Tag Archives: baroni

Tagli alla Sanità, la verità: la Politica ha abdicato, si tagliano servizi ma non la Casta

17 Gen

La Legge di stabilità permette ai Consigli Regionali di intervenire sulla Sanità entro il 31 gennaio per determinare i nuovi piani di bilancio dei rispettivi Servizi Sanitari Regionali ed attuare le economie necessarie.

Qualcuno li chiama ‘tagli alla sanità’, ma non sa o non ricorda che 30-40 miliardi del buco nero delle pensioni ex Inpadp (dipendenti pubblici) si creò proprio per ‘anticipazioni’ al sistema sanitario sotto l’egida di Tremonti e se oggi le pensioni di tutti ed il turn over della PA sono bloccati è a causa di questo.
Una vera vergogna, dato che quelli ‘anticipati’ (e mai tornati indietro) erano i soldi versati dai lavoratori.

Ancor più vergogna, se ricordiamo la deontologia che dovrebbe caratterizzare il settore Salute e poi scopriamo di intere ASL arrestate per mafia, di enormi policlinici saccheggiati da qualche ‘mondo di mezzo’ e ora sull’orlo del fallimento, di centinaia di migliaia di risarcimenti assicurativi per responsabilità professionale eccetera.

Dunque, non parliamo di tagli, bensì di RISANAMENTO e la stampa seria dovrebbe pur raccontarlo a qualcuno, specialmente se – andando alla pagina dell’economia – leggiamo le storie non edificanti di cui sopra.
Storie di cui la Rete gronda e che non stiamo qui a raccontar tutte, tanto ne bastano un paio per capire da che parte dovrebbero andare i ‘tagli’ e dove reinvestire le ‘economie’.

Roma è l’esempio ideale: ha un’enorme disponibilità ospedaliera e specialistica, ma il Recup ti da appuntamento a sei mesi forse meno forse più, anche se poi i conti presentano una spesa ospedaliera che che sfora del 50% la media nazionale e si paga un Irperf da record. Bella anomalia, eh?

Analizzando lo scenario troviamo che interi reparti e schiere di malati sono affidati a medici che sono nati nel 1948 o giù di lì, dimenticando che si va in pensione anche per sopravvenuti limiti di età biologica e tecnologica, ma soprattutto che ci costano il doppio.

Questo il motivo per il quale il Lazio taglia posti letto e prestazioni ai malati, ma non posti di lavoro. Secondo questa logica, ma non la nostra, costerebbe di più azzerare un reparto o un ambulatorio, che ‘si ripagano mentre funzionano’, piuttosto che ridurre di uno specialista, pagato decine e decine di migliaia di euro all’anno, se non centinaia, in un reparto dove ce ne sono già sei o sette della stessa specialità.
Perchè continuare a riconfermare medici ormai ultrasessanticinquenni e pure pensionati su incarichi, funzioni e poltrone che – di norma – dovrebbero almeno essere occupate da personale in effettivo servizio, che percepisce uno stipendio anche dimezzato rispetto ai soliti ‘ex sessantottini’.
Perchè tenerci un medico di sessanticinque anni a passa, che ha difficoltà persino con la posta elettronica, quando ne potremmo avere uno di quaranta con pedegree internazionale a metà del costo, senza dover licenziare due ausiliari o chiudere un ambulatorio oppure alzare Irperf e ticket?

Detto tutto no? No, manca ancora qualcosa.

Ad esempio il Contratto di lavoro dei medici, che possono essere adibiti a mansioni diverse, ma solo “fatte salve le eventuali specializzazioni di cui è in possesso ed esercitate all’interno della Struttura sanitaria”. Una vera mattanza, se vent’anni fa assumemmo tanti cardiologi e gastrenterologi ed oggi la prevenzione e i farmaci migliori ne hanno ridotto l’esigenza, teniamo aperti lo stesso i loro reparti consumando le risorse che andrebbero ai ‘nuovi’ settori e specialità mediche e raccondando ai cittadini che la colpa è dei tagli.
Risultato? Un intero ambulatorio di gastroenterologia che in una giornata fa la metà delle gastrocolonscopie o dei test al lattosio, ad esempio, con il doppio del tempo, il triplo del personale ed il quadruplo dello spazio rispetto a un ottimo poliambulatorio privato o convenzionato. Ci può stare.

Il risultato però è che i malati (speccie i quattro milioni di ‘rari’) che non trovano allocazione in un simile girone infernale vagano da uno specialista all’altro, con esami costosi, che – incredibile ma vero – vanno a dissanguare le loro tasche e quelle dei loro corregionali, manentendo funzionanti interi reparti che senza questo vagare non avrebbero ragione di esistere.
E tutto accade mentre nel Lazio vige una delle Irperf più gravose d’Italia, mentre oltre il 40% della popolazione è anziano, con il risultato che chi oggi contribuisce vede gran parte delle risorse destinate non a se o ai propri figli, bensì ai servizi geriatrici, come accade sia per la Sanità che per il Welfare.

E poi, c’è la questione che un privato assumerebbe un medico come direttore sanitario, un manager come direttore amministrativo. Una questione di buon senso, giusto? A Roma no e non solo lì.
Una vera e propria occupazione dei vertici amministrativi, se accade che siano dei laureati in medicina (e non in economia) a coordinare management, servizi, prestazioni, forniture eccetera per milioni e milioni di euro e di persone. Una mostruosità facile da comprendere, se si sa che i dirigenti scolastici non possono accedere a qual livello di dirigenza, soprattutto perchè molti non hanno le lauree in diritto o economia e che nel Lazio si rende possibile grazie a quasi quindici anni di Commissariamento più o meno ininterrotto.

Cosa pensare se la norma ha previsto un Commissario ad acta se la politica è incapace a governare /risanare e ci ritroviamo che il Presidente della Repubblica ha nominato non un manager, non un notabile o un contabile, ma lo stesso Presidente della Regione che è finita nel commissariamento e che questo accade praticamente da 15 anni?
Prendiamo atto che dietro l’opaco scudo di un Commissarimento ‘politico’ ed ‘eterno’, tutto il Sistema Sanitario del Lazio è in mano a laureati in medicina (non politici, non manager), cosa che ci indica ‘senza se e senza ma’ quale sia l’origine del problema.

Ma al peggio non c’è limite, perchè lo stesso problema lo ritroviamo in Parlamento, dove circa il 10% degli eletti proviene dal sattore sanitario, e al Senato, dove la Commissione Igiene e Salute è composta quasi completamente da ‘tecnici’ e non ‘politici’: su 28 componenti ben 13 sono medici, altri 5 sono biologi, farmacologi o infermieri e sono 6 i dipendenti di Inps o enti locali. Solo due gli esponenti di partito e due gli economisti.
Zero esponenti dell’associazionismo (malati e/o consumatori). Zero rappresentanza per ricerca (scienza) e mondo civile (etica). Di cittadini ‘qualunque’ zero, proprio zero. Zero, persino, le onnipotenti case farmaceutiche.

Se qualcuno si chiedeva chi/cosa rappresentasse la Casta nel Parlamento eletto nel 2013, questo potrebbe essere un indizio rivelatore. Anche perchè … grazie ad una recente norma, se un medico lascia uno sbrego a un malato (colpa lieve) praticamente non gli capita nulla, mentre se lo fa un genitore al figlio o un insegnante ad un alunno son sette anni di guai.
Ma il colmo è che, andando per tribunali, con buona parte della PA che ogni tanto incappa in qualche sentenza, accade che non v’è traccia di sanitari che incappino in irregolarità amministrative pur essendo cartelle e certificati atti come tutti gli altri. Come sia possibile, dato che molti potrebbero non aver studiato una riga di diritto, resta un mistero, ma i risultati del ‘va tutto bene’ … ce li troviamo poi nelle fatture e nei ticket per i farmaci e i laboratori.

Con uno scenario così – e ci siamo soffermati solo sugli aspetti ‘strutturali’ – non ci vengano a parlare di ‘tagli alla sanità’ chiedendo al governo di sborsare altri 4 miliardi che verranno sottratti agli esodati, ai pensionandi ed ai giovani disoccupati che attendono, per salvare posizioni apicali e dirigenziali mentre si tagliano i servizi ai malati.
Iniziamo, dunque, a parlare di tagli del personale sanitario, almeno per quanto riguarda coloro che abbiano l’età di pensionamento e/o doppi incarichi, se vogliamo dare più servizi con meno spese iniziamo a fare reparti e ambulatori dove ci sono due infermieri, un medico assistente e un medico strutturato, come ovunque, e non un infermiere e tre medici, di cui due primari ed uno pensionato riconfermato … e pretendiamo che tutti sappiano usare il computer a menadito, che già per stampare un’impegnativa, a volte è un’avventura.

E basta commissariamenti ‘politici’: o la Politica ci mette la faccia oppure – se i conti non tornano – che intervegano i pubblici ministeri od i super magistrati come Cantone, come per tutto il resto della pubblica amministrazione.

originale postato su demata

Università migliori nel mondo: quali le italiane?

20 Ago

Ogni anni, l’ateneo Jao Tong di Shangai pubblica l’Academic Ranking of World Universities (Arwu), una sorta di classifica generale mondiale dei migliori 500 atenei.
Tra questi sono solo 21 gli atenei italiani, nessuno è tra i 150 migliori in assoluto.

Tra la 201° e 300° posizione troviamo il Politecnico di Milano e l’Università di Firenze, in penultima fascia (301-400) ci sono la Normale di Pisa, Milano Bicocca, Federico II di Napoli, Roma Tor Vergata. In fondo classifica, tra le ultime 100, c’è anche l’Università Cattolica, con quelle di Cagliari, Ferrara, Genova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia e Trieste, tutte ben precedute da facoltà africane, asiatiche e latinoamericane.

Questo lo stato dell’arte.

Riguardo la Medicina, solo MIlano e Torino figurano tra le prime cento, Napoli, Firenze, Genova e Bologna tra le prime 200, mentre Roma si colloca nella parte bassa della classifica. Non è azzardato ipotizzare che l’elevato costo della Sanità italiana sia correlabile ad una formazione obosoleta o pregiudizievole e poco manageriale.

Riguardo Storia e Sociologia, nessuna università italiana figura entro i primi 200 atenei: siamo superati persino dall’University of the Witwatersrand nel Sudafrica e da quella australiana di Wollongong. E’ sotto gli occhi di tutti – nel nostro paese – quali possano essere le conseguenze di un tale ‘vuoto’ sull’informazione giornalistica, sulla politica e sulla formulazione e l’attuazione di norme e leggi, sulla formazione e selezione del personale pubblico, sulla formazione dei docenti.

Nelle scienze ce la caviamo, con Milano, Pisa e la Sapienza tra 76 e  100 in matematica, con Bologna al 50° posto e Padova tra il 51° e il 76° per la fisica, con Bologna e Firenze per la Chimica e Milano per la Biologia tra la 100° e la 150° posizione. In ingegneria il Politecnico di Milano è tra i primi 100 atenei, mentre quello di Torino si colloca tra i primi 150 insieme all’Università di Milano e Roma, con la Sapienza, rientra tra i primi duecento. Il problema è che questi (pochi) cervelli spesso li regaliamo all’estero o li teniamo precari fino ad età avanzata.

In Economia, solo Milano vede la Bocconi tra i primi 100 e la Statale entro la 200° posizione. E i risultati sull’economia e la finanza italiana si vedono.

Delle tante blasonate facoltà umanistiche, nessuna traccia. Non a caso c’è in Italia – ancora oggi – un filone di pensiero che considera gli studi universitari come una mera forma di acculturamento.

Morale della favola, se non siamo ancora un paese di ignoranti ci manca poco.
Se dobbiamo lagnarci dei nostri partiti o dei nostri media, dovremmo ancche prendercela con chi forma ‘la classe dirigente’.
Se volessimo processi e cure efficienti, dovremmo prima metter mano ai luoghi – fuori classifica – dove formiamo medici e giuristi.
Se volessimo dei giovani ‘migliori’, dovremmo verificare prima la ‘qualità’ di chi gli fa da insegnante.

Originally posted on Demata

 

 

Decreto Fare, 80 punti su cui prendere le misure

16 Giu

Arrivano le 80 misure del Decreto Fare. Enrico Letta: «Sono misure per rilanciare l’economia», ma di soldi ‘freschi’ non se ne vede l’ombra. Se la cava meglio, il vicepremier e ministro dell’Interno, Angelino Alfano: «Il cittadino deve percepire lo Stato come amico, per questo abbiamo riequilibrato il rapporto tra cittadini e fisco».

Infatti, uno dei provvedimenti annunciati è la revisione dei poteri di Equitalia, che impedisce la messa all’asta della prima casa e, per i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità, la rateizzazione dei debiti tributari fino a 120 rate e la possibilità di rinviare il pagamento fino a otto rate consecutive.
Un intervento ‘giusto’ che, per come è formulato, rischia di innescare un circolo vizioso di morosi e di ‘meno abbienti’ che accumulano debiti ed interessi sempre più avviluppati in una morsa creditizia.

Saranno destinati 3 miliardi di euro ai cantieri ed ai lavori in infrastrutture e in piccole, medie e grandi opere, recuperando circa 30.000 posti di lavoro.
Non è molto, ma almeno è meglio di niente. Servirà a dare ossigeno al settore edile, a completare opere ed a … garantire equilibri, prebende e accordi vetusti. Niente nuovi investimenti per nuovi interventi.

Si promettono prestiti ad un tasso agevolato per 5 miliardi di euro complessivi per favorire l’acquisto di nuovi macchinari da parte delle imprese, con un massimale fino a 2 milioni di investimenti per ciascuna azienda.
Serviranno a sostenere l’export, che è l’unico settore in attivo che abbiamo, oppure faranno la stessa fine di tanti contributi europei del passato, oggi capannoni vuoti, agriturismi deserti, aziende agricole in passivo, false fatturazioni eccetera?

In tema di giustizia, viene introdotta la mediazione obbligatoria nei contenziosi civili, con la previsione di smaltire un quarto delle pratiche arretrate, che sono oltre un milione.
Arriva la Common Law, finalmente. Non è proprio la Common Law, bisognerà vedere come funzionerà l’arbitrato e con quali poteri, ma è piuttosto improbabile che possa avere successo se “si farà reclutando 400 giudici onorari, che lavoreranno guadagnando 200 euro a sentenza”, come annuncia il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. Si tratterà, a quanto pare, di meritevoli neo laureati in giurisprudenza con stage presso tribunali e Corti d’appello …

Si annunciano sgravi energetici per le famiglie o, meglio, per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e “assimilate”, come conferma il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, che annuncia «misure che consentono di ridurre le bollette energetiche degli italiani di 550 milioni, con l’utilizzo del biodiesel e con la modifica del Cip6».
Nei grandi cenri urbani, dove vive gran parte degli italiani, il problema ‘bolletta’ resta.

E’ anche previsto un investimento straordinario di edilizia scolastica finanziato dall’Inail fino a 100 milioni di euro all’anno dal 2014 al 2016.
Una miseria, considerato che gli edifici sono almeno 50.000 e che, fino a pochi anni fa, in Legge Finanziaria, veniva inserito un ‘fondo’ di 500 milioni di euro a cui gli Enti Locali potevano attingere.

Come anche è annunciato lo sblocco del turn over nelle Università, fino al 50%.
Apparentemente una norma contro i ‘baroni’ e a favore dei ‘precari’. In realtà, è un maggior costo per l’INPS e consolida la spesa di personale delle Università, a tutt’oggi un po’ sprecone, come le statistiche dimostrano … se, poi, tra i ‘precari’ si annidassero un tot di ‘nepoti’, il quadro sarebbe completo, visto che noi li assumiamo a vita ed all’estero i professori ed i ricercatori hanno tutti contratti a termine.

Ed arriva il pagamento di un indennizzo da parte degli uffici pubblici inadempienti nei confronti di un cittadino.
Una norma che, si spera, inciderà su tanti andazzi, visto che pagare un indennizzo per ‘negligenza’ comporterà – gioco forza – la rilevanza giuridica per maggiore spesa erariale. Ci sarà, dunque, da intervenire sulla disciplina del pubblico impiego, sui contratti di lavoro della P.A. e delle scuole, sui poteri ed i doveri di quadri e dirigenti. Chissà se Enrico Letta ha messo in conto l’urgenza di intervenire di concerto con i sindacati dei dipendenti pubblici …

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

originale postato su demata

Studenti in sciopero, per cosa?

12 Ott

E’ davvero difficile comprendere cosa c’entrino gli studenti con lo sciopero convocato oggi dalla Federazione Lavoratori della Conoscenza (CGIL Scuola) ed, a seguire, Unione degli universitari e dalla Rete degli studenti medi. Infatti, gli universitari ‘di per se nulla c’entrano’ con la scuola, mentre i/le ragazzi/e delle superiori avrebbero tutt’altro da fare che sostenere delle richieste corporative.

Infatti, La Repubblica stessa riporta che la “Pensavamo di avere già dato – scrive nel volantino la Flc Cgil – ma con la spending review vengono sforbiciati altri 200 milioni di euro. …  Nella legge di stabilità approvata dall’esecutivo Monti ci sarebbe una decurtazione di un miliardo sulla scuola, da concretizzare aumentando l’orario di lavoro dei docenti di medie e superiori per risparmiare sulle supplenze. …  Le retribuzioni sono tra le più basse d’Europa. In più si chiede ai docenti di lavorare più ore 2 senza compenso aggiuntivo”.”

Informazioni che ci raccontano come la sforbiciata della spending review equivalga a due mesi scarsi di supplenze (caso mai di questo si trattasse) od allo 0,4% dell’intero budget dell’Istruzione. Inezie, a confronto con tagli, economie e balzelli che altri comparti stanno subendo.

Quanto all’eventuale norma che porti l’orario di lavoro dei professori a livello europeo, ovvero oltre le 18 ore settimanali, i giovani e gli studenti dovrebbero solo plaudire, visto che questo eviterebbe cambi continui di docenti, nel corso degli anni, e garantirebbe che i supplenti siano i loro stessi docenti, per altro di provata esperienza e ben interlacciati col Piano dell’offerta formativa della scuola.

Arrivando agli stipendi – che saranno i più bassi d’Europa ma anche a causa dell’enorme numero di docenti che lo Stato Italiano ha assunto – è davvero disarmante vedere dei giovani che appoggino richieste di aumenti stipendiali o di compensi aggiuntivi, mentre operai ed impiegati finiscono disoccupati e mentre malati ed anziani son trattenuti al lavoro.

In effetti, gli studenti (ma non i docenti) protestano anche per altre cose.
“In Italia ci ritroviamo ancora con un modello frontale di lezione che non crea alcuna interazione fra studente ed insegnante, con materiali didattici preistorici, con programmi estremamente datati che non tengono minimamente conto dell’evoluzione che il nostro paese e la nostra società ha avuto negli ultimi sessanta anni”. “Ben poche sono le regioni che hanno adottato leggi sul diritto allo studio virtuose. Borse di studio, comodato d’uso dei libri di testo, gratuità dei trasporti pubblici sono solamente un miraggio per la stragrande maggioranza delle realtà italiane”.

Cose che sono al centro delle proteste non solo della Rete degli studenti medi, ma anche del Blocco Studentesco, che oggi non ha manifestato e che chiede attenzione anche per la “privatizzazione scolastica, la sicurezza e l’edilizia scolastica, le riorganizzazioni che non avranno altro risultato se non quello di arricchire le casse dei privati ed impoverire gli istituti pubblici con tagli ai fondi”.

Già, la sicurezza ed il decoro degli edifici scolastici o l’esternalizzazione dell’istruzione professionale da parte degli Enti Locali … di cui nessun sindacato della scuola mai parla o se ne lagna. Come, anche, si protesta sempre e solo contro il Ministero, dimenticando cosa (non) fanno Regioni, Province e Comuni e come spendono le risorse che potrebbero servire alle scuole.

E’, dunque, difficile comprendere degli studenti (e dei docenti) che scioperino con tanto afflato per materiali didattici antidiluviani e non altrettanto per la qualità degli immobili dove trascorrono metà della propria giornata.

E’, anche, difficile condividere l’idea che ad uno sciopero del personale – che pone principalmente mere questioni salariali o di mansionario – si vadano ad associare gli utenti, lamentando ad ogni riforma dei “programmi estremamente datati che non tengono minimamente conto dell’evoluzione che il nostro paese e la nostra società ha avuto negli ultimi sessanta anni”.
Infatti, quello che è datato è – spesso e volentieri – il metodo didattico, visto che per i professori, ad eccezione di quanti provenienti dalle ex-SISS, non sono previste competenze nel campo psico-pedagogico e sociologico, benchè meno se parliamo di nuove tecnologie e multimedialità.

Ed è del tutto impossibile comprendere cosa abbiano da manifestare insieme lavoratori e studenti delle scuole superiori e delle università, visto che le prime sono le neglette del sistema di finanziamento pubblico ed uno dei pochi spazi di ‘democrazia sul lavoro’ esistenti nel paese, mentre le seconde sono  sprecone ed elitarie come solo un sistema baronale può essere.

Ovviamente, se gli studenti manifestassero unitariamente e per conto proprio, sarebbe un’altra cosa. Anzi, un’altra Italia. E, finchè questo non accadrà, finchè gli Italiani saranno ‘spartiti’ in fazioni fin dall’adolescenza, non vi sarò futuro che tenga per loro e per il nostro Paese.

originale postato su demata