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Lazio, l’arsenico nell’acqua e il mercato dei vini

27 Feb

Almeno 25 case vinicole californiane sono esposte al procedure di class action, per non aver informato i consumatori del tasso eccessivo di arsenico presente nel vino. (fonte CBS News)
A seguire un’indagine dell’autorevole magazine “The Drink Business” ha dimostrato che su 65 tipi di vino diversi ben 64 contenevano livelli di arsenico superiori al limite fissato dall’US Environmental Protection Agency per l’acqua (massimo 10 parti per miliardo es. 0,001 mg di arsenico per 100 litri) arrivando anche a 76 parti per miliardo (es. 0,00076 mg di arsenico per 1 solo litr0 di vino), con una media di 24 parti per miliardo.

Davvero tanto per una persona che dovesse bere anche solo mezza bottiglia di vino “di bassa qualità” al giorno per anni ed anni.

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In Europa per il vino non ci sono specifiche regole, ma la regola generale dal 1 gennaio 2016 è stata ulteriormente ristretta: il Regolamento (UE) 2015/1006 – emesso il 25 giugno 2015 – in base al report del gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare (gruppo CONTAM) dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), ha limitato la dose settimanale tollerabile provvisoria (PTWI — provisional tolerable weekly intake) a 15 μg/kg di peso corporeo ed ha individuato  “una gamma di valori  per il  limite  di confidenza  inferiore  della dose di riferimento (BMDL 01) tra 0,3 e 8 μg/kg di peso corporeo al giorno per il cancro del polmone, della vescica e della pelle nonché per le  lesioni  cutanee.”

Questo significa che un modesto bevitore non riceve danni anche con vini relativamente tossici, ma le cose cambiano di molto se parlassimo di una persona di basso peso corporeo che dovesse bere almeno mezzo litro di vino al giorno …

In Italia, i vini italiani sono sempre stati molto al di sotto della soglia stabilita dalla OIV (International Organisation of Vine and Wine’s che è di 0,2 milligrammi/l) e da quella stabilita dal Canada che è l’unico paese ad avere un limite in proposito (0,1 milligrammi/l), ma l’ 1,8 % dei campioni analizzati (fonte OIV) supererebbe il limite previsto per l’acqua che i consumatori USA rivendicano oggi.

Dunque, il Made in Italy non dovrebbe risentirne, salvo che in una regione: il Lazio, che ha ampi territori afflitti dalla presenza di arsenico nelle acque, era fuori norma riguardo l’arsenico nelle acque potabili (per non parlare dell’irrigazione) almeno dal 2003 e non fu inclusa già cinque anni fa nelle deroghe (max valori di 0,02 milligrammi/litro) concesse dalla Decisione della CE del 28 ottobre 2010 a sei Comuni della Lombardia e due della Toscana).

A seguire il governo Berlusconi con il  Decreto 24 novembre 2010 autorizzava il rinnovo delle deroghe per l’arsenico alle regioni che avevano fatto istanza fino a valori di 20 µ/litro, mentre la Regione Lazio (richieste per il valore di 50 µ/litro) dovette successivamente prendere atto del decadenza del D.P. Regione Lazio n. T902 del 30/12/2010, dove si autoconcedeva la deroga per l’arsenico.

Nell’estate del 2011, la stessa Regione Lazio – in documento curato dai dottori Agostino Messineo M.Letizia Curcio e Angela De Carolis del Dipartimento di Prevenzione del SIAN ASL RM H e e del prof. Mario Dall’Aglio, Cattedra di Geochimica Ambientale de La Sapienza di Roma – (auto)denunciava che:

  1. “i Comuni nel periodo 2003-2005 non hanno effettuato in genere rilievi analitici, nonostante le richieste, e hanno permesso insediamenti produttivi ed abitativi anche in zone prive di acquedotto. All’incirca nello stesso periodo (2003-2005) ARPA non è stata in grado di effettuare né controlli analitici nè una campagna “ad hoc” per indagine su Arsenico”
  2. “occorre  un collegamento tra settori ambiente-sanità quando si tratta di questioni con  riflesso sulla sanità pubblica”.
  3. la Regione sembra essere l’unico Ente di Riferimento che puo’ uniformare in tali situazioni i comportamenti ma le direttive devono essere chiare ed univocamente interpretabili”,dato che “nonostante alcuni tentativi e conferenze di servizio , non è stato possibile sanare le differenze tra i vari comportamenti a livello locale”.

Chiarito che oltre ai “Comuni” nella vicenda rientra anche la ex municipalizzata romana Acea ATO2 S.p.A. che ha preso in carico il Servizio Idrico Integrato dal 2006, aggiungiamo che dal 2011 in poi accadeva poco o nulla, con la Regione Lazio travolta dagli scandali e poi dalle dimissioni anticipate della giunta guidata da Renata Polverini. Dal 26 febbraio 2013 è stato Nicola Zingaretti a governare la regione e – soprattutto – ad esserne commissario per la Sanità.

Quanto e cosa sia stato fatto è sotto gli occhi tutti: i dati resi pubblici on line da ARPA Lazio si fermano al 2014 e sono a dir poco generici …

Aresenico Acqua ARPA Lazio 2014

Ed è solo grazie ad un solerte ufficio comunale che veniamo a sapere che ad Anguillara Sabazia il 18 luglio 2013 – ben 12 anni dopo il D.l.vo 31/2001 che fissava i parametri – la ASL trovava ben 0,032 milligrammi per litro di arsenico nell’acqua fornita dall’acquedotto ex Arsial.

Così arriviamo ad oggi, con utenti ed imprenditori di diversi comuni laziali che non hanno una fornitura idrica degna di un paese avanzato – pur pagandola come acqua potabile – e con i consumatori USA che – dopo i vini californiani – inizieranno ad occuparsi di quelli d’importazione, tra cui quel 1,8% di vino italiano che potrebbe trovarsi al di sopra dei futuri limiti statunitensi …

Ah già, forse non tutti sanno che il Lazio ha investito molto nella produzione vinicola proprio nei territori interessati dall’eccesso di arsenico nelle acque potabili …
Speriamo che, se non la salute pubblica, almeno l’interesse finanziario e l’immagine italiana all’estero smuovano la ‘grande bellezza’ che governa Roma, che ha da risanare urgentemacque e – soprattutto – lo smaltimento rifiuti, se non vuole che si finisca come nella Terra dei Fuochi.

Demata

Europa 2020: nel Lazio c’è tanto da fare

20 Feb

1959842_10152168796154034_2121530092_nArriva Europa 2020 (PSR del Lazio 2014 – 2020), la strategia per la crescita economica e sociale dei Paesi dell’UE lanciata dalla Commissione europea nel 2010, che individua 3 priorità – crescita intelligente, sostenibile e inclusiva – mira a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e competitività.

La Regione Lazio, nel corso del 2013, aveva avviato le attività finalizzate alla predisposizione degli strumenti operativi, in particolare l’analisi di contesto socio-economico dell’agricoltura regionale e la procedura di Valutazione Ambientale Strategica del PSR 2014-2020.
E, proprio in questi giorni, ha aperto un sito apposito (link) dove si legge “fino al 28 febbraio, grazie ad una pagina web dedicata, raccoglieremo le osservazioni di chi vuole contribuire. Quando aumenta la partecipazione e la condivisione, si prendono decisioni migliori“.

Beh, la pagina web dedicata è questa (link) e di spazio per la ‘consultazione on line’ proprio non ce n’è … ma si precisa che “la consultazione online è aperta sia ai componenti del Tavolo di Partenariato che a tutto il pubblico interessato“. A scartabellare un po’, si scopre un file excel destinato a soggetti che abbiano un “ruolo svolto in relazione allo sviluppo rurale” con tanto di Ente di appartenenza o qualifica professionale.

Peccato che l’agroalimentare sia quello che mangiamo e quello che spendiamo. Forse, tra ‘tutto il pubblico interessato’ ci sono anche i cittadini. O no?

Un disguido, una frase fraintendibile, ma, parlando di ‘crescita intelligente, sostenibile e inclusiva’ dell’agricoltura nel Lazio, c’è ne sarebbe da discutere anche come cittadini /consumatori e non solo come operatori.

Come, ad esempio, per gli unici olii d’oliva DOP del Lazio, il Sabina e il Canino, noti per il loro pregio e coltivati su un’area equivalente almeno alla provincia di Siena. Prodotti eccellenti che trovano poca traccia come commercializzazione su internet, di sicuro non sono venduti nei supermercati laziali e, con tanti ulivi in bella vista, non sembrano contribuire particolarmente alla leva fiscale regionale …

Sempre in termini di ‘anomalie’ sarebbe da ricordare almeno quella dei tanti (troppi?) vini DOC del Lazio, quasi uno per campanile e di blasone diverso, come raccontano i nomi: Aleatico di Gradoli, Aprilia, Atina , Bianco Capena superiore, Castelli Romani , Cerveteri , Cesanese di Affile DOC , Cesanese di Olevano Romano DOC , Circeo , Colli Albani , Colli della Sabina , Colli Etruschi Viterbesi, Colli Lanuvini superiore, Cori , Est! Est!! Est!!! di Montefiascone, Frascati, Genazzano, Marino, Merlot di Aprilia, Montecompatri Colonna , Nettuno, Orvieto , Roma, Sangiovese di Aprilia, Tarquinia , Moscato di Terracina, Trebbiano di Aprilia, Velletri , Vignanello , Zagarolo superiore‏  

Quale possa essere la loro ascesa ed affermazione sui mercati è presto detto, se c’è da competere con intere province, come il Chianti o il Montalcino, od aree regionali, come per i vini californiani e spagnoli.
Intanto, i contributi (soldi pubblici) per questa bella lista di vini li spendiamo …

Il tutto senza tenere conto che esistono anche i costi sanitari non irrilevanti per le patologie da consumo alcolico, mentre il Ministero per le Politiche Agricole e l’Assessorato regionale del Lazio per  Agricoltura e Sviluppo Rurale, Caccia e Pesca – sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica – non mancano di patrocinare eventi come “La cultura del vino in Italia” nel Complesso del Vittoriano, in un paese che evita di scrutare il fenomeno alcolismo, ma che nel 1965 vedeva oltre 120 litri di vino come consumo pro capite annuale tra i maschi (bambini inclusi) e che nel 1994 presentava percentuali allarmanti tra le donne di alcune regioni ed oggi conta nel Lazio il 22,1% di bevitori maschi ‘a rischio’  (Rapporto Istisan 2012).

E c’è la questione dei costi dei prodotti sui banchi dei supermercati, con una “filiera del commercio che finisce per avere sempre la stessa conseguenza: a rimetterci è il consumatore che va a comprare. «C’è un ricarico del 200% in media, ma con punte anche del 300%», affermano alla Coldiretti sulla base di un loro studio“, mentre ” il Mercato Ortofrutticolo di Fondi è molto più di un mercato. E’ una città, 335 ettari, 120 aziende, 2 mila produttori locali, 800 milioni di fatturato l’anno. E’ il più grande mercato italiano, il secondo in Europa dopo quello di Parigi.” (Flavia Amabile – La Stampa).

Ce ne sarebbero di cosa da ‘consultare’, visto che lo scopo di un governo regionale dovrebbe essere quello di garantire, innazitutto, che la merce che arriva ai cittadini sia di buona qualità ed a prezzi decenti.

Anche in questo caso, come per il frammentato e opaco mercato dell’olio e del vino laziali, Roma e il Lazio dovrebbero badare alla “competitività” che – guarda caso –  è tra le priorità  di Europa 2020.

Frammentato anche in Regione Lazio, dove la ‘Programmazione Comunitaria’ è affidata ad un ufficio (Dirigente Roberto Aleandri), le ‘Politiche di mercato e l’organizzazione delle filiere con progettazione integrata’ ad un altro ufficio (Dirigente Stefano Sbaffi), la ‘Promozione, comunicazione e servizi per lo sviluppo agricolo’ ad un altro ancora (Dirigente Cristiana Storti) …

Non è in discussione la professionalità dell’Assessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca Sonia Ricci, che è stata amministratrice e direttore generale di alcune aziende agricole fino alla nomina di Zingaretti, oltre a essere impegnata politicamente sin da giovanissima.

Ma la sfida di Europa 2020 passa una volta sola e troppi interessi localistici e micragnosi hanno pesantemente influenzato – finora – la nascita di un’immagine e la conseguente affermazione di un ‘prodotto laziale’, come viceversa avviene per tutte le regioni limitrofe. Persino nel piccolo Molise.

Cerchiamo, dunque, di scoprire su quali scaffali e quali tavole finisce l’olio sabino, dopo essere stato venduto (si spera). Proviamo a sviluppare due vini due che abbiano abbastanza ‘forza produttiva’ per sviluppare campagne di marketing massive.
Miglioriamo la filiera e facciamo in modo che i prezzi dell’ortofrutta a Roma siano più bassi per i consumatori e i ricavi più alti per i produttori … forse spenderemmo meno in Welfare e aiuti all’agricoltura, mentre la gente sarebbe più ottimista.

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Roma, ancora violenza

5 Gen

Ancora morti per strada a Roma: padre e figlia di nove mesi uccisi durante un tentativo di rapina fallito.

Intorno alle 21. Zhou Zheng, un cinese, gestore di un bar con money transfer, ritornava a casa con la famiglia e con il, forse, magro incasso della giornata. Un tentativo di reazione, tre colpi andati a segno, due morti ed un ferito.

Altri due omicidi che vanno a sommarsi ai 33 avvenuti nel 2011 e che confermano che a Roma qualcosa è cambiato.

Di chi le responsabilità?

Inequivocabile il commento di Walter Veltroni, su Twitter, secondo il quale le responsabilità sarebbero della Giunta Alemanno, come se il degrado delle periferie e l’impunità diffusa fossero un problema di questi ultimi tre anni.
“Hanno tolto l’anima alla città, il senso di comunità e di solidarietà, e la violenza la fa da padrone.”
Più realisticamente, Alessandro Onorato, capogruppo Udc in Campidoglio, si rivolge al Governo Monti, chiedendo mezzi, uomini e risorse: “la Capitale non può rimanere da sola ad affrontare questa impressionante scia di sangue. Roma ha bisogno di più uomini, più mezzi e più fondi per combattere questa deriva violenta che pervade ormai quotidianamente le nostre strade e i nostri quartieri”.

Come non considerare, innanzitutto, che “questa Roma” è il frutto di ben 17 anni di politiche di sinistra, che poco hanno inciso sulla formazione e sulle tecnologie, se parliamo di lavoro, e che tanto hanno speso in sussidi ed interventi “sociali” nelle periferie, senza pretendere in cambio operosità e legalità.

Giunte che non hanno realizzato un piano di mobilità funzionale, pur incrementando vertiginosamente il numero di abitazioni e residenti, rendendo la città, strozzata dal traffico e frammentata in mille rioni, impattugliabile.
Entità politiche che pensavano, ricordiamolo, di contrastare il disagio giovanile, tollerando le occupazioni abusive e le “zone grigie”, in vece di finanziare centri giovanili e sportivi oppure, meglio ancora, investendo i finanziamenti per il diritto allo studio in qualcosa che non fosse esclusivamente l’intercultura.

Roma violenta?

E perchè non dovrebbe esserlo, specie in tempo di crisi, se in certi quartieri, malgrado l’obbligo scolastico, il 15% dei maschi non ha conseguito la terza media e solo un altrettanto 15% è arrivato alla maturità? Oppure se circa 800.000 dei suoi cittadini sono talmente indigenti e deprofessionalizzati da aver bisogno di una casa popolare da, ormai, due o tre generazioni.

A proposito, andrà meglio, secondo voi, con il decreto “svuota carceri”?

Leggi anche Roma, città violenta?

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Roma, città violenta?

4 Set

Che a Roma le cose non andassero come di dovere, era dai tempi di Walter Veltroni, “sindaco di tutti”. Non che fosse tutta responsabilità sua, ma è quello il periodo in cui Roma è cambiata.

Del resto, come non poteva esserlo se durante i sette anni di Veltronismo si espandeva enormemente la città, senza dotarla dei trasporti ed infrastrutture, senza che vi fosse una realtà produttiva atta  da dar da vivere ai nuovi arrivati e  senza che questi fossero accompagnati nell’integrazione .

Un sistema, che è parimenti proseguito con la Giunta Alemanno, solo rallentato dalla crisi economica, … tanto le delibere del piano urbanistico (e della nuova cementificazione) le avevano lasciate belle e pronte Morassut e gli assessori di Uòlter.

Ma cosa è accaduto a Roma, alla città di Roma, da giustificare l’allarme che, ormai tutti, lanciano da anni?

Innanzitutto, in 15 anni siamo aumentati del 30%, tra residenti, domiciliati, pendolari, regolari ed irregolari. Ovviamente, come in tutte le grandi città, una parte di noi non è registrata e spesso si sposta annualmente da una casa all’altra, inclusa la cintura dei comuni esterni, alla ricerca di un affitto migliore o seguendo il lavoro che cambia.

Inoltre, la politica locale, fortemente clientelare, non si rivolge ai “nuovi romani”, non li conosce neanche e non ne conosce le istanze ed i bisogni: li ammassa a ridosso del raccordo e finisce lì.

Così accade che si vedano poche auto con lampeggiante in giro e che le stazioni di pubblica sicurezza chiudano al calar della notte,  in una città che ha quartieri da pattugliare come a New York, Parigi o Londra. Oppure, si scopre da qualche trafiletto del Messaggero che c’era una linea notturna in balia dei teppisti e che alcuni bus delle corse notturne hanno l’abitacolo del conduttore blindato.

In aumento anche gli omicidi, che sono 28 dall’inizio del’anno, come fa notare il sindaco Gianni Alemanno, tra cui sono sette gli “omicidi irrisolti che hanno il sapore di un regolamento di conti. Sono omicidi di cui non si è trovata la causa. E’ un arrivo della criminalità organizzata su Roma?”

Secondo il sindacato di polizia Silp Cgil Roma, “Ventotto omicidi in otto mesi sono un record per la nostra città   e se il trend è questo, entro la fine dell’anno, Roma si attesterà tra le città più pericolose, con un numero di omicidi che potrebbe arrivare attorno ai 40”.

D’altra parte, a cosa servono le telecamere, in una città affollata da turisti e pellegrini, se non attivano un pronto intervento, come si è, purtroppo, verificato per la fontana di Piazza Navona? E dove sono mai, telecamere o pattuglie, nelle smisurate periferie di larghi viali e palazzine basse o villette, dove l’anomimato è pressochè assoluto?

Non credo che si possa riportare sicurezza a Roma in breve tempo, anche se è evidente che una Capitale non possa sopravvivere ad una situazione così, speriamo solo che la smettano di costruire altre case e di far arrivare altra gente …

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