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Terrore a Parigi: chi sono i mandanti

9 Gen

Secondo la stampa francese, sarebbe Nasser al-Wuhayshi, il fondatore di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), ad aver ispirato, se non addestrato, i fratelli Kouachi, mentre  il loro ‘mentore’ sarebbe Boubaker al-Hakim, già Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento e da almeno un anno al servizio del Daesh /stato islamico.

Nasser al-WuhayshiAl-Wuhayshi – yemenita, 37 anni e una taglia da 10 milioni di dollari sulla testa – è il capo di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), il ramo più temuto della rete fondata da bin Laden, ed, in un video nel mese di aprile 2014, faceva appello a continuare la guerra contro “i crociati” occidentali “per quanto possibile” .
E Said Kouachi , uno dei due fratelli autori della strage presso la sede di Charlie Hebdo, aveva ricevuto addestramento militare durante un soggiorno in Yemen nel 2011 e aveva chiesto all’uomo a cui ha rubato l’autovettura durante la fuga, di “dire ai media che si tratta di al-Qaeda in Yemen”.
Nessuno sa se Said abbia incontrato personalmente al-Wuhayshi, ma, già nel 2013, l’intelligence Usa aveva intercettato una comunicazione tra al-Wuhayshi e Ayman al-Zawahiri, l’attuale leader di al-Qaeda dove si parlava di un attacco destinato a “cambiare il volto della storia.”

Nel 2009, Nasser al-Wuhayshi tentò di far esplodere un aereo di linea da Amsterdam a Detroit, ma il suo uomo con esplosivi nascosti nelle mutande venne sopraffatto dagli altri passeggeri, e cercò di assassinare il Vice Ministro degli Interni saudita, ma il kamikaze, che aveva inserito esplosivi nel retto, espolse prima del tempo. Nel 2010, aveva nascosto due bombe in una stampate per far esploder un cargo in volo, ma il piano era stato scoperto.
Ma, se la pista yemenita sarà confermata, al-Wuhayshi avrà firmato il suo primo eccidio fuori dallo Yemen ed è una ‘bella carriera’ per uno che era “il servo che portava l’acqua per le abluzioni” di Bin Laden ed il cui merito du solo quello di aver organizzato la sua evasione dalla prigione di Sana’a nel 2006, come ha confermato Nasser al-Bahri, ex guardia del corpo del defunto leader di al Quaeda.

Nel 2014, sfidò Abu Bakr al-Baghdadi a capo del Califfato dall’organizzazione proclamato Stato islamico, ma oggi gli attentati di Parigi indicherebbero un avvicinamento delle due organizzazioni.

Infatti, gli analisti francesi sembrano essere d’accordo sul fatto che la strage di Charlie è stato probabilmente il punto di partenza di una più ampia ondata di attentati in Francia.
Anche Amedy Coulibaly, autore di due attacchi e morto nell’assedio della drogheria kosher di Porte de Vincennes, era conivolto con il più giovane dei due fratelli Kouachi, Cherif, nel piano di fuga di Smain Ait Ali Belkacem ed ambedue erano rapinatori abituali.

Tutti e tre i trentenni appartenevano alla cosiddetta filiera jihadista  “des Buttes Chaumont”, la cui figura carismatica era l’Imam Farid Benyettou, ed avevano probabilmente avuto contatti con Boubaker al-Hakim, francotunisino nato a Parigi nel 1983 e coinvolto nel 2013 negli omicidi ‘assassinio di due personalità tunisine di sinistra, Chokri Belaid e Mohamed Brahmi.

Boubaker al-HakimIn particolare, l’esperto sul radicalismo islamico Jean-Pierre Filiu, che ha indagato su questo piccolo gruppo, ritiene che Cherif Kouachi  ha probabilmente seguito al-Hakim Boubaker nella transizione da al Quaeda verso Daesh / stato islamico. In particolare, ricordiamo che al-Hakim Boubaker era un amico d’infanzia dei fratelli Kouachi  e che suo fratello Redhouane El Hakim è morto in Irak nel 2004 a Falloujah, combattendo per quel Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, che l’anno successivo confluirà in al Queda e che ispirarà gli attentati di Madrid.

Una visione che – dopo gli attacchi congiunti di Coulibaly, condividono varie forze di polizia e di intelligence: la strage di Charlie Hebdo è stato “il segnale di partenza per una ondata di operazioni terroristiche molto più ampia” e da questo l’enorme allarme che c’è in Francia: i documenti sequestrati nel corso delle prime indagini dimostrebbero l’esistenza di una  rete per fare il maggior numero di vittime, sulla falsariga dei ‘guerrieri ghazi’ islamici, che venivano infiltrati dietro le linee cristiane per eseguire azioni sanguinarie e terrorizzanti.

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11 settembre a Parigi: dove va l’Occidente?

8 Gen

Dopo New York, Londra e Madrid è toccata a Parigi ed anche stavolta la Jihad contro i ‘crociati’ ha attaccato i simboli della laicità. Ieri dei vignettisti satirici, in USA furono la Borsa e le aereolinee, a Londra e Madrid le metropolitane.

Intanto, tutti hanno a ricordare – ma allora perchè non l’hanno fatto prima – che l’Occidente è troppo permeabile, infiltrabile, esposto … anche se non si è ancora ben capito chi è in guerra con chi.
Da un lato ‘noi’ siamo ancora fedelmente amici delle dinastie saudite, madri di tutti gli integralismi islamici, mentre che l’istigazione all’odio sia un reato ce lo ricordiamo solo contro gli ultrà e qualche neonazista. Dall’altro gli Jihadisti si guardano bene dall’attaccare luoghi cristiani fuori dai ‘loro’ territori, mentre quello che puntualmente viene attaccato è il Villaggio Globale, persino in quel Nord Europa che fu pagano fino tot secoli fa e che – poco dopo la cristianizzazione forzata – si staccò da Roma per ‘protestando’ … e trasferendosi in parte nel Nuovo Mondo alla ricera della Friede.

Non è il presepe di Gesù ad essere sotto attacco, ad essere nel mirino è l’Albero di Natale dedicato a Yule ed al Consumismo. E, ci attaccano ‘per il nostro bene’, finchè non avremo abbandonato la via del peccato e saremo ritornati al dio unico: che il profeta da seguire sia Gesù o Maometto è una questione di second’ordine.

Cosa dovrebbe fare l’Occidente?

Innanzitutto, sarebbero da vietare tutti i culti che non accettino la coesistenza e la pari dignità degli altri come  andrebbe vietato agli enti religiosi sia di ricevere donazioni occulte sia di poter utilizzare i propri fondi in investimenti o speculazioni, cosa che è di per se un ginepraio, dato che sono i cattolici e non gli islamici a dare puntualmente questo problema ab origine, ne sanno qualcosa gli imperatori succedutisi a Roma per tre secoli.
In secondo luogo, sempre riguardo l’affermazione di ‘valori’, dovremmo rivedere i nostri sistemi fiscali e di giustizia: siamo un poco difendibile esempio morale, se le nostre democrazie sono così afflitte dalla corruzione e dal degrado.

Infine potremmo davvero passare per grulli a voler continuare i nostri rapporti con i sauditi così come sono oggi, come anche potremmo dar ‘ragione’ a coloro che dicono che ‘Charlie non doveva provocare gli islamici’ ed … interrompere le nostre benevolenti politiche verso Israele …

Dunque, è possibile che l’Occidente non farà un bel resto di nulla di tutto questo, ma è altrettanto possibile che tra cinque o dieci anni tali questioni saranno ineludibilmente sul tavolo della Storia.

Quello che, viceversa, sarebbe fattibile nel corso di quest’anno è l’opzione militare /umanitaria: ricollocare gli inglesi in Palestina e Yemen, i francesi in Libano, i russi in Siria, gli statunitensi in Iraq, gli italiani in Libia ed Eritrea, eccetera.
Un conto è l’autodeterminazione dei popoli, un altro è proteggerli da ‘predatori internazionali’.

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Ostaggi in Nigeria, Cameron ignora l’Italia

9 Mar

Dopo l’arresto dei nostri fucilieri in India, arriva la notizia, a fatto compiuto, del blitz britannico in Nigeria per liberare degli ostaggi di Al Quaeda, tra cui un italiano che ci ha rimesso la vita.

Intanto, in questi mesi, abbiamo scoperto che lo spread, i mercati ed il default vanno “a prescindere” da cosa faccia (o meglio non faccia) il nostro governo, mentre, con tanta nonchalance, abbiamo permesso a Marchionne di “regalare” la FIAT alla Chrysler.

Ricordate gli entusiastici commenti giornalistici sulla “rinnovata immagine dell’Italia” od il “ci hanno apprezzato” di Mario Monti, quasi fossimo figli di un dio minore?

Beh, dalle chiacchiere, lusinghiere, stiamo ai fatti. Pessimi.

Intanto, mentre Repubblica titola on line: “L’ira di Monti”, a leggere l’articolo salta fuori che il messaggio “di protesta” a Cameron, Primo Ministro britannico regolarmente eletto, è stato “perché non ci avete avvertito prima? Dovevamo avere il tempo di dire la nostra, di fare delle valutazioni insieme. Vogliamo approfondire, chiediamo dei chiarimenti, un supplemento di informazioni.”

Senza parole …

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Nuova perizia per Anders Behring Breivik

13 Gen

Dopo le diffuse proteste, il Tribunale di Oslo dovrà eseguire nuove perizie psichiatriche su Anders Behring Breivik, l’attentatore di Utoya, prima di rinchiuderlo in una struttura per malati mentali pericolosi, evitando un vero e proprio processo.

Non poche, infatti, erano state le polemiche per la diagnosi di “psicotico, affetto da una forma di schizofrenia paranoica” degli psichiatri Synne Serheim e Torgeir Husby.
Una diagnosi che avrebbe permesso al Tribunale di Oslo di recepirla in sentenza, trasformando Breivik in  un soggetto “penalmente irresponsabile” e quindi non processabile, prima ancora che punibile.

Un processo che, senza svolgimento, non permetterebbe di acclarare se Brevik fu il solo e vero autore della strage.
Un processo ed una condanna che Anders Behring Breivik chiede, affermando di aver compiuto atti “atroci ma necessari”.

D’altra parte, come può essere “incapace di intendere” un uomo che ha pianificato per anni e completato un attentato di una notevole complessità?

Allora, perchè la giustizia norvegese ha tali difficoltà a processare Anders Behring Breivik, al punto che la prima vera udienza è fissata per il prossimo 16 aprile, a ben otto mesi dalla strage?
Perchè la Norvegia è un paese non proprio perfetto … visto che “nel 2000, quando le legislazioni dei due paesi in materia erano comparabili, le persone investigate per reati correlati al traffico di droga erano 57 ogni 100.000 abitanti in Italia a fronte di ben 174 in Norvegia” e “che una ragazza su sette ha tentato il suicidio”.

Leggi anche la Norvegia è un paese non proprio perfetto

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I numeri della guerra al terrorismo in USA

11 Set

I casi di terrorismo islamista che la New America Foundation e Siracuse Maxwell School hanno rilevato in questi dieci anni negli Stati Uniti dopo l’11 settembre sono in tutto 188, incluso il fiancheggiamento ed il trading finanziario.
Infatti, solo in un terzo degli arresti sono stati contestati relativi il possesso di armi od esplosivi. Inoltre, nel 33% dei casi le autorità sono state attivate da un informatore e nel 22% da una soffiata, se non addirittura si è potuto contare sull’assistenza data da familiari o persone della comunità religiosa.

Un recente studio pubblicato dalla CNN indica che al Qaeda e gli Jihadisti non sono gli unici terroristi che gli USA devono affrontare e che in 10 anni le morti causate da costoro sono “solo” trenta a fronte di 150.000 omicidi di cittadini americani, avvenuti nello stesso periodo.
Inoltre, la ricerca di Peter Bergen (CNN’s national security analyst) dimostra che il Jihadismo non ha fatto più danni dei terroristi “interni”, come le milizie, o gli ambientalisti, sfatando così la principale paura che si era diffusa tra gli statunitensi: quella di subire ondate di attacchi chimici, biologici, radiologici.
Anzi, gli ultimi dieci anni raccontano come siano gli estremistri di destra e di sinistra, e non al Quaeda, a preferire questo tipo di attacchi.

I casi di terrorismo interno, in questi dieci anni, sono stati almeno 114, secondo le statistiche federali, tra cui il report della CNN rammenta quelli che hanno rappresentato un pericolo consistente su larga scala:

  1. il microbiologo Bruce Ivins uccise cinque persone con lettere all’antrace (Columbia District 2001).
  2. William Krar e Judith Bruey erano pronti ad uccidere migliaia di persone con bombe al cianuro (Texas 2003).
  3. Joseph “Dr. Chaos” Konopka era in possesso notevoli quantità di prodotti chimici pericolosi, tra cui cianuro, quando è stato arrestato (Chicago 2002).
  4. i suprematisti bianchi Demetrius van Crocker e James Cummings sono stati catturati, rispettivamente nel 2004 e nel 2008, mentre tentavano di costruire bombe per attacchi con gas tossici o con sostanze a bassa radioattività.

In realtà, il numero di azioni terroristiche interne, è di gran lunga superiore, se si considerano anche i casi di violazione delle leggi sulle armi e gli esplosivi, le distruzioni di proprietà e gli incendi dolosi per “cospirazione sediziosa”, come, ad esempio, è accaduto per la milizia antigovernativa Hutaree nel Michigan.
Molto spesso i terroristi interni si erano mimetizzati all’interno di comunità marginali, al punto che nel 50% dei casi sono stati agenti infiltrati a scoprire il complotto e solo nel 18% dei casi le autorità hanno potuto contare sulla collaborazione di parenti o conoscenti dei terroristi.

USA: Attacchi di terroristici (2001-2011)

  • 37% antigovernativi – black bloc
  • 23% ambientalisti – animalisti
  • 17% suprematisti – neonazisti
  • 11% integralisti cristiani – antiabortisti

Il numero dei incidenti che hanno causato morti vede otto casi attribuiti al terrorismo interno e solo quattro a quello islamista.
Nel dettaglio, se si esclude l’attacco di Fort Hood – Texas nel 2009, attuato da un militare USA veterano dell’Afganistan con 13 morti, gli islamisti hanno ucciso solo 4 persone, mentre ai terroristi interni sono attribuite almeno 14 morti.

In conclusione, a dieci anni dagli attentati alle Twin Towers, le statistiche confermano che la guerra al terrorismo avviata dagli USA è stata una scelta sbilanciata, visto che lo Jihadismo appare essere più un fenomeno che si va radicando nei territori islamizzati, inclusi quelli occidentali.
Del resto, i moderni assertori dello Jihad sono i figli degli intergralisti islamici degli Anni ’80, il cui scopo era quello di portare l’Islam alla “purezza originaria”, macchiata, secondo loro, dall’emancipazione femminile, dal consumismo, dall’usura.
Non è un caso che l’ex Segretario alla Difesa di Henry Ford e G.W. Bush, Donald Rumsfeld, ha dichiarato, proprio ieri, che “fu un errore chiamare la guerra in Afganistan come Guerra al Terrorismo”. Se lo dice lui …

Norvegia, un paese non proprio perfetto

26 Lug

In Norvegia, il tasso di criminalità è di 70 detenuti ogni 100.000 abitanti, a fronte degli oltre 100 dell’Italia e dei circa 500 degli Stati Uniti. Il tasso di recidività è al 20%o, a fronte di un dato più che doppio (>55%) negli Stati Uniti.

Secondo gli esperti, questo è possibile grazie alla bassa densità di popolazione, alla mancanza di sensazionalismo da parte dei mass media, ai rilevanti costi del Welfare, ad un sistema penale e penitenziario che punta sul recupero, piuttosto che sulla sanzione.

Una sorta di Eden? Un modello da implementare dovunque?
Non esattamente.

Innanzitutto, c’è da rilevare che il sistema giudiziario ha sue contraddizioni. Ad esempio la prostituzione è illegale, ma è legale prostituirsi, e , a fronte di tanta umanità per i detenuti comuni, si prevede la castrazione per chi commette reati sessuali, per non parlare della ridicola pena a 21 anni di carcere per uno come Anders Behring Breivik.
Inoltre, secondo l’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA), nel 2000, quando le legislazioni dei due paesi in materia erano comparabili, le persone investigate per reati correlati al traffico di droga erano 57 ogni 100.000 abitanti in Italia a fronte di ben 174 in Norvegia.
La Norvegia, secondo le statistiche, è anche uno dei paesi maggiormente afflitti dal consumo di ecstasy e boom drinks.

 Va detto che i tassi di criminalità sono altrettanto bassi in paesi dove il sistema giudiziario è molto diverso dalla Norvegia, come ad esempio in Arabia Saudita e nei paesi dove vive la Sharia.
Sono in errore, dunque, i tanti che attribuiscono la “pace sociale” norvegese alla comprovata eccellenza dei propri tribunali e delle proprie carceri.
Sono, piuttosto, la minore occasione di relazioni umane, data dalla bassissima densità abitativa, e la correttezza dei media a contribuire con certezza nel ridurre il tasso di criminalità, cosa confermata dai dati italiani e statunitensi dove è prassi comune lo “sbattere il mostro in prima pagina”.

Quanto ai rilevanti costi del Welfare, vale la pena di ricordare che Norvegia ed Arabia Saudita sono due nazioni molto ricche, grazie all’estrazione del petrolio, e che, probabilmente, non potrebbero mantenere gli attuali livelli se il PIL dovesse essere prodotto piuttosto che “estratto”.
Vale la pena di annotare anche che l’Italia ha una spesa in servizi pubblici pro capite di gran lunga superiore alla Norvegia, ma con risultati ben inferiori, e, soprattutto, che la Norvegia ha elevati costi di gestione del crimine, sia come spesa giudiziaria e carceraria sia come welfare e prevenzione.

L’Eden scandinavo esiste solo grazie alla bassissima densità abitativa, alla finanza pubblica che attinge a ricche rendite (petrolio, esplosivi, legname), ai media che informano la pubblica opinione senza sensazionalismo.

Ma c’è dell’altro.

“(ANSA) – OSLO, 2007-02-05 19:00 Norvegia: aumentano tentati suicidi.
– Secondo uno studio pubblicato oggi, sono aumentati di un 30% i tentativi di suicidio tra gli adolescenti in Norvegia. La tendenza e’ legata all’aumento del consumo di droghe ed alcool, cosi’ come a una preoccupazione sempre piu’ crescente per l’aspetto fisico.

Lo studio mostra che un 13,6% delle ragazze ha tentato di togliersi la vita nel 2002, mentre nel 1992 era stato un 10,6%. I tentativi di suicidio tra i maschi sono stabili: 6,2% nel 2002 contro il 6,0% nel 1992.”

Un dato impressionate, se pensiamo che una ragazza su sette ha tentato il suicidio, sia riguardo la condizione giovanile e, soprattutto, femminile sia sullo stato di salute della società norvegese.

Per molti anni, allorchè negli USA si verificavano stragi nei college o nei supermercati, la stampa e gli esperti hanno puntato il dito contro il sistema giudiziario e di protezione sociale statunitense.
Addirittura, il noto e simpatico regista Michael Moore ha tentato, nel film Blowing Columbine, di “dimostrare” il nesso tra stragi, industria delle armi e governo “fascista”.

Dopo il 22 luglio norvegese, sappiamo che può accadere di molto peggio nella vecchia Europa, ammantata di welfare e di controlli, se messo a confronto con le stragi degli Stati Uniti, liberisti e bellicosi.

Evidentemente, il nocciolo della questione è che Claude Levi Strauss aveva torto e Desmond Morris aveva ragione: l’istinto predatorio è connaturato nell’Uomo.
Una società sana può solo sperare di mitigarlo.

Oslo, Utoya, Anders Behring Breivik: cosa ancora non ci raccontano

24 Lug

Non v’è dubbio che Anders Behring Breivik, 32 anni, non abbia tutte le rotelle a posto e che abbia commesso uno dei crimini più efferati della storia europea recente.

Ma questo non deve indurci a sottovalutare quello che è accaduto ad Oslo e sui media, bollando il tutto con “nazista, “serial killer”, “pazzo”.

Innanzitutto, certi media, specialmente quelli italiani, che si sono ostinati per ore ed ore nell’annuncio dell’ennesimo attacco jihadista, mentre, fin dai primi minuti, era evidente che la bomba nel centro di Oslo fosse di altra origine.
Pochi morti, poca “spettacolarità”, nessuna “azione di supporto” o di “magnificazione” dei danni, obiettivo non precisato: non è questo lo “stile” di Al Quaeda.
Non era difficile accorgersene, specialmente se i media norvegesi, inglesi e statunitensi si dimostravano molto freddi su questa ipotesi.
Eppure, anche il giorno dopo, a RAINews24 c’era chi offriva in pasto ai telespettatori l’ipotesi islamica …

Dicevamo, l’obiettivo imprecisato, o meglio, non distinguibile se si segue la pista islamica, viceversa ben evidente se annotiamo che nel blocco degli edifici coinvolti dall’esplosione c’è la sede del Arbeiderpartiet (Partito Laburista norvegese, letteralmente “partito dei lavoratori”), lo stesso che aveva organizzato il meeting giovanile ad Utoya.
Dunque, l’intenzione di Anders Behring Breivik era quella di colpire il partito, non la Svezia tutta od il suo governo.

Come? Attirando tutte le forze speciali al centro di Oslo, per avere più tempo a disposizione per compiere il massacro di Utoya ed azzerare la futura classe dirigente laburista norvegese, uccidendone una buona metà e traumatizzandone il resto.
Non è un caso che dalla Norvegia, a quasi 48 ore, dai fatti non si abbiano ancora notizie precise sul numero di morti rinvenuti e su quello dei superstiti accertati. E’ evidente che il numero dei dispersi è elevato e che il conto dei 98 morti è destinato ad accrescersi.

Ecco descritto il freddo delirio di Anders Behring Breivik: cancellare, o quanto meno depotenziare, l’Arbeiderpartiet, un partito che, dal 1935,  governa senza quasi nessuna interruzione la Norvegia, che, non a caso, è stata chiamata per molti anni “one party state” (il paese con un solo partito).
Una forza politica che aveva vinto le  elezioni con un risicato 24% e che, fino ad oggi, è rimasto al potere grazie ad una “fusion” con i Verdi, che li ha riportati oltre il 34%, ed a spegiudicate coalizioni di governo, che assemblano centristi e postcomunisti.
L’attuale governo, che nel 2008 è stato coinvolto in gravi scandali di corruzione, aveva ricevuto il 47,6% (1.280.440 voti), contro il 49,5% (1.331.416 voti) totalizzato dal “centro-destra” (progressisti, cristiani, liberali e conservatori).

Anders Behring Breivik è sicuramente uno squilibrato, ma qualunque analista politico (come anche chiunque abbia voglia di leggere o scrivere cosa c’è “dietro” le notizie) non puo evitare di prendere atto che, in Norvegia, c’è una palese assenza di ricambio politico e, probabilmente, una forte omologazione culturale “a sinistra” da cui il paese si sta risvegliando con evidenti sussulti, visto l’incubo che si è concretizzato ad Utoya.
Non è un caso che Jens Stoltenberg, primo ministro e leader del Arbeiderpartiet, stia cercando in tutti modi di minimizzare la tragedia, ad esempio, non fornendo il numero dei dispersi o quello dei danni e degli obiettivi della bomba: è sua l’incredibile gaffe di ieri, stigmatizzata dai media norvegesi, allorchè ha annunciato che l’anno venturo si sarebbe tenuto di nuovo il meeting di partito di Utoya, per sentirsi ribattere da uno dei sopravvissuti un “non se ne parla proprio.

Ma c’è dell’altro:  tutte le prime notizie pervenute riportano di una (seconda) esplosione in piazza Yougstorget, antistante la sede del Arbeiderpartiet ed a pochi metri dai palazzi governativi colpiti. Certo, era il caos dei primi momenti, ma la stessa BBC riportava alle 15.44 (pochi minuti dopo l’esplosione) una testimonianza diretta: “la bomba è esplosa a  Youngstorget e che la polizia stava evacuando i feriti e concentrando le ambulanze lì (The bomb went of at Youngstorget, … injured people are taking care of by a huge amount of police and medical forces. … The police is now evacuating all people from Youngstorget).

Questa è la storia dell’ “attentato di Oslo del 22 luglio” ed è possibile trovarlo sui media norvegesi, in particolare proprio quel VG Tabloid di Oslo “attaccato dai jihadisti” …  resta solo da chiedersi perchè la stampa ed i media italiani non se ne siano ancora accorti, visto che il traduttore di google “norvegese (Bokmal)-italiano” non funziona troppo male …

Dalai Lama: compassione per Bin Laden

9 Mag

In un intervento presso la University of Southern California di Los Angeles, Tenzin Gyatso, il Dalai Lama vivente, ha risposto ad alcune domande riguardo il “point of view” buddista, riguardo la morte di Osama Bin Laden.
“Perdonare non vuol dire dimenticare cosa è successo.
Se accade qualcosa di grave che richiede delle contromisure, bisogna prendere quelle contromisure“.

La sua morte, “in una prospettiva buddista, ovvero quella di considerare il nostro nemico cone il nostro più grande maestro, è un fatto triste. Come ogni essere umano, Osama Bin Laden ha diritto alla nostra compassione e comunque perdono.”
“Naturalmente, per coloro che credono che un nemico sia un nemico assoluto, il punto di vista porta ad una prospettiva differente”.

Un concetto accettabile, se non ovvio, per noi europei figli di tante guerre fratricide, che, però, ha destato diversi interrogativi sui media statunitensi, che in questi giorni avevano cavalcato l’onda della “vendetta”, nel raccontate l’attacco di Abbottabad e la morte di Bin Laden.

Questo il comunicato ufficiale del Dalai Lama sul suo sito in risposta.

C’è bisogno di distinguere tra l’azione e l’attore. L’azione di Bin Laden è stata certamente distruttiva e i fatti accaduti (e scaturiti dal) l’11 settembre hanno ucciso migliaia di persone. Questa azione deve essere ricondotta a giustizia.”
“Ma, verso l’attore, dobbiamo avere compassione e discernimento, come anche che le contromisure, a prescindere dalla forma che abbiano, devono essere compassionevoli.”
Il leader spirituale dei buddisti di culto tibetano ha anche sottolineato che “la pratica del perdono non implica che si debba dimenticare cosa è stato fatto“.

A quanto pare, un uomo da solo, Tenzin Gyatso il Dalai Lama vivente, ha avuto il coraggio (o l’onestà intellettuale) di dire agli USA dinanzi a telecamere statunitensi ciò che ONU, Vaticano, Associated Press, governi alleati e non alleati stanno flebilmente bisbigliando da giorni, chiedendo foto o precisazioni da parte di Obama.

Flebilmente perchè tutti temiamo che si venga ad acclarare che Osama Bin Laden si è consegnato e che, successivamente, è stato giustiziato sommariamente e con brutalità.

leggi anche Bin Laden, dal mistero il mito

Hamza bin Laden, l’erede

5 Mag

Hamza bin Laden (Hamza bin Osama bin Muhammad bin ‘Awad bin Laden) è il 22enne figlio di Osama e di Khairiah Sabar, una saudita di Gedda con un PhD in legge (islamica) ed insegnante per sordomuti.
Molti esperti ritengono probabile che Khairiah sia morta sotto i bombardamenti in Afganistan, ma è anche possibile che sia detenuta in Iran.
E’ importante sapere che Khairiah Sabar dicende dal profeta Maometto per linea diretta e, dunque, suo figlio può, in teoria, ambire alla corona saudita come a quella di qualunque stato islamico.

Hamza inizia presto a sua carriera di erede del “principe del terrore”, praticamente cresce accanto ad un padre che trascorre le sue giornate a pianificare attentati ed incontrare compagni d’armi: sono i tempi della repubblica islamica dell’Afganistan e dei complotti sudanesi.
Dopo l’11 settembre fugge in Iran con il grosso della famiglia ed alcuni fedelissimi di Osama, ma lì deve confrontarsi con il governo iraniano che li sottopone ad un lungo “soggiorno obbligato”, col pretesto di proteggerli.

A 16 anni, diviene (tristemente) famoso in Gran Bretagna per un poemetto pubblicato on line che inneggia agli attentati di Londra ed al massacro degli infedeli.
Sempre in quel periodo (2007) viene segnalata la sua presenza in Afganistan e Benazir Bhutto dichiara di temere Hamza, in relazione ad un suo possibile omicidio, come puntualmente avvenuto.

Attualmente, vista la smentita della CIA sulla sua morte ad Abbottabad, Hamza è già un senior member di al-Qaeda in Afghanistan e, vista l’investitura paterna,  è possibile che prenda il controllo di almeno una parte delle cellule terroristiche e dei conti bancari di famiglia. E’ anche possibile che per la giovane età possa esercitare un certo carisma sui giovani integralisti che vivono in Europa, come anche che proprio questa sua ascesa abbia indotto qualcuno a tradire suo padre.

Intanto, sua madre è morta sotto le bombe americane, suo padre è stato ucciso, inerme, da un Navy Seal e ad Hamza non resta altro che la resa o la vendetta …

leggi anche Bin Laden, dal mistero il mito

Bin Laden, dal mistero il mito

5 Mag

Già nelle prime 24 ore dopo l’assalto dei Navy seals ad Abbottabad, questo blog avanzava delle perplessità sulle informazioni diffuse dal governo USA e, più precisamente sull’assenza di prove, su dove e come fosse morto Osama Bin Laden e sul ruolo avuto dai pakistani.
Riflessioni della prima ora, che stonavano con l’esultanza generale e che trovano, già dopo pochi giorni dai fatti, ampio fondamento.

Quali sono gli elementi critici della versione fornita dalla Casa Bianca?

  1. Innanzitutto, le modalità di attacco. Secondo le dichiarazioni USA, il “covo” sarebbe stato trovato grazie alle ammissioni di un detenuto di Guantanamo, per giunta estorte sotto tortura (Waterboarding). Secondo i militari afgani e pakistani, l’abitazione era stata segnalata da tempo.
  2. Ingannare l’ISI (ndr. i servizi segreti) è difficile come lo è far atterrare 2-3 grossi elicotteri a poche centinaia di metri dai comandi d’elite dell’esercito pakistano, dopo aver sorvolato buona parte del paese. Non  a caso Islamabad protesta vivamente per la violazione dello spazio aereo e per la conduzione di azioni militari sul suo territorio.
  3. La villetta dove viveva Bin Laden da tempo è sita in un quartiere abitato da militari, dove nessuno è accorso (neanche la polizia locale) durante una sparatoria di 40 minuti preceduta da una forte esplosione. E’ evidente che c’è stato un supporto da parte dei pakistani.
  4. Alcuni video amatoriali mostrebbero un elicottero diverso dal Black Hawk, che la Casa Bianca afferma essere stati utilizzati per l’operazione.
  5. Sono stati necessari oltre 70 Navy Seals e 40 minuti di combattimento per abbattere gli uomini della guardia del corpo, che la Casa Bianca quantifica, però, in sole cinque unità, incluso il figlio diciottenne di Bin Laden.
  6. Nel flusso di informazioni tra i Navy Seals e la Casa Bianca c’è stato un black out di 20 minuti, proprio nella fase cruciale dell’attacco, come rivelato dal direttore della Cia, Leon Panetta,
  7. Non viene ancora diffusa alcuna immagine che comprovi la morte di Osama o la cattura dei suoi familiari. Gli USA si rifiutano dire prove, giustificandosi col fatto che sono troppo cruente.
  8. Bin Laden è stato riconosciuto in base ad un test del DNA, affidabile al 99% secondo la Casa Bianca, senza considerare che in assenza di fratelli (come per Osama) l’affidabilità dei test crolla sotto il 90%.
  9. Una delle mogli sarebbe stata usata come scudo umano, questa una delle prime notizie, poi cambiata in un più credibile ferita da una raffica mentre assaliva (a mani nude?) un Navy Seal.
  10. Nel “covo” c’erano altre mogli di Osama e numerosi bambini, che sono stati legati e portati via dai militari americani in una località sconosciuta, dopo aver assistito all’esecuzione del padre: un’azione fermamente vietata dalla Carta per i diritti dell’infanzia.
  11. Dulcis in fundo, “Osama Bin Laden è stato catturato vivo e poi ucciso”, cosa in contrasto con la Convenzione di Ginevra, se parliamo di un combattente, e col diritto ad un giusto processo, come sancito da qualunque costituzione democratica, se parlassimo di un criminale.

Fermo restante che il “principe del terrore” è certamente morto, quanto contribuiranno al suo mito la sete di vendetta statunitense e l’ansia di manipolazione dei servizi segreti USA?

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