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Mascherine e alunni: chi paga?

28 Dic

Perchè lo Stato paga le mascherine ai docenti e non agli alunni, come lamentano tanti diretti interessati sui Social e sui siti specializzati?

Semplice: la salute dei docenti è di competenza dello Stato, che è tenuto a provvedere in quanto datore di lavoro.

Invece, la salute degli alunni è di competenza delle Regioni, esclusiva secondo la Costituzione (Art. 117), “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.” Solo nel caso degli alunni del Triennio tecnico la Scuola – cioè lo Stato – dovrebbero provvedere al fabbisogno di mascherine, essendo equiparati di norma a ‘lavoratori’, con tanto di copertura Inail.

Ma le Regioni ci raccontano sempre che i soldi sono pochi, come se noi non ricordassimo che è dall’anno 2001, che le regioni a statuto ordinario godono della compartecipazione al gettito erariale dell’IVA, attingendo ‘direttamente’ dalle risorse nazionali per i pregressi (e delimitati) trasferimenti del servizio sanitario regionale e del diritto allo studio.

In realtà, alcune regioni investirono meritevolmente, altre spesero in modo disastroso, come mostra questo grafico pubblicato dal Corriere della Sera nel 2010.

E oggi non basta l’IVA più l’Irperf e tanto altro ancora.

Le regioni che dieci anni fa arrivarono ad un debito esorbitante, lo hanno solo consolidato in mutui/debiti bancari, ma non risanato.
In altre parole, le onerose rate – che dureranno un decennio o due – erodono (e azzerano in alcuni casi) la disponibilità di spesa corrente di Enti che non esistono solo per pagare stipendi e forniture, ma innanzitutto per erogare prestazioni di qualità almeno sufficiente.

A partire dalle mascherine, che … paga Pantalone: le manda l’Esercito.

Demata

Covid-19: docenti sotto controllo e poi?

8 Lug

Mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità inizia, finalmente, ad ammettere che il Covid-19 può trasmettersi per via aerea, il Governo Conte annuncia “controlli a tappeto su docenti e bidelli, a campione sugli studenti. In 15 giorni servono 2 milioni di test”.

E dire che a differenza dell’OMS, l’Istituto Superiore di Sanità italiana aveva fatto centro già mesi fa (Rapporto Covid 5/2020), indicando “alcune azioni e raccomandazioni generali da mettere in atto giornalmente nelle condizioni di emergenza associate all’epidemia virale SARS-CoV-2 per il mantenimento di una buona qualità dell’aria indoor negli ambienti di lavoro”:

  1. “Garantire un buon ricambio dell’aria in tutti gli ambienti dove sono presenti postazioni di lavoro e personale
  2. L’ingresso dell’aria esterna outdoor all’interno degli ambienti di lavoro opera una sostituzione/diluizione e, contemporaneamente, una riduzione delle concentrazioni degli inquinanti specifici (es. COV, PM10, ecc.), della CO2, degli odori, dell’umidità e del bioaerosol che può trasportare batteri, virus, allergeni, funghi filamentosi (muffe)
  3. Il ricambio dell’aria deve tener conto del numero di lavoratori presenti, del tipo di attività svolta e della durata della permanenza negli ambienti di lavoro.” (ndr. ci sono Norme UNI apposite)

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Classi pollaio – Foto ANSA

Ed anche il Rapporto “Scuole Aperte” del Politecnico di Torino andava nella stessa direzione, consigliando di raddoppiare la cubatura di spazio (e aria) disponibile per alunno (circa 10-12 alunni per aula).
Infatti, il tipo di attività svolta nelle aule scolastiche è ‘sensibile’, dato che si fonda sulla parola, cioè sull’emissione di aerosol.

Viceversa, cosa comporta la decisione di ‘controllare’ il personale scolastico ed a campione gli alunni, secondo un ‘metodo italiano’, visto che in Germania e altrove le scuole d’infanzia sono attualmente aperte senza questi parametri?

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Classi pollaio – Foto Professioneinsegnante

Ad esempio, con il diverso ‘metodo italiano’ nelle scuole:

  1. andranno prima censiti dal datore ed esentati dall’Inail i lavoratori ‘fragili’?
  2. sarà garantita l’areazione adeguata delle aule in base al numero dei presenti e delle attività svolte?
  3. i controlli verranno ripetuti ogni settimana, per avere relativa certezza?
  4. quale sarà l’esigenza di supplenti a loro volta testati, per sostituire il personale positivo?
  5. in caso di ‘presunti’ infetti le classi verranno messe in quarantena domiciliare?
  6. per ogni tampone positivo ‘in classe’, la ASL avvierà automaticamente la filiera dei controlli sui gruppi familiari del personale e degli alunni?
  7. tra docenti sostituiti con docenti e classi in auto-isolamento, senza un progetto DaD organico e funzionale, come saranno garantite la continuità della didattica e l’uniformità della valutazione?
  8. se la metà degli edifici già oggi non ha l’agibilità sanitaria ‘ordinaria’, la previsione ‘realistica’ è quella delle “scuole da campo”, come in Francia?
  9. la scelta delle “scuole da campo” è migliore e/o più economica di quella di installare aspiratori di aria (tipo quelli dei vivai) e restare tutti nelle aule attuali?

Demata

Scuola italiana: riflessioni per migliorare

30 Ott

static1.squarespace.comPerchè l’Italia è ben declinante nella mappa Ocse sull’istruzione e formazione, cioè quanto è in salute la Scuola italiana? E’ possibile riportarla agli antichi splendori? E come?

1- IL PROBLEMA

Iniziamo a dirci quello che borbottano tutti: l’ignoranza che imperversa in Italia l’hanno prodotta – a partire da molti anni fa – i dirigenti, i docenti, le associazioni di categoria e i media che hanno permesso che di compiti a casa gli alunni ne facessero pochi o nulli oppure che hanno sorvolato sulla ammissione alla classe successiva – per l’impegno – di alunni privi dei prerequisiti risalenti non a uno, ma a tre anni (scolastici) prima, come se l’invecchiare di un anno di conferisse automaticamente le competenze minime per capirci qualcosa in matematica o storia o inglese, per non parlare delle materie di indirizzo.

Un fenomeno che ci ha costretto progressivamente a ridurre in pillole i saperi e ad accontentarci di obiettivi sempre più minimi, per cui … ‘addio eccellenze’. E, dopo più di venti anni, il problema delle effettive competenze diffuse tra la popolazione diventa strutturale. Specie se i migliori tra noi devono scappare all’estero per non ritornare.

tmp6354630000351641612- IL CONTESTO

Poi, c’è l’Era Digitale, che ha stravolto molti dei luoghi comuni dell’Ottocento e del Novecento per le discipline sia scientifiche/tecniche sia storiche/sociali.

All’estero, se la cavano perchè i docenti raramente vanno in pensione dopo i 50/55 anni e perchè gli istituti tecnico-professionali fanno capo, in un modo o nell’altro, ai ministeri e alle confederazioni del settore.
Da noi rischiamo di giocarci la capacità manifatturiera ed industriale o la qualità culturale complessiva del Paese, se continuiamo a mandare in classe docenti, laureatisi prima del balzo in avanti della genetica, dell’elettronica e della logica e … che vorrebbero pur pensionarsi. Senza parlare di chi (staff, dirigenza, uffici o altro ancora) si ritrova a doversi continuamente adattare a sistemi telematici che cambiano e aumentano oppure deve gestire la non semplice introduzione di elementi di common law e di autonomia in una nazione storicamente centralista e statalista.

Abstract-Tree-with-Flower-Patterns3- IL BLOCCO

La docenza e la dirigenza sono comparti che hanno esigenze simili all’industria e alla finanza: periodicamente è necessario un turn over, stante la velocità con cui sviluppiamo tecniche, cresciamo di numero, modifichiamo l’ambiente. Nel mondo, fatta eccezione per India e ‘Terzo’ Mondo, solo il 10-15% dei docenti ha più di 55 anni, dato che l’età media di accesso alla professione è ben sotto i 25 anni e – anche grazie alla varietà di istituzioni e privati esistente – non sono pochi che optano per part time e stare a casa o svolgere anche una professione oppure fare arte, volontariato o ricerca.

4- LA CAUSA

Il problema, dunque, è semplice: altrove un ottimo laureato di 23 anni trova facilmente un lavoro ben pagato ed anche gli stipendi iniziali dei docenti crescono, a 52 anni si ritrovano con 35 anni di contributi ‘decenti’ (ed i figli a loro volta già lavoratori), così o lasciano qualcosa sul tavolo e vanno via per dedicarsi ad altro oppure, avendo stipendi ‘decenti’ (ma anche una struttura oraria dei contratti diversa), entrano in part time e spesso svolgono funzioni di supporto con poca didattica in classe.
Allo stesso modo, i sistemi di reclutamento (cioè i contratti) facilitano l’accesso alla docenza di laureati ex studenti lavoratori o tecnici senior che vogliono lasciare l’industria.

23552126-albero-in-fiore--illustrazione-vettoreSe ripensate ai tanti film ambientati in scuole o college all’estero, sono figure che vi torneranno familiari.
Non dobbiamo tornare ai pensionamenti con 15 anni sei mesi ed un giorno, ma bisogna trovare il modo che i docenti entrino nel circuito scolastico subito dopo la laurea, se ne hanno le capacità, e che possano optare per part time o pensione ridotta a partire dai 50 anni.
Tra l’altro … è una semplice questione di matematica: se oggi le generazioni (padre-figlio, madre-figlia) si alternano ogni 30 anni, è evidente che questo è anche – grosso modo – il ciclo di turn over di un sistema che serve per trasferire conoscenze e competenze da una generazione all’altra.

5- L’OTTICA I cittadini, le persone, conoscono della scuola solo il contesto dell’aula e della classe, avendola frequentata da alunni, e tendono a limitare il tutto a quanto accade in questo ‘cubo con 20 alunni ed un docente’.

Noi sappiamo che una classe è come l’elettrone di un grande atomo in una molecola polimerica in una soluzione racemica o, più semplicemente, come un singolo fiore tra centinaia di migliaia che crescono su uno tra decine di migliaia di rami di un albero che ogni anno semina quattro milioni di frutti: il Sistema Nazionale di Istruzione.

Demata

Lezioni sospese. Ed il monte ore annuale?

13 Feb

La buriana sembra essere passata e la neve passa loscettro del disastro al ghiaccio ed al gelo.
Intanto, nei centri abitati riaprono le scuole, dopo sette o dieci giorni di sospensione della didattica.

Il sistema scolastico italiano prevede, come tutti sanno, che le classi ed i singoli alunni svolgano un determinato numero di ore, affinchè l’anno scolastico sia “valido” e si possa essere promossi od amemssi agli esami.

Parliamo di 1056 ore annue per gran parte degli istituti, di 990 per medie, elementari e buona parte dei licei, fino al minimo di 891 ore, previsto per i classici.
Ore che vengono distribuite, quasi esclusivamente, su 33 settimane annue, con frequenze che vanno dai cinque ai sei giorni alla settimana e con una durata quotidiana delle lezioni di 5-6 ore.

La norma, così come voluta dal ministro Gelmini, non prevede deroghe al numero minimo di ore svolte dalla classe e consente ai singoli alunni un massimo di una 50 di assenze annue, salvo casi eccezionali e documentati.
D’altra parte, la norma non è altro che il recepimento delle direttive e dei trattati europei: nulla da fare, dunque, se vogliamo emettere dei titoli riconosciuti all’estero.

In due parole, se il Calendario scolastico della Regione Lazio, per il 2011-12, prevedeva 210 giorni di lezione, sabati inclusi, ne restano solo 200-202 per le scuole di Roma, ad esempio, ed ancor meno per tutte quelle località dove stamane le lezioni sono rimaste sospese.

Così andando le cose, va capito cosa accadrà, nel futuro prossimo venturo, allorchè verrà a porsi il problema che, in molti comuni del Centroitalia tra cui la Capitale, la durata dell’anno scolastico potrebbe non poter contare su un numero di giorni congruo, a fronte di un diritto costituzionalmente garantito.
Dieci, quindici giorni di sospensione delle lezioni sono tanti, tantissimi, se, poi, c’è da recuperarli.

Le scuole di pensiero a riguardo sono tante e tutte affette da una qualche “difficoltà”.

Dall’ipotesi che le ore vengano svolte “in aggiunta” all’orario “normale”, per iniziativa dei dirigenti e degli organi collegiali delle scuole, senza intaccare il calendario regionale, ma stravolgendoi trasporti e obbligando i docenti ad orari eccedenti.
A quella che le singole Regioni adottino modifiche ai rispettivi calendari scolastici, azzerando le vacanze pasquali, ipotesi impraticabile per gli esiti di forte impopolarità, mentre riforme ed elezioni incombono.

Per finire alla prevedibilissima “deroga” ministeriale, magari a mezzo circolare, anzichè decreto, sollevando tutti dall’obbligo di recupero delle ore di lezione mancanti e lanciando al paese un chiaro – e pericoloso – segno di populismo … e di “benevolenza”. Il tutto  – ancor più pericolosamente – in barba all’europeismo vantato da Mario Monti in tante sedi internazionali.

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Scuola facile per gli stranieri

9 Feb

Che “qualcosa non vada” al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, diretto dal ministro Profumo, gli addetti ai lavori l’avevano già capito da qualche giorno.
Parliamo degli Esami di Stato convocati a mezzo di una semplice circolare, anzichè con la dovuta ordinanza.

Dettagli, che dicono molto sulla competenza e sullo stile.

La conferma è di questi giorni, quando, sempre a mezzo circolare, si invitano gli istituti di istruzione secondaria, inclusi i licei, ad accettare le iscrizioni di studenti stranieri licenza di scuola media.

Qualora gli studenti con cittadinanza non italiana siano ancora, secondo l’ordinamento scolastico italiano, in età di obbligo di istruzione … vengono iscritti alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il collegio dei docenti deliberi l’iscrizione ad una classe diversa, tenendo conto, dell’ordinamento degli studi e del corso di studi eventualmente seguito nel paese di provenienza, dell’accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell’alunno e del titolo di studio eventualmente posseduto dall’alunno. Qualora, invece, gli studenti stranieri che richiedono l’iscrizione ad una classe intermedia non siano più soggetti all’obbligo, almeno sedicenni, il consiglio di classe può consentire l’iscrizione di giovani provenienti dall’estero“.

Ovviamente, “l’accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell’alunno” avverrà a carico del già magro “Fondo d’Istituto”, come lo saranno tutte le attività di recupero e supporto necessarie a ragazzi e ragazze che, solo in ragione dell’età, si ritrovino catapultati in una classe liceale, senza conoscere la lingua e senza aver seguito un percorso formativo minimamente omogeneo e coerente.

Molto più logico, viceversa, prevedere che le scuole medie offrano sessioni straordinarie per gli esami di licenza e, soprattutto, tenere conto che agli studenti italiani la norma vigente non permette neanche di cambiare tipo di studi superiore, dopo l’inizio delle lezioni a settembre, ovvero dopo il termine ultimo per gli esami integrativi.

Ma per fare questo, il ministro Profumo avrebbe dovuto articolare e concertare un decreto, anzichè una circolare, che, però, lascia il tempo che trova.

Il perchè è facile a dirsi.

Al di là delle risorse – finanziarie ed umane che sono necessarie – le disposizioni del ministro Profumo sono inviate a mezzo “circolare” e, in base alle norme vigenti, le istituzioni scolastiche autonome e le singole regioni sono libere di recepirla o meno … come per tutte le circolari.

Infatti, le circolari sono un “atto regolativo interno”, mentre le istituzioni scolastiche sono, per dettato costituzionale, “autonome” dal punto di vista gestionale.
Attendiamo, dunque, un’ordinanza – di nome e di fatto – per gli Esami di Stato ed un decreto – non una circolare – per quanto riguarda gli alunni stranieri.

Povera Italia.

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Tagli alla scuola: la bufala dell’OCSE

14 Set

Dai dati OCSE sembrerebbe che l’Italia sia il fanalino di coda dell’Europa in fatto di spesa per l’istruzione.

In realtà questo è non veritiero: l’OCSE tiene conto solo degli stanziamenti iscritti nelle Unità di previsione del MIUR e non dell’intero totale delle risorse, che include anche il diritto allo studio, l’orientamento e la formazione professionale gestiti dagli Enti Locali.

Considerato che questo settore è uno dei più clientelari tra gli esistenti e che ha interdipendenze con il Welfare ed il Fondo Sociale Europeo, è praticamente impossibile quantificare la spesa effettiva dell’Italia per il diritto allo studio.  (sic!) Tutte le stime fatte nel tempo, però, quotano al 3-4% del PIL le risorse che hanno gli Enti Locali per scuolabus, mense, doposcuola, attività sportive e musicali, alunni disabili e … per feste patronali od etniche, convegni vari ed associazioni culturali.

Dunque, al miserrimo 4,8% del Pil, annunciato dall’OCSE, va assommato almeno un ulteriore 2%, con il risultato che siamo almeno al 6,8%, ben oltre la media fissata al 6,1.

La bufala è nota da tempo, fin dal “voltapagina” della Prima Repubblica, quando emerse per la prima volta, o con la Moratti, quando di nuovo scoppiò la querelle. Purtroppo, a bilanci MIUR sostanzialmente comparabili, nessun “allarme internazionale” e nessun battage mediatico nazionale fu sollevato nè per Berlinguer nè per Fioroni  nè per De Mauro.

Dei media attenti avrebbero ricordato tutto questo, mentre riportavano le statistiche dell’OCSE. 

La Gelmini è un cattivo ministro, perchè non difende (come altri fanno) la propria infrastruttura, ma sono anni che le attività di cui le famiglie lamentano il taglio son state trasferite agli enti locali (risorse incluse), il MIUR c’entra poco.

Questo andrebbe detto, andrebbe saputo.  Purtroppo, sui giornali in prima pagina, leggo solo un tristissimo “Piove Governo Ladro:  l’ha detto anche l’OCSE”, senza coprotagonisti, senza cause, senza soluzioni.

E’ con questa informazione che si porta un popolo sull’orlo della Grecia, mentre, per il bene di tutti, insieme ai toni scandalistici, andrebbe raccontato il “dietro le quinte” ed andrebbero spiegate le exit strategies, che poi è l’unica cosa che interessa a docenti, alunni e famiglie.

Se, poi, qualcuno volesse attaccare l’OCSE per la grave e tendenziosa inesattezza (le prove sono in Gazzetta Ufficiale e sono tra le norme di trasferimento Stato-Regioni) … potremmo anche farci un’opinione diversa sullo stato comatoso dell’informazione italiana.

Una manovra contro di noi

30 Ago

Questo è tutto quello che le generazioni nate tra il 1925 ed il 1950 hanno riservato a noi che siamo nati dopo di loro.
E’ iniziata quando avevamo ancora 15 anni, cambia poco se fossero gli Anni Settanta, Ottanta o Novanta e, dopo 20-30 anni, continua ad andare così.

Una letale e brutale corsa senza traguardo e senza vincitori: una generazione in esubero da “smaltire”.

Siamo tutti vittime di due generazioni abbarbicate alle poltrone del potere, che mai hanno voluto ascoltare ipotesi, teorie e soluzioni diverse da quelle che a loro facevano comodo in quel momento.
Predatori, che ci hanno portato alla rovina arraffando tutto quello che c’era, durante il Boom economico, e che intendono continuare a farlo finchè ci sarà sangue e linfa da succhiare.

Le loro pensioni non si toccano, le nostre si.
Fuckin’ bastards …

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Le pensioni dei laureati e l’iniqua manovra

29 Ago

Le prime anticipazioni dei media su quanto concordato dagli esponenti della Lega e del PdL riuniti a Villa Certosa raccontano di un’altra iniqua legge a carico dei lavoratori italiani.

I titoli recitano il canonico “stretta sulle pensioni”, ma nella realtà si tratta di una stretta sui lavoratori laureati del settore pubblico: “il calcolo verrà effettuato solo in base agli “effettivi anni di lavoro” e non dovrebbe più tener conto degli anni di servizio militare prestato e degli anni universitari.”

In pratica, sono 4 anni di servizio in più per tutte le posizioni da laureato del settore pubblico.

Cosa giusta? No, iniqua e controproducente.

Innanzitutto, precisiamo che i laureati del settore pubblico devono pagare una congrua somma per riscattare gli anni di studio universitario, spesso versando l’intero equivalente dei contributi dovuti.

L’INPDAP, l’ente di previdenza che copre questi lavoratori, è  in ottima salute ed è talmente ricco che, se svincolato dal Ministero dell’Economia, avrebbe addirittura i capitali per rinegoziare i prepensionamenti necessari a far posto a giovani ed innovazione, nelle scuole, come negli ospedali o nelle  università.

Inoltre, l’INPDAP, in base alle regole di bilancio europeo, non dovrebbe vertere direttamente sulle spese dello Stato e non si comprende quale sia il beneficio in termini di manovra o di minor spesa.

Va anche aggiunto che il “computo degli studi universitari” è frutto di lunghi anni di battaglie professionali e sindacali, dato che  i laureati entrano nel mercato del lavoro diversi anni dopo i diplomati, perchè devono, a proprie spese, acquisire le conoscenze e le competenze di livello universitario necessarie al lavoro che faranno, in un paese che non è affatto prodigo di ostelli, borse di studio e meritocrazia.

Una vera cattiveria, specialmente se consideriamo che non tutte le categorie sono effettivamente colpite da questa norma: i docenti universitari, i magistrati ed i medici già adesso tendono a rimanere in servizio fino od oltre il 65° anno di età. Le categorie di laureati effettivamente colpite dall’azzeramento del riscatto pensionistico degli studi universitari sono quelle della scuola (precari ed alunni inclusi), dei neoassunti (che difficilmente matureranno i 40 anni di base pensionistica) e dei malati cronici (costretti a trascinarsi al lavoro per quattro anni extra).

La cattiveria, per inciso, non sta solo nel tipo di categorie colpite, ma nel sistema pensionistico pubblico, che non consente alcuna forma di negoziazione su TFR e computo pensionistico per i malati, come invece è possibile nel settore privato e con le assicurazioni.

Una vera iniquità, non solo verso giovani ed invalidi, ma anche verso chiunque non sia già pensionato, visto che restano intatte le pensioni d’anzianità e d’annata, cioè proprio quelle per le quali i contributi versati sono esigui a confronto con le somme percepite.

Una svista epocale, quella di prolungare il servizio ad un paio di milioni di laureati, se consideriamo i promessi tagli alla pubblica amministrazione, la quantità di precari che attendono da anni, l’urgenza ultraventennale di riformare ed innovare.

Una vergogna, che non sarà facile emendare.

Lavoratori pubblici (di sinistra) online

16 Giu

L’onorevole del Pdl Stracquadanio attacca: “Bisogna punire gli statali che vanno sul web”.

Era ora, bisogna dirlo, anche se lo scopo dello spin doctor berlusconiano è decisamente di parte.
“Il blocco sociale dei quattro milioni di dipendenti pubblici è più forte di noi: certo che la sinistra vince sul web, non fanno un cazzo. Se proprio lavorano, alle due del pomeriggio sono fuori”. (La Repubblica)

D’altra parte è sotto gli occhi di tutti come è andata la campagna referendaria: oscurata sui media ma massiva su internet.
Chiunque avesse un account Facebook, durante il mese scorso è stato inondato di propaganda per il SI e guai a commentare non entusiasticamente l’abrogazione di tutto su tutto.

Chi erano questi epigoni della partecipazione democratica? Dipendenti pubblici e docenti.
E se i primi sono sospetti di aver usato il tempo pagato con le nostre tasse per dedicarsi a faccende personali (ci sono IP e orari …), per i docenti la faccenda è decisamente più complessa.

Infatti, negli altri paesi, se un docente ha rapporti amicali con gli allievi, viene licenziato.
Dalle nostre parti,  si tollera … con il risultato che non pochi usano il Social Network per fare propaganda politica tra i propri studenti.
La riprova, caso mai ce ne fosse bisogno, è nel dato che la maggior parte degli scioperi studenteschi “spontanei” sono in coincidenza  di quelli dichiarati dal personale della scuola “contro il governo”.

Ma è davvero consentito? E, soprattutto, che razza di deontologia hanno i nostri prof e i nostri dirigenti scolastici?