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Medio Oriente: arriva la Pace?

24 Set

Abu Mazen, in nome del popolo palestinese, ha chiesto all’ONU il riconoscimento di uno Stato di Palestina, che possa avviare i colloqui diretti di pace con Israele.
I palestinesi esultano nelle piazze, a casa loro, in Israele e nel mondo, arriva la Pace.

La Pace? Per ora proprio no.

20.000 poliziotti israeliani ed altrettanti militari sono dislocati in Cisgiordania in stato di massima allerta e questo durerà almeno fino alla fine del Capodanno ebraico.
Ci si prepara al bagno di folla (e di sangue) previsto per il ritorno di Abu Mazen in patria, nella settimana prossima.
L’entusiasmo è un potente movente e non è improbabile che ci saranno morti tra incidenti, infortuni, scontri ed azioni isolate.
Le forze di sicurezza israeliane e palestinesi sono state attivate in forze proprio per contenere queste situazioni e prevenire un’escalation.

Non è un caso che a Gaza, invece, sia tutto fin troppo tranquillo, perchè Hamas non approva l’iniziativa di Abu Manzen, che sarebbe andato alle Nazioni Unite “per mendicare uno Stato” e che sarà “costretto rinunce rispetto agli interessi nazionali dei palestinesi”.
Oppure che nei territori occupati, come nelle colonie ebraiche di Kusra ed Hebron, sono ore di massima tensione e già si contano 4 morti, due adulti e due bambini, due ebrei e due palestinesi.

Nessun vincitore …

(leggi anche Palestina-Israele: il ciclo dell’odio)

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Palestina-Israele: il ciclo dell’odio

24 Set

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, un’enorme quantità di coloni ebrei si trasferì nello Protettorato di Palestina, partendo dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, dove erano approdati in fuga dalla Germania, dai Paesi dell’Est, dalla Francia e dall’Olanda.

Miliioni di europei, come gli invasori crociati, ebrei, come i traditori biasimati da Maometto: una premessa esplosiva.

Le premesse, tra l’altro, furono diverse: da un lato la “promessa”, più americana che inglese, per la creazione di uno stato sionista, dall’altra la politica interna britannica che non sapeva cosa fare di quei milioni di rifugiati, che avevano accolto per quasi dieci anni durante gli orrori del Nazismo.

Chi di noi può immaginare cosa fosse il melting pot siriano post grecofenicio post bizantino post cristiano post musulmano di quel Medio Oriente degli Anni ’30 che fa da sfondo ai film di Indiana Jones?

Di sicuro, convivevano pacificamente.

Quanto sarebbe ancor più splendida oggi la città dei Pellegrini ancora affidata agli antichi e pacifici “consegnatari” (da parte di Gesù-Jahvè-Allah, naturalmente).

Non è andata così e dopo 60 anni dobbiamo constatare che è il luogo sulla Terra dove si sono verificati più conflitti che altrove.

Molti di più, quasi quotidianamente.

Le politiche militari, da ambo le parti, non hanno prodotto alcun miglioramento territoriale, se non a favore della popolazione ebraica edhanno compresso le rispettive fasce di sicurezza e reso invivibili aree che lo erano.

Nella cieca retorica dei belligeranti, nè le popolazioni nè i leader si sono accorti dell’inutilità “de facto” di tutti i tentativi di “eliminare” l’avversario.

Il mondo non si è fermato nel 1947, come avvenuto in Palestina, quando tutto ebbe inizio con un gruppo di sionisti (cosa diversa da Ebrei o da Israele) arrivati dall’Europa (la “Banda Stern”) che si mise in testa di scacciare gli Inglesi alla maniera dell’IRA in Irlanda, invece di integrarsi nel contesto che li accoglieva benevolmente: arrivarono a far esplodere un albergo di Gerusalemme dove risiedevano i corrispondenti e gli attaché britannici per la Palestina.

E’ quella strada che ha portato, oggi,  i nipoti di persone scacciate dalle case che avevano costruito con le proprie mani, a mandare madri di famiglia a farsi esplodere tra i ragazzini.


E’ esclusivamente per fare un consuntivo dell’annosa questione che vale la pena di ricordare i principali “fatti militari” che hanno coinvolto Israele e Palestina da allora.

  • 1948 Prima guerra arabo-israeliana
  • 1951 Guerra siro-israeliana ed occupazione militare di Gerusalemme
  • 1956 Seconda guerra arabo-israeliana “di Suez”
  • 1967 Terza guerra arabo-israeliana “dei Sei Giorni”
  • 1973 Quarta guerra arabo-israeliana “del Kippur”
  • 1978-1983 Guerra civile libanese
  • 1987 Rivolta di Gaza (Prima Intifada)
  • 2001 Intifada di  al-Aqsa
  • 2002 Assalto ed assedio della sede dell’Autorità Palestinese a  Ramallah
  • 2004 Elicotteri israeliani sparano 4 missili contro manifestanti a Rafia alla frontiera con l’Egitto
  • 2006 Attacco contro gli Hezbollah (scarsi risultati) e vasta devastazione del Libano
  • 2008-09 Bombardamento e rastrellamento di Gaza (per ora almeno 500 di morti  e diverse migliaia di feriti tra la popolazione civile)

Diversi dati sono evidenti:

– la degenerazione del conflitto con il coinvolgimento sempre più feroce o brutale della popolazione civile, come a Gaze due anni fa circa, dato che nè lo Stato israeliano nè l’Authority palestinese hanno il controllo della situazione nè sono in grado di conseguirlo

– la progressiva indisponibilità, per la parte araba della popolazione certamente più esposta, a recepire gli eventi fuori da  un quadro millenaristico e jiadista, con il conseguente imbarbarimento dei metodi di lotta e di indottrinamento

– l’incapacità, da parte di Israele, a perseguire soluzioni diverse dall’intervento militare con armamenti pesanti e, soprattutto, utili a favorire, a permettere la nascita di un Governo e di uno Stato Palestinese.

Nelle future, si spera, negoziazioni sarà fondamentale capire cosa sarà dei territori che Israele ha occupato illegalmente, dato che erano riservati alle Nazioni Unite (Gerusalemme, campi profughi, zone smilitarizzate).

La nuova fase che porta Abu mazen all’ONU, si è avviata, ricordiamolo, anche grazie all’incombente Tribunale per i criminidi guerra dell’Aja, in relazione ai fatti di Gaza, ed alla ripresa della linea clintoniana alla Casa Bianca, che aveva già dato successiin passato.

Vedremo come andrà e vedremo se una ridotta armata europea, su mandato ONU, potrà intervenire in Palestina a separare i contendenti, visto che gli Israeliani proprio non potrebbero attaccarli e che i Palestinesi già guardano a noi e ci accoglierebbero come hanno fatto i loro cugini Libanesi.

La Filistina, insieme alla vichinga Helgoland e alla celtica Stonenghe, è la terra d’origine anche degli Europei, greci o fenici che fossero, non solo degli Ebrei.

Siamo coinvolti molto più di quanto vorrebbero i Governi di mezza Europa ed i pacifisti israelo-palestinesi guardano a noi.

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Dalai Lama: compassione per Bin Laden

9 Mag

In un intervento presso la University of Southern California di Los Angeles, Tenzin Gyatso, il Dalai Lama vivente, ha risposto ad alcune domande riguardo il “point of view” buddista, riguardo la morte di Osama Bin Laden.
“Perdonare non vuol dire dimenticare cosa è successo.
Se accade qualcosa di grave che richiede delle contromisure, bisogna prendere quelle contromisure“.

La sua morte, “in una prospettiva buddista, ovvero quella di considerare il nostro nemico cone il nostro più grande maestro, è un fatto triste. Come ogni essere umano, Osama Bin Laden ha diritto alla nostra compassione e comunque perdono.”
“Naturalmente, per coloro che credono che un nemico sia un nemico assoluto, il punto di vista porta ad una prospettiva differente”.

Un concetto accettabile, se non ovvio, per noi europei figli di tante guerre fratricide, che, però, ha destato diversi interrogativi sui media statunitensi, che in questi giorni avevano cavalcato l’onda della “vendetta”, nel raccontate l’attacco di Abbottabad e la morte di Bin Laden.

Questo il comunicato ufficiale del Dalai Lama sul suo sito in risposta.

C’è bisogno di distinguere tra l’azione e l’attore. L’azione di Bin Laden è stata certamente distruttiva e i fatti accaduti (e scaturiti dal) l’11 settembre hanno ucciso migliaia di persone. Questa azione deve essere ricondotta a giustizia.”
“Ma, verso l’attore, dobbiamo avere compassione e discernimento, come anche che le contromisure, a prescindere dalla forma che abbiano, devono essere compassionevoli.”
Il leader spirituale dei buddisti di culto tibetano ha anche sottolineato che “la pratica del perdono non implica che si debba dimenticare cosa è stato fatto“.

A quanto pare, un uomo da solo, Tenzin Gyatso il Dalai Lama vivente, ha avuto il coraggio (o l’onestà intellettuale) di dire agli USA dinanzi a telecamere statunitensi ciò che ONU, Vaticano, Associated Press, governi alleati e non alleati stanno flebilmente bisbigliando da giorni, chiedendo foto o precisazioni da parte di Obama.

Flebilmente perchè tutti temiamo che si venga ad acclarare che Osama Bin Laden si è consegnato e che, successivamente, è stato giustiziato sommariamente e con brutalità.

leggi anche Bin Laden, dal mistero il mito

Hamza bin Laden, l’erede

5 Mag

Hamza bin Laden (Hamza bin Osama bin Muhammad bin ‘Awad bin Laden) è il 22enne figlio di Osama e di Khairiah Sabar, una saudita di Gedda con un PhD in legge (islamica) ed insegnante per sordomuti.
Molti esperti ritengono probabile che Khairiah sia morta sotto i bombardamenti in Afganistan, ma è anche possibile che sia detenuta in Iran.
E’ importante sapere che Khairiah Sabar dicende dal profeta Maometto per linea diretta e, dunque, suo figlio può, in teoria, ambire alla corona saudita come a quella di qualunque stato islamico.

Hamza inizia presto a sua carriera di erede del “principe del terrore”, praticamente cresce accanto ad un padre che trascorre le sue giornate a pianificare attentati ed incontrare compagni d’armi: sono i tempi della repubblica islamica dell’Afganistan e dei complotti sudanesi.
Dopo l’11 settembre fugge in Iran con il grosso della famiglia ed alcuni fedelissimi di Osama, ma lì deve confrontarsi con il governo iraniano che li sottopone ad un lungo “soggiorno obbligato”, col pretesto di proteggerli.

A 16 anni, diviene (tristemente) famoso in Gran Bretagna per un poemetto pubblicato on line che inneggia agli attentati di Londra ed al massacro degli infedeli.
Sempre in quel periodo (2007) viene segnalata la sua presenza in Afganistan e Benazir Bhutto dichiara di temere Hamza, in relazione ad un suo possibile omicidio, come puntualmente avvenuto.

Attualmente, vista la smentita della CIA sulla sua morte ad Abbottabad, Hamza è già un senior member di al-Qaeda in Afghanistan e, vista l’investitura paterna,  è possibile che prenda il controllo di almeno una parte delle cellule terroristiche e dei conti bancari di famiglia. E’ anche possibile che per la giovane età possa esercitare un certo carisma sui giovani integralisti che vivono in Europa, come anche che proprio questa sua ascesa abbia indotto qualcuno a tradire suo padre.

Intanto, sua madre è morta sotto le bombe americane, suo padre è stato ucciso, inerme, da un Navy Seal e ad Hamza non resta altro che la resa o la vendetta …

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Bin Laden, dal mistero il mito

5 Mag

Già nelle prime 24 ore dopo l’assalto dei Navy seals ad Abbottabad, questo blog avanzava delle perplessità sulle informazioni diffuse dal governo USA e, più precisamente sull’assenza di prove, su dove e come fosse morto Osama Bin Laden e sul ruolo avuto dai pakistani.
Riflessioni della prima ora, che stonavano con l’esultanza generale e che trovano, già dopo pochi giorni dai fatti, ampio fondamento.

Quali sono gli elementi critici della versione fornita dalla Casa Bianca?

  1. Innanzitutto, le modalità di attacco. Secondo le dichiarazioni USA, il “covo” sarebbe stato trovato grazie alle ammissioni di un detenuto di Guantanamo, per giunta estorte sotto tortura (Waterboarding). Secondo i militari afgani e pakistani, l’abitazione era stata segnalata da tempo.
  2. Ingannare l’ISI (ndr. i servizi segreti) è difficile come lo è far atterrare 2-3 grossi elicotteri a poche centinaia di metri dai comandi d’elite dell’esercito pakistano, dopo aver sorvolato buona parte del paese. Non  a caso Islamabad protesta vivamente per la violazione dello spazio aereo e per la conduzione di azioni militari sul suo territorio.
  3. La villetta dove viveva Bin Laden da tempo è sita in un quartiere abitato da militari, dove nessuno è accorso (neanche la polizia locale) durante una sparatoria di 40 minuti preceduta da una forte esplosione. E’ evidente che c’è stato un supporto da parte dei pakistani.
  4. Alcuni video amatoriali mostrebbero un elicottero diverso dal Black Hawk, che la Casa Bianca afferma essere stati utilizzati per l’operazione.
  5. Sono stati necessari oltre 70 Navy Seals e 40 minuti di combattimento per abbattere gli uomini della guardia del corpo, che la Casa Bianca quantifica, però, in sole cinque unità, incluso il figlio diciottenne di Bin Laden.
  6. Nel flusso di informazioni tra i Navy Seals e la Casa Bianca c’è stato un black out di 20 minuti, proprio nella fase cruciale dell’attacco, come rivelato dal direttore della Cia, Leon Panetta,
  7. Non viene ancora diffusa alcuna immagine che comprovi la morte di Osama o la cattura dei suoi familiari. Gli USA si rifiutano dire prove, giustificandosi col fatto che sono troppo cruente.
  8. Bin Laden è stato riconosciuto in base ad un test del DNA, affidabile al 99% secondo la Casa Bianca, senza considerare che in assenza di fratelli (come per Osama) l’affidabilità dei test crolla sotto il 90%.
  9. Una delle mogli sarebbe stata usata come scudo umano, questa una delle prime notizie, poi cambiata in un più credibile ferita da una raffica mentre assaliva (a mani nude?) un Navy Seal.
  10. Nel “covo” c’erano altre mogli di Osama e numerosi bambini, che sono stati legati e portati via dai militari americani in una località sconosciuta, dopo aver assistito all’esecuzione del padre: un’azione fermamente vietata dalla Carta per i diritti dell’infanzia.
  11. Dulcis in fundo, “Osama Bin Laden è stato catturato vivo e poi ucciso”, cosa in contrasto con la Convenzione di Ginevra, se parliamo di un combattente, e col diritto ad un giusto processo, come sancito da qualunque costituzione democratica, se parlassimo di un criminale.

Fermo restante che il “principe del terrore” è certamente morto, quanto contribuiranno al suo mito la sete di vendetta statunitense e l’ansia di manipolazione dei servizi segreti USA?

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Bin Laden ucciso: è tutta la verità?

2 Mag

Nel corso di un blitz dei Navy Seals ad Abbottabad, Bin Laden è morto colpito da una pallottola alla testa e sono state uccise 5 persone, tra cui uno dei figli.

Non v’è ragione di dubitare delle dichiarazioni di Barak Obama,  ma la foto diffusa dalle tv è risultata essere un montaggio e il corpo è sparito, “plausibilmente sepolto in mare” come riporta Associated Press news.
Certo, il “mostro delle Twin Towers” non è più tra noi: nessuno rischierebbe una bufala così eclatante, ma … Bin Laden è morto ad Abbottabad o altrove?

Una piccola unità d’elite sotto copertura, la Navy Seal Team Six, avrebbe sferrato un attacco durato circa 40 minuti ad una villetta, trasformata in un piccolo fortino  ed il tutto accade in una piccola cittadina aereoportuale come Abbottabad, sede di tre divisioni dell’esercito, con decine di caserme e diverse migliaia di soldati.
Possibile che l’esercito pakistano si sia accorto di cosa accadeva, intervenendo a recintare il compound (sic!), solo dopo che la salma di Bin Laden era stata portata via dai Navy Seals? Possibile che nessuno sia accorso?

Infine, secondo il corrispondente della BBC da Islamabad, Aleem Maqbool, il compound dove ha trovato la morte Osama Bin Laden è a 500 metri dalla Pakistan Military Academy. Molti pakistani trovano improbabile che la presenza di Bin Laden fosse ignota, visto che la cittadina dista meno di cento chilometri dalla capitale Islamabad ed è, come detto, un enorme (e ben sorvegliato) agglomerato di scuole ed accademie militari con relative caserme, tribunali, moschee ed ospedali.

Sembra incredibile, ma, mentre il mondo esulta, non circolano foto veritiere del cadavere, che per altro sarebbe scomparso, ed i militari pakistani sarebbero del tutto estranei alla cosa, sia per le coperture avute dall’Emiro del Terrore sia per l’assistenza data agli americani. Incredibile, non c’è che dire.

Per Franco Frattini, Bin Laden è il «mito del male assoluto», un simbolo la cui uccisione «indebolisce la coesione del terrorismo internazionale».

Vero, ma, se non saltano fuori foto e cadaveri, “l’icona di Bin Laden” rischia ugualmente di trasformarsi in un boomerang, come quella di Hitler e di Che Guevara, anch’essi morti ma non immortalati.

leggi anche Bin Laden, dal mistero il mito

e   Hamza bin Laden, l’erede