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La spallata di Monti

9 Gen

«E’ necessaria una spallata dei cittadini non con la rabbia, la protesta, ma scegliendo chi non avendo legami con le organizzazioni che bloccano il Paese sia disposto a mobilitarsi». (Mario Monti, 8-1-2013)

Ma quali sono le organizzazioni che bloccano il Paese?

Non è facile dirlo, specialmente se si tratta di un paese, come l’Italia o come l’Iran, che si trova a condividere poteri laici e poteri religiosi.

Infatti, al di là di inutili retoriche o sacrosante indignazioni, è innegabile che sia in Iran sia in Italia, la condizione della donna ed il suo accesso al lavoro ed ale carriere siano particolarmente insoddisfacenti e che questo sia, sotto ogni latitudine, un indicatore fondamentale di crescita e progresso.
Ma non solo la condizione femminile è certamente condizionata dalla duplice presenza di poteri in Italia, di cui uno forte, la monarchia assoluta religiosa, ed un altro debole, la repubblica parlamentare. Lo sono anche la diffusione delle conoscenze tecniche, socioeconomiche e scientifiche, come comprovano i dati sulle lauree, e la strutturazione del Welfare e della Sanità, che devono tener conto dell’estesa struttura religiosa e para-religiosa presente nel Paese.

Se la duplice attribuzione di poteri, di interventi/spese e, soprattutto, di opinion making e di fund rising è certamente un fattore limitativo per il nostro Paese, dobbiamo mettere in conto che ne esiste un altro, simile e, seppur nato per offrire un’opzione laica in questo ‘sistema duplato’, oggi complementare a quello religioso.

Parliamo delle scuole pubbliche che, nel corso di una sola generazione, hanno prodotto l’ignoranza e la maleducazione che constatiamo tra troppi giovani diplomati e laureati. Dei sindacati che non hanno mai fatto proposte a nome dei lavoratori ed hanno sempre atteso quelle della controparte, per poi avviare un gioco di veti e delle tre carte, indispensabile per affermare il proprio potere e poco più.
Delle onlus che gestiscono servizi pubblici esternalizzati precarizzando a vita il proprio personale, del tutto incapaci di operare in network o di sviluppare un fund rising che non sia finanziamento pubblico. Delle aziende – cooperative od ex municipalizzate – che rendono floride le regioni ‘rosse’, sfruttando la fame ed il malaffare esistente al Sud, se non addirittura alimentandolo, come di certo accade per i settori manifatturieri e dei rifiuti speciali. I partiti, di cui non si conoscono i meccanismi di selezione del personale politico e dei candidati, fin dalla nascita della Repubblica.

Organizzazioni che, secondo alcuni, bloccerebbero il Paese, dato che è nei loro interessi che nulla cambi, ovvero che non si rinegozi un Concordato, non si delocalizzi la contrattazione dando potere alla base dei lavoratori, non si educhino i giovani alla meritocrazia ed all’essere esemplari, non si pretenda che i servizi esternalizzati vengano assunti da aziende solide e ben monitorate, non si bonifichi il sistema agroalimentare e distributivo, non si ripristini la legalità in quasi metà del Paese che lavora a nero.

Secondo altri, però, ben altre sono le organizzazioni che ‘bloccano il Paese’, come le banche (ormai ridotte alla quasi sola IntesaSan Paolo di sabauda origine) ed i diversi poteri finanziari (i cui discendenti sembrano sempre più interessati ad investimenti più sicuri del sistema Italia).

Per questioni strutturali, dobbiamo annoverare anche altre ‘organizzazioni’ che hanno le potenzialità e le caratteristiche strutturali per bloccare il Paese, le baronie universitarie ed il sistema giudiziario. Una ipotesi che trova anch’essa le sue conferme, visto che abbiamo un sistema sanitario che neanche recepisce le indicazioni dell’Organizzazione della Sanità Mondiale in fatto di disabilità ed un sistema giudiziario che ha impiegato oltre 20 anni per concludere il Lodo Mondadori, anzichè un paio come altrove, consentendo l’ascesa di Silvio Berlusconi, che altrimenti difficilmente si sarebbe realizzata con tale apicalità.

Ovviamente, non sono stati i sindacati, i partiti, i professori, i banchieri, i finanzieri, i magistrati, i baroni medici, le coop,  a rovinare l’Italia.
Non sono loro a ‘bloccare il Paese’ e non è contro di loro che Mario Monti ci chiede di mobilitarci per dare una spallata.

Ed allora contro chi altri mai?

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SuperMario ed i nomi degli irresponsabili

9 Gen

Secondo Mario Monti, «alcuni irresponsabili avevano portato il Paese a una situazione grave».
Vero, verissimo, ne siamo convinti tutti, anche se non ne conosciamo i nomi, non almeno con la certezza che può avere un economista di tale portata che di ‘professione’ fa il premier e che ha accesso a tutti i documenti della Repubblica, inclusi quelli secretati.

E’ giusto, opportuno, indispensabile che Mario Monti faccia i nomi e che li faccia subito.

I motivi sono diversi e tutti particolarmente importanti.

Innanzitutto, il nostro diritto ad essere informati, specialmente se parliamo dei nostri soldi, delle elezioni che si avvicinano, ma anche del dovere a presentare denuncia che spetterebbe ad ogni pubblico funzionario – non solo in Italia, ma dovunque – al sol dubbio di ‘irresponsabile gestione della cosa pubblica’, specialmente se ciò comporta rischio per l’erario.

Inoltre, l’esigenza sistemica di conoscere le vere cause della crisi attuale, se dovuta a problemi strutturali oppure alle speculazioni della Germania ‘pro domo sua’ o anche qualche grava furbata od ingenuità di qualcuno dei tanti VIP nostrani del tutto indegni od incapaci di ricoprire la funzioni che hanno o stanno ricoprendo.

Infine, il buon nome di Mario Monti, dato che chi lancia accuse senza provarle, de facto si ritrova a millantare. E, cosa non da poco sotto elezioni, il buon nome dell’ex ministro dell’economie e delle finanze, Giulio Tremonti, oggi candidato con una propria lista, che quanto meno avrebbe dovuto vigilare e/o contrastare questi «alcuni irresponsabili». Ma anche il buon nome del compianto Padoa Schioppa, di Romano Prodi e del Partito Democratico che li sostenne, se, ricordiamolo, annunciarono l’esistenza di un ‘tesoretto’, che forse non c’era, o le stabilizzazioni delle pensioni Amato-Maroni, che secondo Fornero furono, invece, perigliosamente carenti.

Ha ragione l’egregio professor Monti: ci sono  (stati) nelle istituzioni “alcuni irresponsabili”. Ce ne siamo, a nostre spese, accorti tutti.
Visto che lo riconosce pubblicamente, però, sarebbe suo preciso dovere rendere pubblici i nomi ed i fatti: la seconda carica dello Stato – come lo è un presidente del Consiglio dei Ministri – se lancia accuse, deve qualificarle e contestualizzarle.

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Monti premier ed i soliti noti

20 Dic

Mario Monti (ex Goldman Sachs), Corrado Passera (ex Unicredit), Emma Marcegaglia (ex Confindustria), Luca Cordero di Montezemolo (ex FIAT), Andrea Olivero (ex Acli),  Luigi Marino (Concooperative), Giorgio Guerrini (Confartigianato. Questi i probabili ‘eletti’ che dovranno guidare l’Italia a partire dalla prossima primavera, accompagnati da Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Raffaele Bonanni, Italo Bocchino, Fabio Granata, Carmelo Briguglio, Benedetto Della Vedova, Flavia Perina, Beppe Pisanu, Franco Frattini, Alfredo Mantovano e Mario Mauro.

Potranno scegliere se confluire in una Grosse Koalition, rafforzando la stabilità del governo Monti, gli ‘eletti’ Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema, Matteo Renzi, Walter Veltroni, Anna Finocchiaro, Rosi Bindi, Franco Marini eccetera.

All’opposizione vedremo, probabilmente, ‘eletti’ e non ‘eletti’ come Nichi Vendola, Fabio Mussi, Antonio Di Pietro, Luigi De Magistris, Roberto Maroni, Francesco Storace, Beppe Grillo, forse anche Giuliano Pisapia e Massimo Cacciari.

Se così fosse, se fosse tutto già scritto come appare, resta solo da chiedersi in cosa sia sovrano il popolo, se neanche può scegliere chi candidare.

Ma è perchè mai la chiamino ancora democrazia che resta un vero mistero, se accade che un tecnico ‘bipartizan’, prima ottenga la nomina a senatore a vita ed un incarico tecnico, poi si trovi a dirigere un governo di programma e poi, ancora, fonda una propria lista elettorale dopo aver mandato il paese alle elezioni anticipate, dimissionandosi, per contrapporsi al partito che maggiormente l’aveva sostenuto.

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2013, l’anno delle elezioni

4 Set

Mentre dalle fila del Partito Democratico arrivavano apprezzamenti per la possibile scesa in campo del cinquantenne Alessandro Profumo (ex Credito Italiano ed ex Unicredit), Angelino Alfano ribadisce la candidatura di Silvio Berlusconi, sull’opposto fronte del Popolo delle Libertà, nelle elezioni politiche del 2013.

Due eventi apparentemente analoghi, ma in realtà diversisssimi.

Da un lato l’ennesimo segno palese di cottura del Partito Democratico, che non ha un leader “tecnico” da proporre, ma solo politici “puri”. Dall’altro, il PdL che, dopo il “paese di m… , me ne vado”, deve rassicurare istituzioni, lobbisti ed elettori.

Quanto al 2013, non oso immaginare l’effetto, sul nostro paese, di una campagna elettorale “infinita”, visto che ci sarà da votare per le Elezioni Politiche e le Europee, una bella fetta di Amministrative e, per non farsi mancar nulla, anche l’elezione del Presidente della Repubblica.

Il tutto mentre siamo nell’anno clou, il 2013, per quello che riguarda gli impegni presi verso l’Europa, con il rischio che il nuovo Parlamento si ritrovi ad aprire il 2014 annunciando di aver trovato buchi e danni maggiori di quelli che già attualmente facciamo difficoltà a riconoscere?

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Baby pensioni? Meglio se privilegiate

27 Apr

Antonio Di Pietro, sessantenne ex magistrato fondatore dell’IdV, è in pensione dall’età di 44 anni e percepisce 2.644 euro lordi al mese. (Mario Giordano – “Sanguisughe”, Ed. Mondadori)

Manuela Marrone, cinquattottenne moglie di Umberto Bossi fondatore della Lega, è un’insegnante in pensione dall’età di 39 anni con 766 euro lordi al mese. (fonte Corsera)

Rainer Stefano Masera, ex ministro del Bilancio nel governo Dini, è un docente universitario in pensione dall’età di 44 anni con  18.413 eu­ro lordi al mese. (fonte Corsera)

Fabio Granata, esponente cinquantunenne di Futuro e Libertà, e Leonluca Orlando, cofondatore dell’Idv, percepiscono da diversi anni 8.000 euro al mese di pensione come ex consiglieri regionali. (fonte Il Giornale)

Piero Marrazzo, cinquantaduenne attualmente giornalista RAI, è un ex consigliere regionale che ha presentato alla Regione Lazio apposita domanda di pensione per 2.000 euro al mese.  (fonte Il Giornale)

Sandro Frisullo, plurindagato cinquantacinquenne ed vicepresidente della Regione Puglia, è andato in pensione con 10.071 euro lordi al mese come ex consigliere regionale. (fonte Il Giornale)

Pier Carmelo Russo, quarantasettenne plurindagato ed assessore della Giunta regionale siciliana, è un ex funzionario della Regione Sicilia in pensione dall’età di 44 anni con 10.980 euro lordi al mese. (fonte Il Giornale)

Non è esattamente un problema di Baby pensioni, ma di pensionamenti “privilegiati” o “d’annata”.

Era la prima cosa da azzerare, nel 1994 quando si intervenne sulle pensioni, ma, lo raccontano i fatti, è rimasta lì come se nulla fosse: molte migliaia di “onesti” italiani hanno beneficiato, vent’anni fa, delle stesse “condizioni favorevoli” pur non essendo anziani od invalidi. Tra loro sindacalisti, magistrati, funzionari, docenti universitari: la casta.

D’altra parte, poteva mai la riforma delle pensioni essere equa, se coloro che la concordarono erano tutti in età pensionabile?
Fu un caso che Giuliano Amato, esponente di rilievo del PD che volle l’innalzamento dell’età pensionabile, sia andato subito dopo in pensione, a 60 anni, con 22.048 euro lordi al mese (fonte Il Giornale) … giusto il tempo di varare la riforma ed andar via con tutte le salvaguardie?

(cliccando qui trovi i numeri ed i grafici delle Baby pensioni)

Baby pensioni? In buona parte al Nord

27 Apr

Il Corriere della Sera del 26 aprile scorso pubblicava (link) un compendioso articolo di Enrico Marro sulla disastrosa situazione delle “Baby pensioni”, ancor più accentuata dal vergognoso fenomeno delle pensioni privilegiate o d’annata, di cui si parla in un altro post di questo blog.

Per capirci qualcosa di più, ho messo in tabella  i numeri pubblicati dal Corsera che connotano l’iniquità della situazione venuta a crearsi.

Infatti, a sorprendere non è tanto l’esistenza (residuale) di baby pensionati, che per altro diverse categorie di lavoratori “producono” in ogni paese, vedi docenti, militari, poliziotti eccetera.

Piuttosto, a sorprendere è l’evidente situazione di privilegio accumulatasi nel Settentrione, che dimostra come tante contrattazioni sindacali e tante leggine fossero funzionali sono ad una parte dei lavoratori e solo in determinati territori.

Chi l’avrebbe mai detto che in Friuli Venezia Giulia, come in Liguria ed in Trentino, un abitante su settanta è un baby pensionato da un ventennio ormai, mentre in Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Lombardia ve ne è uno ogni 90-100?

E come farsi una ragione dei 5 miliardi e mezzo di Euro che da quasi due decenni prendono la via del Settentrione e dei suoi “fortunati”, mentre al Sud si sopravvive ancora con la pensione della nonna?