In Norvegia, il tasso di criminalità è di 70 detenuti ogni 100.000 abitanti, a fronte degli oltre 100 dell’Italia e dei circa 500 degli Stati Uniti. Il tasso di recidività è al 20%o, a fronte di un dato più che doppio (>55%) negli Stati Uniti.
Secondo gli esperti, questo è possibile grazie alla bassa densità di popolazione, alla mancanza di sensazionalismo da parte dei mass media, ai rilevanti costi del Welfare, ad un sistema penale e penitenziario che punta sul recupero, piuttosto che sulla sanzione.
Una sorta di Eden? Un modello da implementare dovunque?
Non esattamente.
Innanzitutto, c’è da rilevare che il sistema giudiziario ha sue contraddizioni. Ad esempio la prostituzione è illegale, ma è legale prostituirsi, e , a fronte di tanta umanità per i detenuti comuni, si prevede la castrazione per chi commette reati sessuali, per non parlare della ridicola pena a 21 anni di carcere per uno come Anders Behring Breivik.
Inoltre, secondo l’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA), nel 2000, quando le legislazioni dei due paesi in materia erano comparabili, le persone investigate per reati correlati al traffico di droga erano 57 ogni 100.000 abitanti in Italia a fronte di ben 174 in Norvegia.
La Norvegia, secondo le statistiche, è anche uno dei paesi maggiormente afflitti dal consumo di ecstasy e boom drinks.
Va detto che i tassi di criminalità sono altrettanto bassi in paesi dove il sistema giudiziario è molto diverso dalla Norvegia, come ad esempio in Arabia Saudita e nei paesi dove vive la Sharia.
Sono in errore, dunque, i tanti che attribuiscono la “pace sociale” norvegese alla comprovata eccellenza dei propri tribunali e delle proprie carceri.
Sono, piuttosto, la minore occasione di relazioni umane, data dalla bassissima densità abitativa, e la correttezza dei media a contribuire con certezza nel ridurre il tasso di criminalità, cosa confermata dai dati italiani e statunitensi dove è prassi comune lo “sbattere il mostro in prima pagina”.
Quanto ai rilevanti costi del Welfare, vale la pena di ricordare che Norvegia ed Arabia Saudita sono due nazioni molto ricche, grazie all’estrazione del petrolio, e che, probabilmente, non potrebbero mantenere gli attuali livelli se il PIL dovesse essere prodotto piuttosto che “estratto”.
Vale la pena di annotare anche che l’Italia ha una spesa in servizi pubblici pro capite di gran lunga superiore alla Norvegia, ma con risultati ben inferiori, e, soprattutto, che la Norvegia ha elevati costi di gestione del crimine, sia come spesa giudiziaria e carceraria sia come welfare e prevenzione.
L’Eden scandinavo esiste solo grazie alla bassissima densità abitativa, alla finanza pubblica che attinge a ricche rendite (petrolio, esplosivi, legname), ai media che informano la pubblica opinione senza sensazionalismo.
Ma c’è dell’altro.
“(ANSA) – OSLO, 2007-02-05 19:00 Norvegia: aumentano tentati suicidi.
– Secondo uno studio pubblicato oggi, sono aumentati di un 30% i tentativi di suicidio tra gli adolescenti in Norvegia. La tendenza e’ legata all’aumento del consumo di droghe ed alcool, cosi’ come a una preoccupazione sempre piu’ crescente per l’aspetto fisico.
Lo studio mostra che un 13,6% delle ragazze ha tentato di togliersi la vita nel 2002, mentre nel 1992 era stato un 10,6%. I tentativi di suicidio tra i maschi sono stabili: 6,2% nel 2002 contro il 6,0% nel 1992.”
Un dato impressionate, se pensiamo che una ragazza su sette ha tentato il suicidio, sia riguardo la condizione giovanile e, soprattutto, femminile sia sullo stato di salute della società norvegese.
Per molti anni, allorchè negli USA si verificavano stragi nei college o nei supermercati, la stampa e gli esperti hanno puntato il dito contro il sistema giudiziario e di protezione sociale statunitense.
Addirittura, il noto e simpatico regista Michael Moore ha tentato, nel film Blowing Columbine, di “dimostrare” il nesso tra stragi, industria delle armi e governo “fascista”.
Dopo il 22 luglio norvegese, sappiamo che può accadere di molto peggio nella vecchia Europa, ammantata di welfare e di controlli, se messo a confronto con le stragi degli Stati Uniti, liberisti e bellicosi.
Evidentemente, il nocciolo della questione è che Claude Levi Strauss aveva torto e Desmond Morris aveva ragione: l’istinto predatorio è connaturato nell’Uomo.
Una società sana può solo sperare di mitigarlo.
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