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La resa dei conti: il PD preferisce Conte a Draghi, che oggi è sostenuto da FdI

28 Set

Se il PD + Verdi SI corrono dietro a Giuseppe Conte, c’è Giorgia Meloni che si tiene stretto Mario Draghi.
Vediamo come è andata.

Sul fronte sinistro del Parlamento, come se non bastasse la fuga di elettori dopo due anni di governo PD-M5S, “ora tutti i candidati al congresso Pd rivogliono Conte”, questo il titolo dell’Huffington di ieri, “Movimento Una Stella, le ragioni di Conte superstar”, quello di oggi.
Intanto, dal Fatto Quotidiano, emerge la bizzarra ipotesi che “i candidati di Calenda sono stati decisivi per consegnare il seggio alla destra: il centrosinistra avrebbe 13 eletti in più”, come se i voti della base populista (post-comunista) non siano sottratti dai Cinque Stelle da ormai quasi 10 anni.
E senza considerare che chi ha votato Azione-IV poteva aggiungersi alla fila degli astenuti, pur di non votare Cinque Stelle.

Dunque, in piena crisi di identità pur di dare sempre “la colpa ad altri”, il PD passa dalla schizofrenia tra “lotta” e “governo” alla psicosi in cerca di un “uomo forte”. E come andrà a finire, comunque, non sarà una bella storia.
Di sicuro, vanno in cavalleria tutte le promesse fatte dal PD riguardo Resilienza e Resistenza del Sistema Italia.

Intanto, sul fronte opposto, la Lega ben pensa di ritornare al suo obiettivo storico, le Autonomie, o meglio la’ Autonomia legislativa e fiscale , rimasta del tutto accantonata per un’intera legislatura, ‘grazie’ dallo statalismo centralista di Giuseppe Conte e al ‘veto’ del PD romano di Nicola Zingaretti, e necessaria quanto carente per il PNRR di Mario Draghi.

E, a parte i numeri che permetterebbero di riformare la Costituzione senza il PD e/o i Cinque Stelle – è prevedibile che le poco velate accuse di ‘voto di scambio‘ – menzionate da Giuseppe Conte in conferenza stampa a Montecitorio, rispondendo a una domanda del direttore di Agenzia Vista – porteranno il Parlamento a volere una attenta revisione del Reddito di cittadinanza e delle altre forme di sussidio, che del resto l’Inps ha già iniziato a predisporre da qualche mese, in funzione degli anziani e dei disabili piuttosto che per chi abile al lavoro.

E se il tracciato prefissato da Mario Draghi sembra salvo almeno nelle linee generali, Libero Quotidiano ieri riportava: “dentro Fratelli d’Italia si parla di quattro ipotesi: segretario generale della Nato, presidente della Commissione europea, presidente del Consiglio europeo. E, attenzione, mediatore tra Ucraina e Russia. La figura dell’inviato speciale sulla crisi ucraina, riporta La Stampa, potrebbe essere proposta dalla stessa Giorgia Meloni. Nato, Commissione e Consiglio Ue sono invece nomine che si giocheranno alla scadenza dei mandati attuali tra 2023 e 2024. “

A quanto pare, c’è chi si accontenta di Conte, sostenendo Draghi senza convinzione, e c’è chi osteggiava Draghi, perchè voleva e vuole una spinta maggiore.

Demata

Autonomia legislativa e amministrativa: lo scenario regione per regione

13 Feb

Arriva l’Autonomia legislativa e amministrativa e già la chiamano la secessione voluta da Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna. 

True Numbers fornisce molte informazioni, a partire da quella che il risanamento  ha imposto molti sacrifici a regioni e comuni, anzi, ne ha limitato occupazione, benessere e crescita che una parte di loro avrebbero potuto finanziare, avendo i bilanci a posto.
Viceversa, lo Stato Centrale non ha adottato la stessa misura verso se stesso. Infatti, mentre dal 2012 il debito nazionale è costantemente aumentato, quello degli Enti Pubblici è sceso dal 7% al 5% del Pil nazionale.

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Inoltre, lo Stato in Italia non è qualcosa di astratto, bensì è ben ‘geolocalizzato’, come ci spiegano gli studiosi dell’Unificazione italiana. 
E lo Stato è innanzitutto Roma, con il Lazio che – sarà un caso – è la regione che non vede una reale diminuzione in 3 anni del debito consolidato degli enti locali (tutti, non solo la regione). 
Ma lo Stato in Italia è anche Torino e, anche questa volta sarà un caso, il ‘ricco’ Piemonte (Pil pro capite = 30.300 € annui) dove il debito consolidato degli enti locali tutti è intorno al 9% proprio come la Campania, che certamente non naviga nell’oro (Pil pro capite = 18.200 € annui).

Sempre come ‘geolocalizzazione’, su un totale dei debiti delle amministrazioni locali di 86 miliardi e 877 milioni, al primo posto ci sono i debiti consolidati delle Città Metropolitane e dei Comuni del Centro e del Sud, al secondo le regioni … del Centro e del Sud, che hanno anche un allarmante primato: enormi debiti non consolidati, saldati nell’arco di un anno ma … anche con gli interessi e le more di un anno.

L’Autonomia legislativa e amministrativa – liberando risorse della Cassa Depositi e Prestiti a favore delle regioni ‘virtuose’ comporta un ulteriore problema: il debito contratto con le banche italiane e con la Cassa Depositi e Prestiti ammonta a qualcosa come 63 miliardi e 124 milioni, ma il 30% di questo debito spetta al Lazio (oltre 11 miliardi) e al Piemonte (circa 8 miliardi), che vanta anche quasi 2 miliardi emessi dall’estero.

Al rovescio della medaglia troviamo che l’avanzo primario delle regioni contribuisce ormai al 30% circa di quello nazionale (più che raddoppiato in dieci anni), ma anche che il residuo fiscale che lo alimenta proviene pressochè tutto da Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte.

Se questi sono i dati essenziali per comprendere “chi e quanto”, vediamo come andrà a finire, dato che è cosa certa che – inizialmente – avremo “due Italie”: quella delle tre regioni ‘più autonome’ più Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia e quella che dipende in tutto e per tutto da Roma.

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In altre parole, se Roma nei prossimi mesi non si dimostrerà pronta a legiferare, regolamentare e finanziare in modo tempestivo ed accurato, il debito incrementale che ricadrà sulle regioni ‘relativamente sane’ sarà insostenibile, perchè la farragine burocratica e le risorse a tal punto contingentate faranno risalire il debito non consolidato già nel 2019.

A tal punto, la Toscana e le Marche – avendo una situazione debitoria relativamente bassa (meno del 4% e circa il 5% rispettivamente) e un buon residuo attivo fiscale (oltre 6 miliardi annui ed oltre 1,5 miliardi ) dovranno scegliere da che parte stare. 

Anche il Piemonte potrebbe essere tentato dal rendersi autonomo, se il suo PIL avesse opportunità di risalita, visto che la sua esposizione consolidata equivale all’incirca al buon avanzo fiscale vantato verso Roma (oltre 6 miliardi). Un ragionamento simile potrebbe farlo la Liguria che ha sì un residuo passivo fiscale verso Roma (circa un miliardo annuo), ma inciderebbe poco (circa 3%) sul PIL regionale come è relativamente basso il debito consolidato (circa il 4%).
Naturalmente, è tutto da destinarsi a dopo che l’Italia avrà sistemato la questione dei passanti ferroviari ed autostradali che servono all’import-export, sempre che queste due regioni non siano indotte a rendersi rapidamente autonome a causa della farragine burocratica dello Stato centrale, cioè Roma.

La Toscana è anch’essa candidata all’autonomia, avendo quasi raggiunto i parametri finanziari “utili” con un debito consolidato al 5%, pagamenti relativamente buoni e un attivo fiscale di oltre sei miliardi annui.

Umbria, Puglia, Basilicata e Abruzzo, pur più o meno ‘risanate’ (debito consolidato intorno al 5%) hanno un importante dipendenza fiscale da Roma e di conseguenza lentezza nei pagamenti che cumula debito non consolidato ed interessi: anche in questo caso maggiore farragine e lentezza capitolina potrebbero spingere verso una scelta autonomistica.

Le restanti regioni hanno un elevato residuo passivo fiscale verso lo Stato oltre a debiti consolidati spesso proibitivi e spesa corrente in ‘ritardo di pagamento‘ con altrettanti debiti non consolidati proibitivi: senza un intervento dello Stato per decine di miliardi che cartolarizzi immobili e debiti, la situazione è troppo onerosa per ottenere dei rating minimamente accettabili.

Se parliamo del Lazio – ma vale anche per le altre regioni – il debito regionale è talmente elevato che rappresenta oltre il 50% della spesa prevista, cioè è come se una carta di credito avesse un massimale di 2.000 euro ma viene bloccata non appena spesi 860 euro. Inoltre, c’è l’emorragia di Roma ed il contraccolpo del trasferimento di risorse e uffici dalla capitale ai vari capoluoghi regionali.

Nel caso della Campania il problema ‘storico’ è che al suo PIL lordo a parità di prezzi di mercato ‘mancano’ almeno 50 miliardi annui per raggiungere il pareggio fiscale: pur essendo la regione molto ricca e possa vantare una tradizione produttiva millenaria, accade che – da che Napoli ha perso la sua dimensione originaria di città-stato estesa anche alla propria Terra di Lavoro , l’impresa è strozzata e l’occupazione affossata. Ben più florida Amburgo che nessuno ha privato dell’autonomia, delle banche, della flotta e dei distretti di Mitte e Harburg. 

Se parliamo del Molise, c’è solo da recepire che Termoli/Larino, Isernia e Campobasso sono separati dall’altipiano carsico del Matese, culminante nel Monte Miletto (2.267 metri), prima vetta dell’Appennino Lucano-Calabro. Discorso molto simile andrebbe fatto nello specifico de L’Aquila, che è separata dal resto dell’Abruzzo dal Gran Sasso d’Italia (2.914 m.), dal Massiccio della Maiella (2.795 m.) e da quello del Monte Velino (2.487 m.). Sarebbero forse più economiche ed efficienti una regione montana ed un altra costiera???

Della Calabria c’è poco da dire purtroppo: le Due Sicilie avevano iniziato lo sviluppo industriale ed attratto capitali stranieri, mentre l’Italia di oggi ha del tutto rinunciato all’industrializzazione e i capitali derivanti dalle attività locali sono reinvestiti altrove. Altrettanto per la Sicilia, che si trova anche a godere di un’autonomia politica  dall’Italia, la quale – fino all’inserimento del Fiscal Compact nella Costituzione – doveva provvedere a tutte le spese approvate dall’Assemblea Regionale Siciliana, anche fuori limiti di bilancio. 

Resta la Sardegna che – in comune con la Sicilia – avrebbe molto più da offrire che Ibiza, Corfù o Cipro, avendo ampi territori interni dove sviluppare le produzioni tipiche locali da esportazione: basta pensare a quanto PIL produce Cuba con i sigari e lo zucchero da canna, oltre al turismo. E la Sardegna è già una regione italiana a statuto speciale. 

Dunque, non è una secessione, ma qualcosa di molto diverso: decentramento.

Quel Decentramento che si invoca dagli Anni 70 e mai pervenuto, ‘grazie’ al quale non trascorrerebbero diversi anni dal momento in cui il Parlamento vota una legge fino a quando la spesa corrispondente ritorna per il riscontro consuntivo.

In altre parole, andando a quello che interessa alla Politica, la farragine burocratica e l’incertezza delle risorse causate dal sovrapporsi di decenni di micro-provvedimenti clientelari comporta che gran parte degli effetti di una norma annunciata da un parlamentare si vedranno dopo molti mesi e si rendiconteranno molto probabilmente a legislatura finita, demandando opportunità e/o correttivi ai posteri e lasciando i ‘demeriti’ a chi uscente …

E non è una questione di ‘ricchezza’, la differenza la fa l’innovazione tecnologica e la trasparenza (cioè efficienza) della Pubblica Amministrazione.
Ad averle, tempi, modi e costi diventano certi, ma senza di esse lo spreco di tempo, risorse e risultati è inevitabile, come il malcontento e la decrescita.

Demata