorità, dunque, non è chiedersi se esiste un’alternativa a Mario Monti, domanda alla quale non c’è risposta se non si è a conoscenza di quale sia la legge elettorale con cui si andrebbe a cercare tale “alternativa”.

La priorità è votare una legge elettorale. Subito.

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Riformare il catasto … a Roma?

29 Feb

Il governo conferma, nell’Atto di indirizzo firmato dal premier Mario Monti, la volontà di riformare – fiscalmente e non solo – il settore immobiliare e il sistema estimativo del catasto per il “riequilibrio del sistema impositivo” ed il “graduale spostamento dell’asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette”.

Una bella idea? Forse, ma, …

Apparentemente, l’idea di mettere ordine al settore immobiliare non è errata, anzi. Il problema, però, è che possa essere troppo “ambiziosa”, ovvero che si finisca per avallare e legittimare deformazioni del mercato impressionanti.
Come esempio potremmo considerare Roma Nord, dove decine di migliaia di persone ha comprato appartementi nel nulla ad un prezzo pressochè doppio rispetto a tante abitazioni preesistenti, di pari livello e con parcheggi, viciniori a scuole, supermercati, farmacie e stazioni della metro o capolinea dei bus, che, viceversa, hanno visto crollare del 30% il proprio valore.

Come la mettiamo con il valore catastale? Qualcuno è disposto a rivalutare al ribasso l’enorme periferia capitolina, edificata dai palazzinari di turno e pressochè “nel nulla”?

E, parlando di catasto e di Roma, teniamo conto anche che gran parte del “popolo romano” vive ancora “entro le mura” in edifici spesso splendidi, non potrà di sicuro pagare le tasse ed i tributi per edifici fortemente rivalutati.

Come sarà impensabile che abitazioni di (extra)lusso possano andare in fitto o comodato d’uso per quattro spiccioli ad un assegnatario o restare con lo sfratto bloccato da decenni “per esigenze abitative”. Ed altrettanto andrà valutato per l’enorme messe di villette e palazzetti abusivi e poi condonati, che oggi rappresentano ormai un bene di lusso, specie se sono solo a pochi  chilometri dal Colosseo, e comunque hanno un certo valore, se sono a pochi passi da un ospedale, una sede consolare, un centro studi universitario.

Tutta gente che dovrà andare ad abitare altrove, sempre più in periferia, dove dovranno essere costruite nuove case, nonostante la popolazione non sia affatto in aumento, con i relativi servizi ed il solito degrado.

Sarebbe auspicabile che Mario Monti garantisca l’impossibilità di “cambi di finale” – ci sono i precedenti delle pensioni e degli F35, oltre che delle liberalizzazioni – e dia al Paese ed al Presidente Napolitano, la cui firma avalla tutte le leggi, opportune garanzie che tra Governo proponente e Parlamento emendante  non ci troviamo di fronte ai prodomi di un nuovo bagno di cemento per la nostra povera Italia ed al definitivo smantellamento del contesto sociale metropolitano.

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Spostare il carico fiscale … verso il basso

29 Feb

Non tutti sanno che il 50% del gettito fiscale italiano è dato dalle tasse che 4-5 milioni di contribuenti pagano. Un 10% circa di italiani, quelli che dichiarano redditi superiori agli 80-100.000 Euro, sostiene circa metà del carico fiscale.

Essendo a conoscenza di questo dato, non resta che chiedersi cosa possa intendere il professor Mario Monti, persona insigne per la quale “parla il curriculum”, con l’espressione “sposteremo il carico fiscale”.

Più tasse ai disoccupati, agli invalidi ed ai precari?

Dopo quello che hanno combinato con le pensioni, forse, c’è da preoccuparsi.

 

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Qui ci vuole Napolitano

28 Feb

E’ un po’ di tempo che non si sente la voce del Presidente Napolitano, l’uomo che “ci ha messo la faccia” con i cittadini, a Bologna od in Sardegna, mentre Mario Monti raccoglieva elogi stranieri ed il Governo era comodamente assiso a Roma.

Un presidente recentemente fischiato per colpe non sue, ma di altri.

A partire dai media, che quattro mesi fa seppellivano l’Italia sotto una coltre di “cattive notizie”, in parte rivelatesi troppo frettolose o pessimistiche, in altra parte palesemente “speculative”, e che oggi annunciano che i titoli italiani sono andati benissimo, mentre i dati confermati segnalano che l’Italia sta peggio e non meglio.

Mai chiedersi un perchè o un per come, mai.

Per passare ai partiti o meglio il Parlamento, che dovrebbe essere per lo meno il luogo dove appetiti e monopoli trovano una composizione di utilità generale e che – almeno per la sensazione che se ne riceve dall’esterno – sembra una sorta di bazar dove voti, prebende, incarichi ed appalti sono gli argomenti oggetto dell’interesse generale.

Dove tutto ha da cambiare purchè nulla cambi.

Arrivando alle “amate banche italiane”, che oggi rappresentano il non plus ultra della stratificazione finanziaria – di poteri e di risorse – avvenuta duranti i primi 30 anni dell’Unificazione Italiana e che vede i cosiddetti “poteri forti” – sempre toscani, romani, piemontesi, veneti – impossessarsi del prodotto degli italiani, tramite il controllo della valuta: Banca d’Italia e Lira prima, Euro e Bond di Stato oggi.

E così accade che nessuno avrebbe pensato che Unicredit si salvasse acquistando titoli di Stato italiani, ricavando un interesse del 7% vista la situazione di fibrillazione politica e mediatica italiana. Eppure, è accaduto.

E arriviamo ai Sindacati, la cui grande colpa è nel non mettere in luce – causa i soliti affarucci di bottega – quanto le “liberalizzazioni” potrebbero e dovrebbero fare nel campo dell’istruzione, della formazione, dell’editoria, dei servizi sanitari, del sistema consortile, del sistema pensionistico, eliminando prebende e privilegi, esenzioni e sprechi, sussidi e compensazioni.

Basti vedere come è andata per le pensioni e cosa hanno ricevuto in cambio di una tessera sindacale, pagata per 30 anni, i lavoratori cinquantenni.

Non è, dunque, di Giorgio Napolitano la responsabilità politica del Governo Monti, ambizioso e, talvolta, arrogante, ma delle defezioni – politiche, mediatiche, imprenditoriali, sindacali – che hanno permesso la composizione di un governo “ad alto rischio di conflitto di interessi”, il procastinarsi della manovra “Salva Italia”, arrivata con un tale ritardo da dover essere votata a forza, l’esultanza per una decretazione d’urgenza che, salvo gli F-35, non conteneva particolari misure a ricaduta “di cassa” immediata, l’esitazione dei sindacati dinanzi ad una legge abnorme come l’elevamento dell’età pensionabile, “fulmine a ciel sereno”.

Presidente, riprenda a bacchettare “gli italiani”, che il governo, ormai, non riesce a votare due liberalizzazioni due ed i partiti di legge elettorale sembra proprio che non se ne vogliano occupare.

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Un governo “chiaro ed inequivoco”

27 Feb

 Il presidente del Consiglio, Mario Monti, intervenendo in Commissione Industria al Senato, ha annunciato che l’Imu non sarà applicato alle scuole cattoliche che «svolgono la propria attività con modalità concretamente ed effettivamente non commerciali».

Una risposta «chiara e inequivoca», sottolinea il Primo Ministro italiano, che, viceversa, chiara non è e di “dubbi” ne solleva molti.

Infatti, non è possibile che un “singor professore” come Monti non sappia che, in Italia,  non esistono e non possono esistere scuole che operino con modalità/finalità prettamente commerciali: la vendita dei diplomi e delle certificazioni di studio è vietata.

Dunque, “modalità non commerciali” non significa praticamente nulla, se usiamo un linguaggio colloquiale, e non definisce assolutamente nulla, se volessimo riferirci a concetti e categorie contenuti nelle norme. L’unico concetto applicabile è che attualmente esistano scuole cattoliche gestite da società commerciali “italiane” (srl o spa che siano), cosa che “di per se” non rientra nelle esenzioni concordatarie.

Le scuole, infatti, sono statali, comunali, regionali, provinciali, clericali, serali, paritarie, paritetiche, parificate, aziendali: equità, giustizia e buon senso vorrebbero che tutte fossero sottoposte alle stesse regole ed alla stessa tassazione, ricevendo gli stessi finanziamenti.

E, per dirla tutta, se è “assurdo” che lo Stato tassi le “caritatevoli” scuole cattoliche, quanto allora è maggiormente “assurdo” che lo Stato tassi le proprie di scuole, riprendendosi con la mano sinistra almeno un quarto di quello che la destra dichiara di spendere … ?

Dicevamo dei “dubbi”, non nell’applicazione della norma che “abbiamo già capito” come andrà a finire, quanto sulla “chiarezza ed inequivocabilità” del Governo Monti, che, riguardo all’istruzione, fa seguito alle “chiare ed inequivocabli” disposizioni del ministro Profumo, che ha convocato gli Esami di Stato a mezzo circolare e che, nella nota relativa alle scuole chiuse per neve”, parla di giorni di scuola eventualmente riducibili, quando la norma di riferimento precisa che trattasi di “monte ore annuale” …

Una “inequivocabile chiarezza”, visto che, quasi in contemporanea, Elsa Fornero rispondeva, a chi evidenziava i bassi stipendi degli italiani, con un “aumentate la produttività”, mentre è notorio che nel Settentrione la produttività è pari o superiore alla Germania, il Centroitalia è “di per se” improduttivo, il Meridione, oltre a “pagare il pizzo” e le tasse, vede la propria produzione ortofrutticola soffocata dalle liberalizzazioni UE pro Marocco e Tunisia, volute dalla Merkel e appoggiate da Monti.

Nessun equivoco, ahimè: l’unica cosa che avevano bene in testa, i “professori” era di salvare le banche italiane colpendo le pensioni degli attuali cinquantenni, come l’unica che vorrebbero, per salvare le imprese italiane, è colpire l’occupazione degli attuali cinquantenni – gli ultimi con un “posto fisso” – senza, però, dar loro gli ammortizzatori sociali che gli spetterebbero, dopo aver pagato i contributi per 30 anni e passa.

Per il resto, di questo “governo d’inverno” rileviamo solo idee confuse, inattuabili, “ambiziose”, se non pericolose come la parola “recessione”, mentre il Parlamento “di questo governo” – sennò erano già tutti a casa – non ha ancora approvato una norma qualunque che serva a ridurre l’elefantiaco costo dell’apparato pubblico, a partire da partiti, sindacati, ordini professionali, sistema delle dirigenze, finanziamenti all’editoria, previdenza, sistema sanitario.

Chiaro ed inequivocabile: l’acqua è poca e la papera non riesce a galleggiare.

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Cento giorni per Monti

24 Feb

Il tempo scorre sempre in avanti e, di questo passo, siamo arrivati al centesimo giorno di governo da parte di Mario Monti ed il suo Esecutivo: è tempo di un rendiconto.

Innanzitutto, va annotato che l’ISTAT ci ha rivelato – ex post – che, al momento della nomina di Monti, il governo Berlusconi aveva recuperato l’1% del debito pubblico, che spread, titoli e mercati sono andati malissimo anche dopo l’annuncio delle misure “Salva Italia”, che questo Consiglio dei Ministri si è rivelato un esecutivo tecnico sostenuto da una maggioranza di governo senza un programma annunciato o definito.

Male, molto male.

Poi, ci sono le misure adottate, poche, nei fatti, e pessime, nei risultati.

Infatti, di tutto quello di cui si fa annuncio o si espone in Parlamento, è legge “eseguita ed applicata” solo pochi provvedimenti, tra cui ne spicca uno solo di qualche rilievo: l’innalzamento dell’età pensionabile e l’azzeramento dei diritti dei lavoratori malati e precoci.

E, andando a vedere cosa è accaduto dopo le vendite di titoli di Stato “a tutti i costi” mentre stretta fiscale e previdenziale crescevano, il risultato è recessione, insicurezza sociale, sfiducia nei mercati e nelle banche.

Ecco i risultati di uno spread calato solo perchè abbiamo accettato di (s)vendere a tassi di interesse esagerati, invece di ricorrere ad una patrimoniale.

Intanto, le misere liberalizzazioni previste si sono arenate in Parlamento, proprio mentre Corrado Passera annuncia “un decreto al mese” e mentre Elsa Fornero chiede un accordo sindacale senza avere (o voler) nulla da offrire.

Dulcis in fundo, a 4 mesi dalla caduta di Berlusconi, niente legge elettorale, niente tagli alla politica, niente lotta agli sprechi, poca Antimafia, zero antiTrust, zero Sud, troppi cacciabombardieri e, per ora, solo annunci.

My compliments, Mr. Monti.

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Salario minimo, quanto costa?

21 Feb

Proviamo ad immaginare di voler quantificare i costi di un atto di dignità nazionale, ovvero garantire un salario minimo a chi, pur cercandolo, non trova lavoro e chi non lo cerca perchè invalido o perchè resta a casa a sostenere la propria famiglia.

Giusto per avere un’idea di quante siano queste persone, mettiamo in conto di dover considerare:

  • 2.033.653 casalinghe/i italiani (dati INAIL 2009)
  • ~ 1 milione di NEET minori di 21 anni (dati ISTAT 2010 >2.000.000 NEET dai 15 ai 24 anni)
  • 2.243.000 disoccupati (dati ISTAT 2011)
  • 420.000 cassaintegrati (dati Inps e stima UIL 2011 > 60,8 milioni ore)
  • 2.137.078 invalidi inabili al lavoro con assegno medio di sostentamento di 449,57 euro (rapporto MEF 2008)

In totale parliamo di poco meno di 8 milioni di italiani.

Prevedendo un salario minimo di 10.000 Euro l’anno di media – giusto per fare un conto facile – si parte da una base di 80 miliardi di euro annui.

Tanti, tantissimi, ma, in realtà, molto meno, a partire dal fatto che il 25% circa (20 miliardi) rientrerebbero pressochè subito come fiscalità.

Ad ogni modo, premesso che una bella somma arriva dal Fondo Sociale Europeo, il primo miliardo di “economie” deriva direttamente, come minor spesa, dai “sostentamenti” degli inabili al lavoro. Poi, ci sono i circa 6 miliardi che, secondo la stampa nazionale, spendiamo attualmente per i cassaintegrati ed altrettanti (almeno si spera) che l’INPS sta già spendendo in indennità di disoccupazione (dati Ocse nel 2007).

A proposito di dati Ocse, nel 2007 la spesa pubblica in Italia per la disoccupazione ammontava allo 0,4% del pil ( 1.351 miliardi di euro), mentre in Francia e Germania la spesa e’ dell’1,4% sul pil, in Belgio raggiunge il 3,1%,in Spagna il 2,2%, in Danimarca e Austria è all’1% e in Olanda arriva al’1,9%.
Dunque, nel 2007, l’Italia avrebbe dovuto spendere almeno 15 miliardi di euro (anzichè circa sei), sempre ammesso che le condizioni del paese siano paragonabili a quelle della Mitteleuropa …

Ritornando al nostro quesito – quantificare i costi del “salario minimo” – abbiamo visto come da circa 80 miliardi di euro (per 10.000 euro pro capite), siamo arrivati a 67 miliardi di euro di spesa “ulteriore”.

Ma non solo …
Questi soldi verranno spesi e l’espansione commerciale – specie se la smettessimo con gli enormi ipermercati – e produttiva – specie se mettessimo un freno al gioco elettronico – darebbe immediatamente frutto, ovvero posti di lavoro e resa fiscale. Almeno 2 miliardi di euro in gettito fiscale, più le economie date dalla maggiore occupazione.

Un’occupazione che andrebbe ad alleggerire ulteriormente “l’ulteriore onere” se considerassimo di abbinare formazione, riqualificazione, rieducazione, bonifiche, ripristini, manutenzione ordinaria … minore microcriminalità e meno povertà diffusa, meno razzismo grazie alla maggior tutela, minor spesa sanitaria per invalidi che vivono meglio … minori spese di carburante per i pattugliamenti. Per non parlare delle casalinghe “libere” di affrancarsi da un “padrone”, alle donne occupate in nero per 6-800 euro al mese, a tanti “bamboccioni” (NB si chiamano NEET) che non avrebbero più scuse per recarsi a scuola od al lavoro, e, “dulcis in fundo”, la potenziale incisività di un salario minimo in terre di mafia.

A quante centinaia di miliardi di euro equivarrebbe tutto questo? E quale rating verrebbe assegnato al sistema Italia, se un tal genere di intervento avesse successo anche solo per la metà?

E, d’altra parte, come non consinderare che – dopo l’ultraliberismo dei Chicago Boys – un po’ di Keynesismo, lo dicono tutti, è necessario? Se così fosse, non c’è altro che prender atto che lo Stato, la comunità, deve spendere, sostenere, investire e che sono altre le spese desute, inutili e famigerate. A partire dalle “auto blu”, ad esempio.

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Dimenticavo … i NEET sono i giovani dai 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano e che nemmeno seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale. “Not in Education, Employment or Training”.