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Salvini: perché tanta Destra non lo vorrebbe come ministro?

6 Ott

Mentre il mondo avrebbe bisogno di Mario Draghi per dipanare la matassa ucraino-russa e magari anche quella tedesco-ungherese, Giorgia Meloni arranca nella formazione di un governo ‘grazie’ al suo alleato Matteo Salvini.

E se Matteo Salvini come ministro in un governo è una bomba ad orologeria, come sa bene Giuseppe Conte, ritrovarselo a di fuori a fare sostegno esterno è una mina vagante, come Mario Draghi può confermare. E vediamo perchè.

Innanzitutto, Salvini è l’uomo che ha scelto di trasformare in leader politico nazionale uno sconosciuto avvocato di provincia, Giuseppe Conte, creando le premesse per la sopravvivenza del Movimento Cinque Stelle e la sua trasformazione in un partito ad personam.
Certamente, un errore politico decisivo non è di per se un ‘veto’ al ruolo di ministro, ma l’aver creato dal nulla il maggior antagonista è un demerito epocale in politica.

Poi, c’è che Matteo qualche passaggio giudiziario decisamente infelice ce l’avrebbe e non parliamo degli eccessi contro le Organizzazioni Non Governative o della violazione di diritti privati (copyright), ma dei 497 milioni di finanziamenti pubblici sottratti indebitamente allo Stato, per cui lui come segretario nazionale della Lega non si costituì parte civile … contro Bossi che ce lo ritroviamo in Senato, dopo che nel 2018 è stato condannato a 1 anno e 10 mesi proprio per quei 49 milioni.

Infine, c’è quel Salvini che ammira Putin e il suo modo di governare.
Non quello che vagava per la Piazza Rossa con Putin in divisa militare stampato sulla maglietta (pochi mesi prima della guerra), ma quello che durante la guerra e mentre la Lega appoggiava la Nato …. indossava una felpa in cui era “contro le sanzioni alla Russia”.

Poi c’è il ‘resto’ ed è tanto.
Ad esempio, c’è quello che il 12 gennaio 2022 contava che “il prossimo presidente del Consiglio sia Mario Draghi e che si continui a lavorare con lui”, ma annunciava ” una crescente insofferenza” già il 15 giugno 2022, dopo solo cinque mesi e con una guerra che a gennaio non c’era.

Come c’è stato quel Salvini che il 3 febbraio 2019 che difendeva il premier Giuseppe Conte dagli attacchi di Guy Verhofstadt, leader dei liberali europei, e quell’altro che a fine marzo 2019 invitava il premier a “fare di più” per sentirsi rispondere “si rimbocchi le maniche”, vista tra l’altro la scarsa presenza al ministero.

E, tra le tante e varie, c’è persino il Salvini che il 7 aprile 2021 si spendeva a favore di Ursula Von der Leyen e quello che ne chiedeva le dimissioni il 23 settembre 2022.

Demata

Quale ministero per Salvini

29 Set

Un ministero per Matteo Salvini è la prima grana che il governo di centrodestra si trova ad affrontare.  il Consiglio Federale della Lega lo candida per “un ruolo importante nel governo” e lui vorrebbe il Viminale.

Ma ricollocare Salvini al Ministero degli Interni sarebbe pura follia, non solo per le bagarre internazionali che ha scatenato 3 anni fa e le sanzioni che oggi arriverebbero all’istante, ma soprattutto perché c’è una guerra, il Viminale si occupa di sicurezza dello Stato e lui è (stato) un simpatizzante di Putin. Ed, a parte, c’è che da ministro nel 2019 svolse solo 17 giorni pieni di lavoro su 365 in un anno, stando a La Repubblica (link).

Infatti, “la leader di Fratelli d’Italia ha già fatto intendere il messaggio a via Bellerio. Che il segretario possa tornare a sedere sull’amata poltrona di ministro dell’Interno è escluso. Così com’è escluso che Meloni si lasci affiancare da un sottosegretario alla presidenza del Consiglio targato Lega“. (link)

Tenuto anche conto che Matteo Salvini finora ha dimostrato una forte idiosincrasia per il lavoro d’ufficio tanto quanto ha una propensione per le piazze, è evidente che diventa molto difficile trovargli una collocazione ‘amministrativa’ (tale è un ministro).

Infatti, è difficile immaginare cosa Salvini possa amministrare, se

  • gli Affari Regionali è impossibile, con una condanna per razzismo contro i napoletani (link), come per i Rapporti col Parlamento dove c’è da interagire positivamente con l’Opposizione, peggio ancora la Sanità viste le sue posizioni sui vaccini (link)
  • l’Istruzione o l’Università sono settori dove comunque Salvini finora non ha mostrato dimestichezza e dove le sue esternazioni susciterebbero scioperi e tensioni di piazza
  • qualsiasi ministero a rilevanza economica-finanziaria (Ambiente incluso) esige una cultura storico-giuridica e delle competenze tecniche d’eccellenza
  • gli Esteri e altre posizioni a rilevanza internazionale – a parte la scarsa presenza – sono preclusi dalla condanna in Germania per violazione del copyright, che lì è una cosa seria.

Resta solo l’Agricoltura, decurtata dell’Ambiente e magari anche dell’Industria Agroalimentare, dove l’ex ministro degli Interni si ritroverebbe con gli stessi limiti che sussistono per gli Affari regionali o l’Università.

Agricoltura che – tra l’altro – darebbe a Matteo Salvini la possibilità di dimostrare il suo potenziale nel riprendersi consensi tra la gente e fiducia nel partito.

Infatti, il Ministero dell’Agricoltura alla Lega rappresenterebbe il vettore perfetto per Salvini per intaccare e/o conquistare i consensi che PD e M5S hanno costruito nel Meridione.
Ma non solo: occupandosi di Agricoltura, Matteo Salvini dovrà impegnarsi anche nella lotta al Caporalato, che oggi vessa tanti stranieri immigrati, consentendogli una opportunità unica per smentire l’immagine di razzista xenofobo che media e sinistra gli hanno appiccicato addosso.

Riuscirà Matteo Salvini ad accettare le opportunità (non gradite) che gli offre il Destino oppure resterà la spina nel fianco dei governi di cui fa parte la Lega?

A.G.

Letta bis: cambiar tutto per non cambiar niente?

13 Gen

«Governo avanti ma non così, 15 giorni decisivi. Forza Italia non si può escludere. Berlusconi? Se serve, lo incontrerò», così sintetizza il pensiero di Matteo Renzi (a nome del Partito Democratico tutto) il titolo del Corriere della sera on line, ma, secondo La Stampa, sul «Doppio turno, nel Pd fronda contro Renzi».

«De Girolamo in Parlamento. Il Pd chiede chiarimenti. Rimpasto sempre più vicino», questa la testata di La Repubblica on line, mentre Il Messaggero conferma: «Governo, squadra e agenda nuova: pronto il piano per il Letta bis».

L’idea prevalente tra i nostri politici è quella che – dopo lo strappo di Forza Italia e l’affermazione di Matteo Renzi – non si possono sostituire solo alcuni ministri con un’operazione chirurgica, ma vada azzerata e ricomposta l’intera compagine ministeriale.

Per far cosa non si sa, ma quello che conta è l’importanza dei ministeri che vedrebbero un quasi sicuro cambio di inquilino: Sviluppo (Flavio Zanonato) e Lavoro (Enrico Giovannini), Interni (Angelino Alfano), Economia (Fabrizio Saccomanni), Agricoltura (Nunzia De Girolamo), Giustizia (Anna Maria Cancellieri) ed Esteri (Emma Bonino).

Quello che ‘non conta’ è che – a partire dal 7 novembre  2010, quando Futuro e Libertà uscì dalla maggioranza di governo dissentendo dalla politia economica del ministro Tremonti – abbiamo avuto tre governi in 38 mesi, di cui almeno la metà trascorsi nello stallo più totale, attendendo il rinnovo o le elezioni.
Proprio come oggi e, attendendo la riforma del Porcellum, per i prossimi mesi …

“Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente”, Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1956)

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Gli immigrati vanno verso lidi migliori?

14 Gen

Sono oltre 800.000 i posti di lavoro creati in Italia dalle circa 430.000  imprese con titolare straniero esistenti in Italia. Praticamente, gli immigrati lo stipendio se lo pagano da soli e lasciano, tra tasse e previdenza, preziosi euro nelle casse italiane.

L’elaborazione, pubblicata dalla Camera di Commercio di Milano, riporta i dati rilevabili dal Registro delle imprese esistenti nel secondo trimestre 2012 e comprova che quelle gestite da stranieri forniscono lavoro al 3,7% degli occupati nel settore privato italiano, una percentuale che raggiunge il 10,5% se parliamo delle ditte individuali (microimprese).

Roma è la provincia italiana con più imprese con titolare straniero (quasi 40.000), seguita da Milano (33 mila) e Torino (quasi 21 mila), ma è Milano la prima per numero di addetti con oltre 91 mila posti di lavoro, seguita da Roma (quasi 70 mila) e Torino (33 mila).

Spiccano, per numero di addetti, le province di Firenze (oltre 25 mila), Brescia (24 mila) e Prato (quasi 20 mila). Un fenomeno di ‘sostituzione/sovrapposizione’ alla nostra imprenditoria che inizia ad essere vistoso, in particolare, a Prato dove su 100 posti lavoro, 20 sono creati da imprese con titolare straniero. Una situazione, increscita, che vede situazioni incrementali anche a Teramo (incidenza: 7,7%), Imperia (6,7%), Firenze (6,7%), Lodi (6,5%) e Gorizia (6,4%).

imprese immigrati 2009

Secondo il Rapporto Annuale sull’Economia dell’Immigrazione realizzato dalla Fondazione Leone Moressa e patrocinato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e dal Ministero degli Affari Esteri, sono poco meno di 100.000 le imprese condotte da stranieri, esistenti nel nel NordEst.
Esse producono il 6,4% del Pil del territorio, assorbono 581.000 gli occupati (11,6% del totale) e una retribuzione mensile inferiore di 255 euro rispetto agli italiani.  Sono circa 70.000 gli immigrati disoccupati (il 28,1% del totale) e oltre il 40% delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà.

Una situazione promettente ma non lusinghiera che, se l’Italia non decide di imboccare la via dell’efficienza e dell’efficacia, rischia di compromettere ulteriormente il sempre più magro bilancio produttivo italiano.
Infatti, secondo il Financial Times è in corso un vero e proprio esodo dall’Italia da parte degli immigrati – come confermerebbe l’OCSE (- 3,3% di stranieri occupati del biennio 2010-2011) – e, secondo Banca d’Italia, gli invii di denaro all’estero sono calati di oltre 7 miliardi di euro nel 2012.

Immigrati che non vanno via a cuor leggero, se investono nella loro scelta italiana, specie se portano seco le famiglie, rinverdendo il bilancio demografico del nostro paese, e che rischierebbero volentieri il proprio futuro se noi ‘indigeni’ si decidesse di risistemare il nostro paese e se a loro ‘invasori’ fosse concesso il voto alle amministrative, visto che pagano tasse, tributi e IMU, oltre che a produrre reddito e bambini.

Bisognerà pensarci più prima che poi.

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Il Centroitalia in stato di calamità

12 Feb

L’Appennino centromeridionale è sommerso dalla neve.
Come al Passo del Furlo, dove si combatte da almeno una settimana contro una bufera ignorata dai media, oppure per le centinaia di persone sfollate dalle piccole frazioni della Romagna.

O come nell’Avellinese dove, oltre agli sgomberi di edifici,  l’accumulo di neve sui tetti ne ha messo a rischio la staticità e le strade del centro sono transennate per la caduta delle grandi lastre di ghiaccio, che si staccano dai tetti e dai balconi, con tantissime auto danneggiate.
Inoltre, almeno una ventina di comuni dell’Alta Irpinia sono senza acqua, a causa di un black out verificatosi agli impianti dell’Acquedotto Pugliese, e nella stessa situazione sono i comuni di Aquilonia, Bisaccia, Lacedonia, Monteverde, Cairano.
Praticamente isolata l’Irpinia, dove sono chiuse molte strade che servono a collegare i centri della Valle Peligna, dell’Alto Sangro,  Pescina, Villetta Barrea, Opi, Scanno, Anversa degli Abruzzi, S. Donato val di Comino (Frosinone).

Anche la Toscana ha i suoi problemi e risultano semi-isolati Gamberaldi, Lutirano, Campigno, Firenzuola, Vacchiella, Eremo Santa Maria, Greta. Mugello è semi-isolato e problemi seri si riscontrano anche a Palazzuolo. In provincia di Pistoia, ma non solo, a causa del congelamento delle tubazioni, alcune aree montane sono senz’acqua potabile.

Nel Teramano, dove la situazione è particolarmente critica, intere frazioni sono rimaste sepolte dalla neve, che è caduta ininterrottamente per circa 24 ore.
Nelle provincie di Pesaro e Urbino nevica quasi ininterrottamente dal 3 febbraio scorso e “la situazione è drammatica”, specialmente a  Mercatino Conca, Sassofeltrio, Monte Cerignone e Montegrimano, con più di 3 metri di neve nell`entroterra.
Addirittura, Urbino ha rischiato di restare isolata e la situazione è piuttosto critica nelle frazioni più periferiche di Umbertide, Preggio, Olivello, Racchiusole, Caicocci, Santa Lucia Castelvecchio, Sant’Anna e Spedalicchio.

Anche Chieti, Francavilla al Mare, Cappelle sul Tavo e Spoltore, in Abruzzo, sono senz’acqua a causa del gelo delle sorgenti e delle riduzioni di portata dell’acquedotto. E nella sola Regione Lazio, si contano ben 150.000 utenze dell’Enel distaccate per il freddo con effetti sulla telefonia, fissa e mobile.

Questa è una breve ed incompleta lista dei luoghi dove neve, vento e ghiaccio hanno raggiunto l’entità di “evento calamitoso”.

Una lunga lista alla quale va aggiunto che il blocco dei mezzi pesanti, l’impercorribilità delle strade e le enormi difficoltà per raggiungere le aziende agricole hanno fatto crollare del 40 per cento le consegne dei prodotti alimentari freschi (frutta, verdura, carne, latte, latticini, uova) dalle campagne ai mercati all’ingrosso rispetto al quantitativo medio abituale.
E che, le nevicate hanno danneggiato le colture d’olivo – appena potate – e portato i consumi energetici (ed i costi) dei vivai e delle serre alle stelle.

Oppure, ancora, che sono milioni e milioni le ore di lavoro perdute e saranno di miliardi le spese che l’Italia ed i singoli italiani dovranno affrontare per ripristinare le zone e le cose disastrate e per intervenire, soprattutto, contro il dissesto idrogeologico ed il degrado infrastrutturale, che incombe sulla sicurezza dei cittadini e delle imprese.

Un governo “iniquo” – vedi George Walker Bush a New Orleans – “non commenta” e manda l’esercito … un governo “equo” avrebbe già fatto la sua parte attivando – e sostenendo finanziariamente – le reti di solidarietà sociale e civile.

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Equità: una questione di stile, ma anche di cittadinanza.

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Cedere le Terre di Stato: una bella idea da verificare

22 Ott

Si inizia a parlare, finalmente, di agricoltura. Si parte dalle cosiddette “terre di Stato”, ovvero dei 338.127,51 ettari di terreno coltivabile, in termini tecnici Sau, che attualmente sono di proprietà dello Stato e sono sottoutilizzati.

“La Coldiretti ha presentato una proposta: vendete questa terra ai contadini, servirà anche a permettere l’accesso alle campagne a nuovi agricoltori, soprattutto giovani. E lo Stato, in cambio, incasserebbe una bella cifra: 6 miliardi e 221 milioni di euro.”

Lo riporta La Repubblica, confermando, stranamente sottolineature,  il “si può fare” del ministro Romano, proprio quello quello indagato per mafia, che passando dall’opposizione al PdL salvò Berlusconi tempo fa. Strano vero?

350mila ettari ceduti ad imprese in grado di investire ed essere produttive per di difendere l’occupazione ed il made in Italy o dispersi tra una miriade (centomila o quanti?) di “contadini”, “nuovi agricoltori”, “soprattutto giovani” che vivranno di sussidi e marachelle in balia dei soliti prepotenti?

L’idea di “incassare 6 miliardi e rotti di Euro” è allettante per l’Italia e per l’Europa, ma siamo sicuri che il “sistema agroalimentare”, nel tempo, non ci verrebbe a costare di più, se la cessione dovesse attuarsi senza intervenire complessivamente sull’agricoltura, sulle aziende agricole e sui sussidi, sulle leggi che normano il settore, sul necessario protezionismo che l’UE dovrà attuare a fronte di un’enorme immissione sul mercato di terreni coltivabili?

Quali aiuti ed incentivi risulteranno “sani” e quali “perversi”? Come reagiranno i mercati ed i prezzi? Quali studi di settore? Oppure ritorneremo alla mera sussistenza col pretesto di “aiutare i giovani”? Ed il rischio del riciclaggio e delle mafie?

Le prospettive, infatti, possono essere piuttosto lusinghiere od affatto, a seconda di quale impianto normativo dovesse accogliere, strutturare e rilanciare l’ingigantito sistema agroalimentare italiano che, a dire il vero, aspetta ancora le riforme promesse da Garibaldi per sollevare i Siciliani.

Basti dire che, oggi, l’agricoltura contribuisce al PIL nazionale per il solo 4% e che, con l’attuale livello di produttività, liberare 350.000 ettari significherebbe creare un ulteriore esercito di sussidiati e di sfruttati, dalle quote latte alle coop, ai consorzi ed alle “aziende familiari”, dai mercati all’ingrosso al lavoro nero dei migranti ed il caporalato.

Si pensi, ad esempio, ad una famiglia di un piccolo proprietario di 20 ettari coltivabili, che ne affitta la parte eccedente a quella per rientrare nei limiti della conduzione familiare per poi incassare ogni genere di sussidio … coltivando poco e nulla di quello che possiede. Oppure alle Coop, che a vedere l’elenco dei soci si capisce subito di trovarsi dinanzi ad una azienda di famiglia di medie dimensioni. Od, infine, alla frutta che troviamo ormai in tutti i supermercati, che è stata palesemente colta ben prima della completa maturazione e non se ne spiega il motivo, se non in una pessima distribuzione, visto che i campi da cui proviene sono spesso a meno di duecento chilometri. Per non parlare di quanto ci costano le calamità naturali a causa della scarsa consutudine a stipulare polizze assicurative. Sono tutti elementi che strutture come il MEF, Bankitalia o ISTAT, ma anche l’UE, possono, anche celermente, misurare o comunque stimare, sempre che non ne siano già in possesso.

La cessione delle terre di Stato è talmente massiva da richiedere una propedeutica riforma del sistema agroalimentare italiano.

Il modello a cui far riferimento, almeno in termini di mercato, è quello californiano, con coltivazioni al possibile estensive e sempre di buona qualità, strutture aziendali fortemente finalizzate al marketing e leggi che facilitano, ad esempio, i permessi da frontalieri per i messicani che lavorano nei campi.

La proposta di Coldiretti va ri-letta, dunque, in un’ottica che faciliti la concentrazione sia per una migliore produttività delle coltivazioni o per ottenere una maggiore e più stabile penetrazione nei marcati esteri, sia per avere quella forza contrattuale necessaria per contrastare le lobby che controllano i mercati logistici e per riassorbire i danni di calamità e crisi di mercato.

Quanto alla cessione delle “terre di Stato”, è opportuno che si obblighino  i privati ad investire in funzione degli incentivi statali ottenuti e che i controlli siano rigidi, se si vuole evitare non solo lo spadroneggiare delle mafie , gli sgravi per le holding cooperative od il sacco dei sussidi per l’agricoltura, per non parlare di potenziali nuove cementificazioni, ma soprattutto evitare lo sfruttamento di giovani ed immigrati, che possono essere tutelati solo da una norma che reintroduca la mezzadria, semplifichi i contratti “a giornata” e democratizzi associazioni, consorzi e sindacati.

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Carta d’identità elettronica, arriva il Grande Fratello

6 Mag

Sta destando notevole scalpore internazionale l’articolo pubblicato sulla rivista del Partito comunista cinese «Qiushi» (Ricerca della verità), dove si propone di creare un database unificato che “schedi” ben 1,34 miliardi di cinesi.

La proposta arriva da Zhou Yongkang, ex-ministro della Pubblica Sicurezza e  membro del Politburo, che vorrebbe creare una supercarta d’identità per garantire la «stabilità sociale» e «l’amministrazione della società»: in due parole, il controllo sociale.

In questo modo, con un unico identificativo (come fosse il codice fiscale che usiamo in Italia) sarà possibile accedere ai dati riguardanti il livello di istruzione, il curriculum lavorativo e quello fiscale, i dati anagrafici e familiari, la storia medica di ognuno, i telefoni, gli immobili e gli autoveicoli.

Grande Fratello in Cina? No, in Italia.

L’allarmante notizia di una tale proposta arriva proprio mentre in Italia si decreta il Piano di Sviluppo, che prevede la carta di identità elettronica,  “documento obbligatorio di identificazione” anche per i neonati, da unificare  con la tessera sanitaria, a sua volta correlata al codice fiscale, con il rilevamento obbligatorio delle impronte digitali per i minori dai 12 anni.

E la privacy? Lo stato di diritto? La costituzione?

Che fine faranno?

Un parlamento di sottosegretari al governo

5 Mag

Sono nove i nuovi sottosegretari del governo presieduto da Silvio Berlusconi: Daniela Melchiorre e Catia Polidori allo Sviluppo Economico, Bruno Cesario e Antonio Gentile all’Economia, Aurelio Misiti alle Infrastrutture, Giampiero Catone all’Ambiente, Riccardo Villari ai Beni Culturali, Roberto Rosso all’Agricoltura, Luca Bellotti al Welfare, .
A loro si aggiunge Massimo Calearo, che è stato nominato “solo” consigliere personale del presidente del Consiglio per il Commercio estero e non sottosegretario, in quanto avrebbe comportato la necessità di abbandonare la presidenza della Calearo Group, in palese conflitto di interessi.

Riccardo Villari è entrato in politica alla fine degli anni ’80, nell’entourage democristiano di Vincenzo Scotti, ed è stato eletto nel 2008 al Senato nelle liste del Partito Democratico, che lo espellerà nel 2009. Sarà uno dei fondatori di Coesione Nazionale, raggruppamento al Senato “gemello” dei Responsabili, dopo una breve permanenza nel Movimento per le Autonomie (MPA) di Raffaele Lombardo
Giampiero Catone, nel 2001 era Capo della Segreteria del Ministro per le Politiche Comunitarie Rocco Buttiglione, nel 2006 è eletto deputato alla Camera nella lista di Forza Italia e aderisce al gruppo Democrazia Cristiana per le autonomie – Nuovo Psi. Dopo aver aderito, insieme ai suoi circoli, a Futuro e Libertà per l’Italia, è tra coloro che voteranno, poi, contro la sfiducia al Governo.
Antonio Gentile, eletto senatore alle elezioni politiche del 2001 nel collegio uninominale di Cosenza come candidato della Casa delle Libertà, è uno dei senatori più arrivi e presenti secondo le statistiche di Openpolis.
Aurelio Salvatore Misiti ha iniziato la sua carriera politica negli anni ’60, militando nel PCI e diventando segretario nazionale della CGIL Scuola-Università. Nel 2006 è eletto con Italia dei Valori e nel 2010 passa con il Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo, giusto in tempo per salvare col suo voto la maggioranza.
Bruno Cesario nasce politicamente nella Democrazia Cristiana ed elezioni politiche del 2008 viene eletto alla Camera dei deputati nella lista del Partito Democratico. Nel 2010 dà vita al Movimento di Responsabilità Nazionale in supporto al governo di centrodestra.
Catia Polidori, imprenditrice di professione, nel 2008 è eletta alla Camera dei deputati nelle liste di Alleanza Nazionale. Dopo una momentanea adesione a Futuro e Libertà, rientra nella maggioranza a sorpresa votando contro la sfiducia a Berlusconi.
Daniela Melchiorre è stata presidente de La Margherita di Milano  e quindi componente della Direzione Nazionale, nonchè Sottosegretario alla giustizia del governo Prodi bis. Eletta nel 2008 nelle liste dei Liberal Democratici Riformisti, rientra nei ranghi del PdL dopo una breve confluenza nel “Polo della Nazione”,insieme a FLI, UDC, MpA, ApI, PLI e repubblicani.
Luca Bellotti è stato presidente provinciale di Alleanza Nazionale a Rovigo, nel 2008 è eletto alla Camera nelle liste di AN. Dopo aver aderito al gruppo di Futuro e Libertà per l’Italia, rientra subitaneamente nel PdL.
Roberto Rosso a 19 anni è già consigliere comunale in quota alla Democrazia Cristiana. Dopo Tangentopoli entra in Forza Italia, salvo la breve diaspora nel gruppo di Futuro e Libertà per l’Italia.
Massimo Calearo Ciman, imprenditore eletto nel 2008 nel PD di Walter Veltroni, dopo aver lasciato il partito nel 2009, fonda, nel 2010, il Movimento di Responsabilità Nazionale con Bruno Cesario e Domenico Scilipoti.

Questa pattuglia di coerenti ed indispensabili governanti va ad aggiungersi a quanti (ministri e sottosegretari) sono stati nominati alla spicciolata nel corso del 2010: Francesco Saverio Romano (UDC), Paolo Romani (PdL), Giancarlo Galan (PdL), Daniela Santanché (La Destra), Andrea Augello (AN), Laura Ravetto (PdL), Francesco Belsito (Lega Nord), Sonia Viale (Lega Nord), Nello Musumeci (La Destra), Francesca Martini (Lega Nord), Eugenia Roccella (PdL), Guido Viceconte (PdL).

Intanto, i vitalizi per i parlamentari in “servizio” ed in “pensione” (eredi inclusi) ci costano oltre 5 miliardi di Euro l’anno … un sottosegretario, solo di stipendi, ci costa quasi 18mila euro al mese e, secondo Silvio, ce ne meritiamo altri dieci a breve.

Vinitaly, si potrebbe fare di più

8 Apr

Con la rassegna annuale del vino, Vinitaly di Verona, arrivano i primi dati sulla situazione di un settore che rappresenta la maggior voce attiva del comparto agroalimentare nazionale con un lusinhiero +11%.
Non tantissimo, se parliamo di quasi 4 miliardi di euro, ovvero meno dello 0,1% del PIL italiano, ma comunque un raggio di sole in un sistema agroalimentare straziato dal sistema clientelare dei sussidi e dal lavoro nero dei migranti.

REGIONI D.O.C. e D.O.C.G. I.G.T. Da tavola Totale %
ITALIA 14.794.424 12.598.401 19.723.822 47.116.647
NORD 8.294.786 7.314.564 4.272.189 19.881.539 42,20%
CENTRO 3.498.829 2.029.518 1.914.141 7.442.488 15,80%
SUD 3.000.809 3.254.319 13.537.492 19.792.620 42,01%
REGIONI D.O.C. e D.O.C.G. I.G.T. Da tavola Totale %
ITALIA 14794424 12598401 19723822 47116647
NORD 8294786 7314564 4272189 19881539 42,20%
CENTRO 3498829 2029518 1914141 7442488 15,80%
MEZZOGIORNO 3000809 3254319 13537492 19792620 42,01%

 

Le cattive notizie sono diverse.
Nel complesso esportiamo 22 milioni di ettolitri, equivalenti a poco meno di 3 miliardi di bottiglie da 75cl. Il volume di mercato, indotto incluso, è di oltre 13 miliardi di euro con ben 1,2 milioni di addetti.

Questo significa diverse cose:

  • almeno 500mila bottiglie di vetro in circolazione in un paese che non brilla nè per le politiche ambientali nè per quelle energetiche
  • una milionata di lavoratori che “vive” con una decina di miliardi, che fanno solo 10mila euro annui a testa di media
  • un consumo interno di alcolici che, considerato che c’è tanta gente che non beve vino, per tanti altri si attesta ben oltre la bottiglia al giorno.

Aggiungiamo che, oggi, solo 700mila ettari sono coltivati a vigna, rispetto alla milionata del passato recente, e che le aziende iniziano a raggiungere dimensioni mediamente superiori ai 3 ettari.
Un dato apparentemente positivo, visto che la produttività è aumentata, che, però, pone seri imperativi sulla riforma dello status di consorzi e cooperative, visto che ormai sono strutturati come e più delle normali aziende, ma godono di consistenti agevolazioni fiscali e fideiussorie.

La buona notizia è che le esportazioni enologiche verso Brasile, India, Cina e Russia hanno, nel 2010, compensato le perdite del 2009, causate dalla contrazione del mercato italiano, ed è ragionevole credere che ormai assorbano quasi un quarto della nostra produzione.

Ma anche in questo caso, un’Italia declinante e tardiva tralasciare che con soli 700mila ettari tagliati in un rivolo di parcelle rurali non potremo mai essere competitivi con le grandi estensioni australiane, argentine o californiane.

A proposito, perchè fare Vinitaly a Verona, mentre i terreni su cui espandere produzione e produttività sono al Sud, dove Puglia e Sicilia, attualmente alla pari con il Veneto e l’Emilia Romagna nella produzione, tanto potrebbero migliorare nella qualità e redditività?

Non è nel Veneto che possiamo espandere il settore vinicolo, ma proprio questo potrebbe essere il motivo per cui il Governatore Zaia, ex ministro per le politiche agricole, si tiene ben stretto Vinitaly ed i vini DOC di casa sua.

A quando i reclami di Vendola e Lombardo?