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Scuola: dieci domande per Renzi, Camusso & co.

6 Mag

Con uno sciopero così massiccio del personale scolastico, ci sono dieci domande alle quali i sindacati della scuola dovrebbero rispondere.

sciopero scuola

1- Se un medico di base, pagandosi studio e personale ma svolgendo non meno di  1.500 ore annue  con 1.500 assistiti, percepisce un reddito reale di poco  superiore ai 2.000 euro, vi sembra uno stipendio da fame percepire da laureati 1.200 – 1.700 euro al mese per 7-900 ore di lavoro annuo (18-24 ore setttimanali per 33 settimane + 80 ore funzionali) con circa tre mesi di ‘vacanze’, che potrebbero e dovrebbero essere destinati a turno a quel recupero degli alunni che le famiglie salatamente pagano?

2- Se le scuole ‘crollano’ perchè manifestare una tantum sotto il ministero e non everyday sotto il Comune o la Regione che ne sono responsabili?

3- Come si pensa di funzionare senza un dirigente, se il personale della Scuola risulta essere quello a maggiore conflittualità interna?

4- Quale è l’iter per diventare docenti dopo aver chiuso le SISS e scavalcato concorsi su concorsi: una laurea e tanto praticantato?

5- Cosa dovrebbe insegnare una ‘buona scuola’, se ancora oggi le ore di matematica o scienze sono in tutto 5-6, mentre arte, musica e presportiva sono un miraggio, specialmente se il docente non ha un tutor d’aula compresente?

6- Come valutare la qualità di docenti in un contesto di ‘posto fisso’, se gran parte dei libri di antropologia, sociologia e psicologia – su cui fondano saperi, competenze e convinzioni – si sono dimostrati errati secondo le scoperte ormai ventennali della genetica, dell’archeologia e della sistemica?

7- Come evitare sprechi e sovracosti alla popolazione se trovano le scuole aperte per 6-8 ore al giorno, mentre altrove funzionano (a carico degli enti locali) fino a sera inoltrata, per corsi, convegni e manifestazioni, come anche offrono on site i servizi di sportello comunali e di supporto sociale o genitoriale?

8- Quale turn over e quale innovazione se in Italia i docenti vanno per i cinquanta, ma hanno spesso solo una ventina d’anni di contribuzione, mentre nell’Ocse almeno un quarto sono under30 e vedranno la pensione prima dei 55 anni?

9- Quale Scuola e Amministrazione 2.0, se molti che scioperano sono quelli ‘contro’ il registro elettronico e le prove telematiche unificate?

10- Quale logica del servizio pubblico può animare una Scuola dove – se si tratta del personale – si torna indietro alla scuola fascista e statalista del Ventennio e degli Anni ’50 – ’60, mentre – se parliamo di programmi e valutazione – pare di stare ai tempi di ‘nessuno mi può giudicare’ della Beat Generation?

11- Se abbiamo docenti e dirigenti che hanno poca dimestichezza con una lingua straniera e/o con internet, perchè lasciamo correre se i nostri figli e nipoti aspettano ormai da un decennio il futuro che gli appartiene?

Demata (blogger since 2007)

Astensionismo: la defezione dei sessantottini? Ancora un paese in stallo, come da vent’anni?

22 Mag

Matteo Renzi avvisa: “I sondaggi sono ottimi e io resto anche se il Pd va sotto il 30 per cento”.

Il Partito Democratico al di sotto del 30%, mentre tutti i sondaggi di due settimane fa lo davano ben oltre? Si prevede una defezione massiva dello zoccolo duro, ovvero di quell’elettorato più che anziano che finora ha votato sempre e sempre ha votato gli schieramenti ‘fascisti’, ‘comunisti’, ‘democratici’?

Sembra proprio di si.

A sentire i discorsi dei nostri pensionati e pensionandi, che sono un bel terzo dell’elettorato, è forte il malcontento verso un mondo intero (e il partito) che non va verso quel successuoso futuro di gioia, benessere e ben vivere che avevano immaginato a vent’anni.
Non vogliono digerire quello che l’Italia doveva fare già 30 anni fa e – lo speriamo in tanti – sarà fatto dal ‘nuovo che avanza’.

Abbattere la blasfemia di una sanità pubblica priva di costi standard, di un sistema di istruzione che abbandona a se stesso chi sceglie l’istruzione non statale, di un sindacato che ha poche regole e scarsi controlli, di un sistema pensionistico che regala migliaia di euro a chi ha versato poche lire di contributi 50 anni fa, ma nega il minimo dovuto a chi s’ammala a 50 anni e ha 30 anni di versamenti.

Meglio di no, tutti al mare o alla casa in campagna: la gestione del disastro che hanno realizzato è delegata alle ‘vittime’, i loro figli e nipoti: tanto ci pensò Giuliano Amato nei primi ’90 a blindare le ‘loro’ pensioni, allorchè – era il 1992 – vennero a galla i problemi fino ad oggi procrastinati.
L’instabilità di governo è assicurata da decenni, se qualcuno volesse costi standard, paritarietà dei servizi, trasparenza sindacale, pensioni eque, informatizzazione reale dei servizi, eccoli pronti ad affossare qualunque governo tenti di farlo.

Non gli piace questo mondo: loro volevano la meritocrazia nelle scuole e nelle università, ma anche il sei politico’, la promozione per tutti. Volevano lo Stato che ‘crea’ lavoro, ma anche che poi non si comportasse da padrone e che fosse persino efficiente e sparagnino.
Chiedevano legalità e semplificazione, ma anche che ‘ciò che non è reato è permesso’, cosa molto diversa dal ‘ciò che non è vietato è permesso’ di liberale memoria. Parlavano di equità e fratellanza, ma anche che fosse un tabù quello di toccare le loro pensioni se pesano troppo, mentre i loro nipoti hanno lavoro.

Volevano il Futuro ma anche rifiutano ostinatamente computer, cellulari e internet e, nonostante questo, si ritengono ben informati. Europeisti se c’era da rincorrere il mito del progresso, ma anche un po’ meno nel creare regole semplici e rispettare gli accordi, ovvero farsi un po’ liberali.

 

Ipocriti? Forse.
A loro spetterebbe di raccontare a figli e nipoti che l’Italia, oggi, si trova nella stessa situazione del 1992, con la differenza che stasi, degrado, ignoranza hanno vent’anni in più e che le forze sane (giovani) di allora sono rimaste inutilizzate: per vent’anni e passa i nati prima del 1955 hanno avuto la maggioranza dell’elettorato e dominavano i partiti ed i sindacati.
Il risultato, in Italia come altrove, è sotto gli occhi di tutti. Anche quelli di chi non vuol vedere.

Delusi? Certamente.
Ma è stata la generazione degli over60 a determinare liste, parlamenti e governi fin dalla metà degli Anni ’80. Hanno votato per 30 anni D’Alema ed i suoi partiti o Berlusconi e la sua corte – talvolta turandosi il naso come diceva qualcuno, mentre noi più giovani li osservavamo allibiti – e criticavano aspramente qualunque idea non fosse la loro, censurando – in pratica – le generazioni che li hanno seguiti. Salvo pochi anni di guerra, hanno vissuto nella prospettiva del Bengodi, in un mondo che cresceva e si arricchiva, riuscendo a pensionarsi prima della Globalizzazione e, spesso, dopo aver accumulato qualche immobile in più della ‘prima casa’.

A dire il vero, non è che i partiti a cui si sono tradizionalmente rivolti abbiano candidato ‘chissàchecosa’ o formulato programmi d’impatto. Come anche la campagna elettorale si è svolta prevalentemente su internet, da cui sono autoesclusi, ed in tv sono passsati solo i big nazionali, spesso e volentieri non candidati.

Gli mancano i Big, gli  manca il teatrino televisivo della politica ‘parlata’, non accedono alla politica ‘documentata’ di internet e, a quanto pare, non voteranno.
E, comunque, a molti di loro interessa solo di trascorrere ‘tranquilli (ovvero con le immeritate pensioni pre-1980 e pre-euro) la dozzina di anni che gli restano.
L’Italia? Paese ‘ingrato’, che vada a rotoli …

Non saranno solo i ‘giovani’ ad astenersi.

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Monti va dal lato sbagliato?

23 Gen

Nel momento in cui Berlusconi annunciava ”resto in campo, ma non mi candido a premier” – era il 28 ottobre scorso – qualunque analista politico avrebbe preso atto del via libera ad un Mario Monti candidato del Centrodestra o del Centro e della Destra. Un’attesa che veniva ribadita il 14 dicembre, sempre da Silvio Berlusconi, quando sperava «che Monti possa sciogliere la riserva e accettare l’offerta, con lui potremmo vincere le elezioni».

Come sappiamo, Mario Monti scelse di correre con l’UDC, Montezemolo (n.d.r. Chi l’ha visto?) e l’anima ‘modernista’ di Alleanza Nazionale, ovvero Fini, Della Vedova e Baldassarri.

Va da se che il tentativo era (ed è ancora) quello di collocarsi come ‘ago della bilancia’ tra i due partiti maggiori e dar luogo ad una di quelle ‘ammucchiate’ che caratterizzarono la fine della Prima Repubblica, mentre la corruzione dilagava e di riforme neanche a parlarne.

Purtroppo, Supermario non è un deus della comunicazione pubblica e neanche della politica, ha anche i suoi oltre-settantanni, tende da sempre ad affidarsi a strade note piuttosto che ignote e così accade che, mentre da noi italioti si vagheggia il passato in nome della ‘così in voga’ Grosse Ammucchiata teutonica, la Merkel incassa una dura batosta nel NiederSachsen e nel giro di un paio di anni si vedrà l’effetto sulle amministrazioni locali del mezzo milione di giovani europei immigrati in Germania durante questo scorcio di crisia’
Eh già, perchè Grosse Koalition si traduce letteralmente “ammucchiata” e perchè, quando il socialista Schoereder, vincitore delle elezioni, cedette il podio ad Angela Merkel per guidare una coalizione di centrosinistra e centrodestra assieme, in Germania e non solo molti storsero il naso, parlando di ‘soluzione all’italiana’.

Ritornando al nostro sciagurato paese, resta il dato che l’alleanza Monti-Fini-Baldassarri-Casini è diametralmente opposta a Bersani-D’Alema-Fassina-Vendola: lo è sempre stata.
Un po’ come mettere zebre e somari nello stesso recinto, illudendosi che abbiano qualcosa in comune.

Sbaglia, dunque, Mario Monti nel suo tentativo di aggirare il ‘suggerimento’ che arriva da tutti i contesti internazionali, ovvero quello di candidarsi con il suo alleato naturale – il centrodestra – e dar battaglia a Berlusconi ‘dall’interno’ con i poteri di un premier e di una salda maggioranza.
In due parole, dimostrarsi all’altezza del ruolo politico cui è stato chiamato e cui si candida.

Invece accade che, dopo il mal riuscito tentativo di sdoganamento internazionale degli (ex)comunisti italiani sulle pagine del Washington Post, un Supermario in affanno insista col ricordarci che «il Pd ha una storia gloriosa, dalla quale si è andato gradualmente affrancando, all’inizio ad esempio non ha appoggiato la costruzione europea».

Una ‘storia gloriosa’ che conosciamo tutti, come l’appoggio ai carri armati sovietici in Ungheria come altrove, il finanziamento occulto del Partito Comunista ad opera di uno stato straniero o le ‘presunte trattative con la Mafia’, che rimbalzano sui media da 30 anni circa. Ed anche – come sa chi ricorda i ‘gloriosi’ Anni 60-70 – la lottizzazione della RAI e la politicizzazione della Magistratura, delle Università e delle scuole, l’egemonia agroalimentare e distributiva delle Coop, i rapporti con la Confederazione Generale dei Lavoratori (CGIL), il partito-istituzione con decine di migliaia di lavoratori, quasi fosse un’azienda od una struttura parallela.
Quanto alla democrazia interna, il PCI-PD resta sempre un partito dalla cui segreteria escono dei nomi da votare ed è già ben visibile chi sarà il candidato ‘official’. Primarie o Comitato centrale, passando per il Centralismo democratico, è sempre stato così: raro vedere candidati che non siano ben radicati nell’entourage di partito, ancor più raro vederli emergere e raccogliere consenso.

E’ questo che Silvio Berlusconi intende ricordare agli italiani e sottolineare all’estero, quando usa l’appellativo ‘comunisti’. Non è un caso che Renzi o Tabacci non siano mai stati iscritti al PCI o ad uno dei suoi ‘partner storici’: l’impostazione liberal-democratica si vede.

Come andrà a finire? Che Bersani avrà la Camera e Berlusconi il Senato, con Monti che potrebbe ritrovarsi ‘incastrato’ nella premiership ed in balia dei due fronti opposti.

Salvo che Monti non decida di prendere atto di che razza di pasticcio va a creare sia decidendo che i Popolari italiani vadano alle elezioni non solo divisi, ma addirittura contrapposti, sia dimenticando il livello di tensione creatosi a Roma e nelle grandi città, due mesi fa, al sol tentativo di chiedere qualche sacrificio ai professori, mentre l’Italia era (ed è) in miseria.

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Washington Post, un Bersani dissuasivo

23 Gen

Giorni fa, tutti i media hanno parlato dell’intervista di Pier Luigi Bersani raccolta dal Washington Post. Dopo di che se ne è parlato poco, nonostante fosse il ‘biglietto da visita’ del candidato Bersani al mondo, investitori e potentati inclusi.

Infatti, Pier Luigi Bersani ha detto cose ‘scomode’ che non prefigurano una situazione semplice, come vorrebbero tutti, italiani e stranieri.

Berlusconi è stato responsabile della prematura caduta del governo Monti ed a Monti questo non è piaciuto per niente. Noi, invece, abbiamo mantenuto la nostra promessa di sostenere Monti fino alla fine, anche se non è stato facile. Quindi ora dobbiamo solo continuare a guardare.”
Un po’ come dire che Monti non è adatto a fare il politico e che, invece che all’interesse nazionale, il Partito Democratico attende che tra centro e destra si scannino tra di loro?

Inoltre, Bersani ha spiegato al mondo che – con la situazione drammatica della spesa sanitaria, dell’istruzione e del welfare, oltre ad un sistema pensionistico iniquo e la magistratura più lenta dell’OCSE, mentre è in miseria un italiano su sette – all’Italia servono “una legge che stabilisca regole chiare per la vita e l’attività dei partiti politici”, leggi per i “diritti civili, come il diritto dei lavoratori a partecipare in forma scritta i contratti a livello aziendale. Unione civile per le coppie omosessuali. I diritti di cittadinanza per gli immigrati“.

Diritti Legalità, moralità e cittadino sono la nostra prima missione“. All’economia, alle infrastrutture ed alla pubblica amministrazione ci pensi qualcun altro?.

Modificare la riforma delle pensioni “non è una richiesta del sindacato tanto quanto una richiesta del nostro partito, che ha reso evidente nel dibattito parlamentare, perché rischia di lasciare un sacco di cittadini senza lavoro e pensione in meno.” Forse in USA non lo sanno, ma il Partito Democratico ha votato coralmente la riforma delle pensioni, in nome dell’equità e … che in Italia non sono pochi i sindacalisti che godono di doppia pensione.

Con il Partito Democratico, “i mercati non hanno nulla da temere, a patto che accettare la fine dei monopoli e posizioni dominanti. Questo deriva dal fatto che in Italia, la destra non ha una tradizione di libero mercato, tende a dare più potere allo Stato ed è più fortemente influenzata dalle lobby professionali.”
Non ce ne eravamo accorti, a partire dalle Coop e dalle ex-municipalizzate.

Siamo il partito più europeista nel nostro paese. Non è un partito socialista, ma democratico.
Infatti, alle primarie nazionali c’erano quantro candidati quattro – scelti da non so chi – e se non era per Matteo Renzi sarebbe stato un plebiscito pro Bersani.

L’austerità deve essere resa stabile dalla combinazione con politiche di crescita intelligenti. E ‘una domanda che le forze progressiste europee stanno discutendo. Obama si sta chiedendo agli europei di affrontare la questione.
Come dire che altri, altrove, stanno provvedendo alla risposta?

La nostra politica è di essere fedeli ai nostri alleanze, ma non in silenzio. Vogliamo che il nostro paese e l’Europa siano più presenti nel Mediterraneo e vogliamo discutere a riguardo con gli Stati Uniti perché crediamo che l’Europa e l’Italia dovrebbero favorire una evoluzione positiva della “primavera araba” e il loro esito democratico.”
Un altra volta con i baci e gli abbracci con Hezbollah che fecero rabbrividire la Casa Bianca od il trattato segreto con Gheddafi, che ci impediva di attaccarlo?

La Russia dovrebbe aggiungere la sua voce in Siria per mettere più pressione verso una comune soluzione  pacifica.” Con gioa e benepalcito di USA ed Israele o anche senza?

Questa è la sostanza del Bersani-pensiero che tutto il mondo politico e finanziario ha letto, giorni fa.

Sarà un caso che, a seguire, il Financial Times – in un editoriale di fuoco, firmato a Wolfang Munchau – ha indicato Mario Monti come “non adatto a guidare l’Italia”, anche a causa dei timori derivanti da un  inciucio tra il Supermario, Pierferdy Casini e il Pd di Pier Luigi Bersani?

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I numeri del lavoro dei docenti in Europa

22 Ott

Molti sono convinti che “i docenti italiani hanno un carico settimanale di ore di lezione in classe superiore alla media europea sia nella scuola primaria (22 contro 19,6) che nella secondaria superiore (18 contro 16,3) e praticamente identico nella scuola media  (18 contro 18,1)”. (fonte Libertiamo)

Un’informazione che, secondo il MIUR, si basa su dati inoppugnabili, che risultano abbastanza incredibili per chi ha lavorato come docente all’estero e/o conosce docenti stranieri.

Italia: ricordiamo che un docente delle scuole superiori è obbligato a prestare 18 ore settimanali per 33 settimane di lezione e una 40ina ore di riunioni annue di attività funzionali all’insegnamento; in totale sono 634 ore annue ricomprese negli stipendi, per il resto solo i volontari e con compensi accessori, previsti anche per i recuperi didattici e per gli esami di Stato.

E vediamo cosa raccontano, in lingua madre, i docenti di qualche altro paese.

Germania: I docenti delle scuole, – come riportato in diversi studi negli ultimi anni, compresi quelli di ministri delle finanze ed anche tenendo conto delle vacanze scolastiche, lavorano annualmente più di 1.800 ore. In una settimana di scuola questo comporta una media di 45-55 ore. Inoltre, i tempi di “puro insegnamento” riguardano solo circa la metà di tutto il lavoro degli insegnanti. L’altra metà è composta da: preparare le lezioni, correggere, incontro con i colleghi, i genitori, gli studenti e non scolastici rappresentanti, conferenze, gite degli studenti.
Le vacanze in senso tradizionale sono solo per gli insegnanti le vacanze estive. Inoltre, molti insegnanti hanno anche il servizio militare/civile durante le vacanze nelle scuole, o essi stessi sono coinvolti nella prima settimana e le ultime due settimane di vacanza estiva con il completamento e pianificazione del lavoro. Tipici esempi di alta intensità di lavoro i periodi di vacanza di Pasqua e di Pentecoste: in queste settimane molti insegnanti indaffarati per le verifiche dei recuperi (ndr. rettifiche testualmente) che seguono gli esami di fine corso, che constano spesso di 20 pagine per singolo studente.”
(Kraus Von Josef, Präsident des Deutschen Lehrerverbandes, link)

Regno Unito: “Il numero di giorni di lavoro annui che i docenti full time di ogni scuola devono garantire è di 195. Almeno il 10% del lavoro è dedicato al planning ed alla preparazione/verifica. Ai supplenti vengono richieste supplenze raramente.
Il numero di ore in cui gli insegnanti a tempo pieno possono svolgere attività d’insegnamento od altre attività professionali (esterne) ha il limite assoluto di 1265.” (National Union of Teachers, link)

Francia: “Nelle scuole pubbliche, gli insegnanti forniscono in media all’anno 779 ore di corsi di educazione primaria, ore 701 di corsi nel primo ciclo di istruzione secondaria e 656 ore di corsi nel secondo turno delle istruzione secondaria.” (Organisation for Economic Co-operation and Development, link) Aggiungiamo che in Francia tanti studi di settore denunciano il basso impegno orario dei loro insegnanti.

Dunque, è davvero un mistero sapere come siano stati aggregati i dati italiani che raccontano di ‘carichi settimanali’ dei docenti italiani ‘superiori’ a quelli di tanti altri docenti.

Di seguito i dati dell’OECD per una vasta gamma di nazioni nel mondo.

Buona riflessione.

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L’iniquo diktat di Bersani sulla scuola

22 Ott

Nelle scuole c’è agitazione per la proposta del governo, contenuta della legge di Stabilità, di estendere l’orario di didattica frontale dei docenti da 18 a 24 ore,  con incremento delle ferie estive, ma senza aumenti di stipendio. A dire il vero, c’è agitazione solo nelle scuole medie e superiori, dato che le maestre delle elementari e delle materne, già lavorano per 24-25 ore settimanali, più un discreto carico di progetti, incontri con le famiglie e riunioni.

Due mondi in un solo comparto: i professori che riscattano 3-5 anni di studi universitari, lavorano 18 ore settimanali più 40 ore annue di riunioni, percepiscono stipendi superiori di diverse centinaia di euro, sono in discreta parte maschi, anzichè ‘solo donne’ come nelle scuole elementari, dove fanno un lavoro più complesso, più esteso nel tempo, con maggiori responsabilità e rapporti con l’utenza e … si guadagna molto di meno. Esemplare il caso dei docenti tecnico-pratici degli istituti tecnici che sono diplomati come le maestre e che guadagnano di media circa 200 euro al mese in più, lavorando 18 ore anzichè 24.

Parliamo di circa 400.000 lavoratori, la decima parte di una pubblica amministrazione – che sta subendo e sopportando tagli, sacrifici ed economie – e di un risparmio di circa 700 milioni di euro in supplenze nel triennio, con circa 30.000 giovani in meno che entreranno nella macchina stritolatutto del precariato.

Parliamo anche di troppi licei che spendono per supplenze, inspiegabilmente, più risorse pro capite di una scuola elementare piena zeppa di lavoratrici madri con figli di età inferiore ai 10 anni.  Di contratti di lavoro e mansionari che consentono ai docenti di rifiutare la supplenza interna anche se vi sono classi e classi senza vigilanza, di un sistema di graduatorie interne che garantisce alcuni e mobilizza perpetuamente altri. Di un sistema di controllo che invia revisori con un diplomino in tasca a verificare bilanci milionari badando solo (o quasi) che il totale dei debiti sia pari o inferiore al totale delle entrate, o meglio dei crediti. Di un’autonomia scolastica sempre più al lumicino.

Una norma, quella dell’elevamento dell’orario didattico de professori, inutile se esistesse anche un banale monte ore di ‘straordinari’, come per qualunque altro lavoro in modo da garantire il servizio.
Una norma che poteva essere contrattata, invece che anticiparla con uno sciopero, e che ormai andrebbe approvata, riconoscendo qualcosa di più a livello contrattuale, visto che c’è necessità che tutta la pubblica amministrazione faccia il massimo del massimo, come in un dopoguerra.

Una legge che spaventa dato che ora si tocca la categoria benemerita dei professori  edomeni potrebbero esserlo anche le attrettanto benemerite categorie dei giornalisti, dei dirigenti ed amministratori pubblici retribuiti, dei medici e degli universitari.

Suona, dunque, davvero strano che il ‘responsabile’ Pierligi Bersani affermi: «Voglio dirlo con chiarezza, noi non saremo in grado di votare così come sono le norme sulla scuola».

I motivi per non votare la Legge di Stabilità, caso mai, sono altri, come le norme a carico dei malati e dei disabili oppure quelle sulla detraibilità dei mutui o la vergognosa IVA che, a differenza dell’IRPERF, colpisce più i poveri che i ricchi e flette i consumi.

I motivi per parlare di istruzione e formazione sono altri, come la categoria dei docenti e lavoratori esternalizzati da province e regioni a carico del ‘diritto allo studio’, come i costi di risanamento delle precaria edilizia scolastica (l’inverno arriva …) che ammonteranno ad una decina di miliardi, innovazione inclusa, come l’enorme quantità di debiti che il MIUR mantiene verso le scuole (residui attivi) che potrebbe aver superato i 3 miliardi di euro, mentre si prevede un ulteriore e pesante definanziamento nei possimi tre anni.

I motivi per stare dalla parte dei professori sono tutti scritti nei tanti decreti e circolari dle MIUR, tra cui quello che impone ‘di fatto’ di attribuire, contro ogni meritocrazia ed equità, la sufficienza in condotta a tutti gli alunni che non abbiano commesso reati piuttosto gravi, come minacce e/o ingiurie e/o percosse, ovvero reati spesso perseguibili solo su querela di parte, per i quali  la vittima – un compagno di classe od un docente – solitamente  rinuncia,.

Il segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, pensa che esiste il pericolo di «dare un colpo ulteriore alla qualità dell’offerta formativa. Voglio credere che ciò sarà ben compreso dal governo» e, nel giro di 24 ore, il sottosegretario Marco Doria, uno scrittore di successo, prontamente annuncia che “troveremo una soluzione diversa per la legge di stabilità”.

Ancora tagli al funzionamento delle scuole, che seguono a carenze di finanziamenti ed esitazioni normative che arrivano da lontano.

Ad esempio, dal ‘suo’ governo Prodi e dall’iniziativa del ‘suo’ collega, il ministro Fioroni, che accentrò i finanziamenti delle scuole in un solo ufficio di Viale Trastevere, o dall’esperienza del precedente, l’eclettico Berlinguer, che dopo aver esteso l’età d’obbligo scolastico, si vide lesinare le risorse e non potè riformare a fondo gli indirizzi di studio e le cattedre dei docenti.

Scuole che ormai sono allo stremo, come gli Enti Locali che dovrebbero provvedere alle loro manutenzioni, mentre il ministero, anno per anno, apporta continue modifiche alla rete scolastica. Una scuola superiore che, a ben vedere, è poco o punto cambiata, nei programmi e nelle risorse, rispetto a quella che frequentammo in tanti 40-50 anni fa.

Se un diktat al governo Monti andava lanciato ‘da sinistra’, quello affermato da Bersani, in favore dei professori, non è quello che intacca le maggiori iniquità e non è quello che influisca positivamente sui ceti medio-bassi o non abbienti, come non rassicura malati e giovani.

La Casta è sempre la casta e non si tocca.
E speriamo che la mela avvelenata delle risorse in favore dei professori non andrà a vertere anche sull’INPS o la Sanità, ovvero pensionati, disoccupati e malati.

Una domanda per Pierluigi Bersani: viene prima il diritto costituzionale allo studio ed alle pari opportunità di bambini, ragazzi, famiglie e disabili oppure ha più peso di un limitato gruppo di persone, i professori delle medie e superiori, che equivalgono al 4% della popolazione?

Quanti altri voti perderà il Partito Democratico schierandosi ‘come al solito’ dalla parte della Casta del pubblico impiego, dopo non aver versato una prece per disoccupati, cassaintegrati, malati, pensionandi, giovani precari e donne?

Leggi anche I (veri) numeri del lavoro dei docenti in Europa

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Berlusconi lascia tra qualche mese, si va al governo tecnico?

1 Set

La manovra, che il Parlamento si ripromette di varare, somiglia sempre di più ad un enorme TIR, pieno di scatoloni vuoti ricoperti da etichette tra le più disparate, alcune ben apposte altre staccate e riappiccicate, come dimostrano gli strappi sul cartone dello scatolone più vicino.

Un TIR che non riesce a far manovra per uscire da un enorme slargo ed imboccare una qualunque via, semplicemente perchè lo sterzo è bloccato, ci sono tre autisti al posto di uno, i semafori lampeggiano all’impazzata ed i freni (l’Opposizione e gli altri poteri) sembrano proprio non funzionare.

Un enorme veicolo che è esso stesso, in realtà, il tesoro da trasportare, perchè si tratta dell’Italia e del suo futuro.

L’Europa chiede di rientrare di soli 80 miliardi di euro in tre anni, su un PIL che è 25 volte tanto: non sarebbe un’impresa affatto difficile, se non fosse che Lorsignori hanno raschiato il fondo del barile e, adesso, si tratterebbe di toccare i loro interessi ed i loro quattrini.

Prendiamo atto che questo Parlamento proprio non riesce a legiferare (vedi il caso di L’Aquila), che questo Governo ha già troppo spesso emanato norme incostituzionali, che questa classe politica ha concluso il suo ciclo e che i fatti giudiziari stanno iniziando a raccontare abissi peggiori di Tangentopoli.

Ci vorrà ancora un mese, mentre i ministeri rientrano dalle ferie ed il paese prende atto del disaccordo e della inconcludenza di tanto discutere, dopo di che, i mercati non sono mai pazienti, non resterà che andare al  governo tecnico istituzionale per la manovra e le elezioni.

D’altra parte, è lo stesso premier, Silvio Berlusconi, a pensare che non ci sia altra strada … altrimenti, perchè affermare: “Tra qualche mese me ne vado …vado via da questo paese di merda…”.

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Una manovra contro di noi

30 Ago

Questo è tutto quello che le generazioni nate tra il 1925 ed il 1950 hanno riservato a noi che siamo nati dopo di loro.
E’ iniziata quando avevamo ancora 15 anni, cambia poco se fossero gli Anni Settanta, Ottanta o Novanta e, dopo 20-30 anni, continua ad andare così.

Una letale e brutale corsa senza traguardo e senza vincitori: una generazione in esubero da “smaltire”.

Siamo tutti vittime di due generazioni abbarbicate alle poltrone del potere, che mai hanno voluto ascoltare ipotesi, teorie e soluzioni diverse da quelle che a loro facevano comodo in quel momento.
Predatori, che ci hanno portato alla rovina arraffando tutto quello che c’era, durante il Boom economico, e che intendono continuare a farlo finchè ci sarà sangue e linfa da succhiare.

Le loro pensioni non si toccano, le nostre si.
Fuckin’ bastards …

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Le pensioni dei laureati e l’iniqua manovra

29 Ago

Le prime anticipazioni dei media su quanto concordato dagli esponenti della Lega e del PdL riuniti a Villa Certosa raccontano di un’altra iniqua legge a carico dei lavoratori italiani.

I titoli recitano il canonico “stretta sulle pensioni”, ma nella realtà si tratta di una stretta sui lavoratori laureati del settore pubblico: “il calcolo verrà effettuato solo in base agli “effettivi anni di lavoro” e non dovrebbe più tener conto degli anni di servizio militare prestato e degli anni universitari.”

In pratica, sono 4 anni di servizio in più per tutte le posizioni da laureato del settore pubblico.

Cosa giusta? No, iniqua e controproducente.

Innanzitutto, precisiamo che i laureati del settore pubblico devono pagare una congrua somma per riscattare gli anni di studio universitario, spesso versando l’intero equivalente dei contributi dovuti.

L’INPDAP, l’ente di previdenza che copre questi lavoratori, è  in ottima salute ed è talmente ricco che, se svincolato dal Ministero dell’Economia, avrebbe addirittura i capitali per rinegoziare i prepensionamenti necessari a far posto a giovani ed innovazione, nelle scuole, come negli ospedali o nelle  università.

Inoltre, l’INPDAP, in base alle regole di bilancio europeo, non dovrebbe vertere direttamente sulle spese dello Stato e non si comprende quale sia il beneficio in termini di manovra o di minor spesa.

Va anche aggiunto che il “computo degli studi universitari” è frutto di lunghi anni di battaglie professionali e sindacali, dato che  i laureati entrano nel mercato del lavoro diversi anni dopo i diplomati, perchè devono, a proprie spese, acquisire le conoscenze e le competenze di livello universitario necessarie al lavoro che faranno, in un paese che non è affatto prodigo di ostelli, borse di studio e meritocrazia.

Una vera cattiveria, specialmente se consideriamo che non tutte le categorie sono effettivamente colpite da questa norma: i docenti universitari, i magistrati ed i medici già adesso tendono a rimanere in servizio fino od oltre il 65° anno di età. Le categorie di laureati effettivamente colpite dall’azzeramento del riscatto pensionistico degli studi universitari sono quelle della scuola (precari ed alunni inclusi), dei neoassunti (che difficilmente matureranno i 40 anni di base pensionistica) e dei malati cronici (costretti a trascinarsi al lavoro per quattro anni extra).

La cattiveria, per inciso, non sta solo nel tipo di categorie colpite, ma nel sistema pensionistico pubblico, che non consente alcuna forma di negoziazione su TFR e computo pensionistico per i malati, come invece è possibile nel settore privato e con le assicurazioni.

Una vera iniquità, non solo verso giovani ed invalidi, ma anche verso chiunque non sia già pensionato, visto che restano intatte le pensioni d’anzianità e d’annata, cioè proprio quelle per le quali i contributi versati sono esigui a confronto con le somme percepite.

Una svista epocale, quella di prolungare il servizio ad un paio di milioni di laureati, se consideriamo i promessi tagli alla pubblica amministrazione, la quantità di precari che attendono da anni, l’urgenza ultraventennale di riformare ed innovare.

Una vergogna, che non sarà facile emendare.

Manovra: le (poche) proposte del PD

23 Ago

Dal Partito Democratico, da molto tempo ormai, erano attese proposte per riformare il paese e per uscire dalla crisi. Proposte mai arrivate, nè durante il flebile Governo Prodi bis nè in questi tre anni di “eccesso di Berlusconismo”.

Forzati dagli eventi (e da una possibile debacle elettorale), i Democratici in questi giorni si affrettano a studiare, assemblare e proporre proposte alternative da proporre al Parlamento per alleggerire i nostri debiti di 80 miliardi di euro, come ci chiedono l’Europa ed il buon senso.

Rispetto alle proposte, piuttosto variegate e da rivedere, che arrivano dal PdL-Lega, è abbastanza interessante notare come il Partito Democratico:

  1. non sembra interessato a ridurre il personale politico, riassorbendo i piccoli comuni e le provincie negli altri enti locali senza, ovviamente, cancellarne le funzioni ed i servizi;
  2. non manifesta una qualche sensibilità riguardo l’esenzione pressochè totale da tasse e tributi di cui beneficiano lo Stato del Vaticano e le sue attività clericali ed imprenditoriali in Italia;
  3. insiste sulla necessità di riformare le pensioni, in nome di un non ben chiarito “patto generazionale”, senza però fare cenno alle pensioni doppie, triple e d’annata od ai TFR e,soprattutto, alla liberalizzazione del sistema assicurativo di cui proprio Bersani era, solo 5 anni fa, l’alfiere;
  4. non intende offrire a Berlusconi nessuna “mano tesa”, nonostante le sue evidenti difficoltà a proseguire l’attuale mandato di governo unitamente con la Lega per l’indipendenza della Padania.

Per non parlare del Meridione (ed infatti non se ne parla), a fronte di una disoccupazione sempre più crescente, specialmente tra le donne ed i giovani, i Fondi per il Sud stornati su Roma, L’Aquila e non si sa cosa, la Cassa Integrazione Speciale che ha beneficato quasi esclusivamente i disoccupati del Nord, i tagli della Gelmini che colpiscono principalmente scuole e docenti del Centrosud.

A riprova di una difficoltà progettuale di vecchia data, Stefano Fassina, Responsabile del PD per l’economia intervistato ieri da RAINews, seppur chiedendo la reinclusione del “falso in bilancio” tra i reati perseguibili, non ha avanzato particolari proposte “strutturali” riguardo la manovra o la crisi: solo ritagli da apportare per sostenere, nella sostanza, i fornitori degli Enti Locali, cioè molto spesso artigiani, Coop e Onlus.

Anche riguardo il sindacato, la posizione espressa da Fassina è significativa della situazione “a Sinistra”: a difesa della pluralità del Sindacato, cioè della CGIL rispetto a CISL e UIL. Non si parla di tagliare le reti RAI, non si parla dei privilegiati (e spesso benestanti) inquilini di edifici (pubblici) ormai di valore storico, non si parla della scuola negletta o delle Università spendaccione e neanche della Sanità costosa e di bassa qualità.

Ci si aspettava qualcosa di più.

E, così andando l’umore degli elettori, arriva la proposta di Bersani e Letta, che, annunciata per domani, si articolerà “in pochi punti. Primo: una terapia choc contro l’evasione” con “sette o otto grimaldelli. Secondo, una imposta sui patrimoni immobiliari rilevanti. Terzo: un ridimensionamento drastico di pubblica amministrazione, istituzioni e costi della politica. Quarto: un contributo di solidarietà che finalmente gravi non sui tassati ma sui condonati. A questo aggiungiamo liberalizzazioni, dismissioni ragionevoli del patrimonio pubblico e un po’ di politica industriale e di sostegno all’economia”.

Le parole suonano bene … speriamo.