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Federalismo demaniale, la speculazione del secolo?

18 Mag

Il federalismo demaniale è stato introdotto in Italia con la Legge 42 del 2009 e messo in attuazione tramite il il d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, che prevede il trasferimento agli enti territoriali (Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni) di una copiosa messe di beni immobili.

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Stiamo parlando dei beni:

  • appartenenti al demanio marittimo e relative pertinenze;
  • appartenenti al demanio idrico e relative pertinenze, nonché delle opere idrauliche e di bonifica di competenza statale;
  • aeroporti di interesse regionale o locale;
  • miniere, cave e torbiere;
  • altri immobili dello Stato, tra cui quelli del Ministero delle difesa non utilizzati per la sicurezza nazionale.

Un patrimonio enorme, composto da spiagge e approdi, laghi, corsi d’acqua e boschi, tanti edifici spesso di grande pregio e centralità.

Non è un caso che, dopo aver fatto la legge, i nostri politici non riescano a comporre in modo risolutivo la “white list”, vuoi perchè gli interessi speculativi sono enormi vuoi perchè i Comuni non sono affatto in grado di manutentare e gestire questo patrimonio.

Complimenti, dunque, a legislatori e parlamento, mentre prendiamo atto che i “suddetti immobili” sono risorse, denaro e lavoro e … stanno fermi.

Dicevamo degli edifici e le unità immobiliari e aggiungiamo che pochi giorni fa, dopo le veementi proteste dell’ANCI, l’associazione dei Comuni, la “white list” è stata pubblicata.

immagine da “Il federalismo demaniale” di Antoniol Marco – ed. Exeo

E così si arriva al Protocollo d’intesa siglato fra la Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) e l’Agenzia del Demanio, che “si impegnano ad una collaborazione tecnico-operativa costante, al fine di valorizzare il patrimonio immobiliare dello Stato e degli Enti locali”, prevedendo, “per gli anni 2012-2013, il Programma di interventi prevede l’individuazione di best practices per la definizione di linee guida operative da applicare ai processi di valorizzazione degli immobili pubblici e lo svolgimento di attivita’ formative al fine di condividere e implementare competenze specifiche in materia di gestione e sviluppo di patrimoni immobiliari.”

Dunque, qualunque cosa accadrà, fino al 2014, Stato e Comuni staranno lì a definire best practices ed implementare competenze, mentre la cosa più ovvia, dinanzi ad un tale pasticcio, sarebbe stata quella di trasferire (per due anni o per sempre) ai Comuni il personale demaniale già esperto.

E, aggiungiamo, che questo “congelamento” di un patrimonio immobiliare enorme che doveva esser già dismesso è un vero e proprio spreco, come denuncia l’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale dell’ANCI stessa, parlando di “limbo per 12 mila immobili pubblici che blocca la valorizzazione di beni congelati che valgono 3 miliardi di Euro”.

Lo stesso IFEL-ANCI riferisce che “secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, il governo sarebbe pronto a inserire in un prossimo provvedimento una norma che renda disponibili per l’Agenzia del demanio guidata da Stefano Scalera, i beni inseriti nella white list. Una volta costituiti i fondi, la dismissione degli immobili avverrebbe a valle della loro valorizzazione.”

Un passo indietro del Governo, giustificato – evidentemente – dalle pessime notizie giudiziarie che arrivano delle gestioni delle ex-municipalizzate e dallo scarso senso dello Stato che questi partiti e questi politici stanno dimostrando, non attuando le principali richieste cha arrivano dalla nazione, ovvero legge elettorale, abolizione delle Provincie, riduzione di prebende, vitalizi e rimborsi, eccetera.

Non a caso, l’Anci, l’Associazione dei Comuni,  ha presentato da tempo una proposta al Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo “la costituzione di uno o più fondi, sia mobiliari che immobiliari, nei quali apportare immobili e partecipazioni azionarie”.

Fondi mobiliari, partecipazioni azionarie … se ne parlava proprio ieri a proposito del Comune di Bologna, del conglomerato di ex-municipalizzate denominato Hera e delle speculazioni mobiliari ed immobiliari dei Casalesi. Se ne è parlava, mesi prima, a proposito di Lombardia e nDragheta.

Che i potenti sindaci riuniti nell’ANCI andassero, dunque, a consultare qualche statistica giudiziaria e prendano atto che “fondi mobiliari e partecipazioni azionarie” hanno le gambe corte e soprattutto “storte”, se si parla di patrimonio pubblico.

Il federalismo demaniale può rivelarsi una speculazione mobiliare e immobiliare degna di quella attuata nel ventennio successivo all’Unità d’Italia, con probabili esiti di depauperamento di certi territori (il Meridione) e di facili arricchimenti per speculatori e gente di malaffare. Una speculazione che, in alcuni territori, andrebbe a contrarre il valore, già sminuito, degli immobili già esistenti e su cui tanti pagano ancora un mutuo.

Una dismissione “tout court”, se così diventasse, che si rappresenterebbe come una potenziale involuzione del processo corruttivo e lobbistico che è stato ampiamente accertato per le ex-municipalizzate.
Dunque, dopo “acqua, rifiuti ed energia” anche il  “suolo” va a privatizzarsi e, di questo passo, prima o poi, dovremo pagare anche l’aria.

Leggi anche Comune di Bologna: uno schema finanziario collaudato

originale postato su demata

Alfano ed il partito degli onesti

1 Lug

Alfano, eletto segretario del partito per acclamazione, saluta il pubblico con un esortazione generale: “il PdL diventi il partito degli onesti”.

Diventi? E cosa sarebbe ora?

Un lupanare od una loggia P3 e P4, come insiste la “solita” stampa di sinistra?

Bozza Tremonti: una presa in giro?

29 Giu

Non aveva neanche fatto in tempo a circolare ed ecco che il PD, per bocca di Pierluigi Bersani, bolla con un “è una presa in giro” la bozza delle “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, che il ministero presieduto da Giulio Tremonti vorrebbe presentare.

Si potrebbe essere propensi a credere che l’uscita del segretario nazionale del Partito Democratico sia eccessiva, ma la lettura della bozza (pubblicata da La Repubblica) lascia spazio a non poche perplessità.

Innanzitutto, la “spesa delle amministrazioni pubbliche”, piatto gliotto di una manovra che dovrebbe, innanzitutto, fermare l’emorragia di fondi verso strutture che, a prità di costi, offrono servizi ben inferiori a quelli di altri paesi europei.

Invece, si parla di monitoraggio, ovvero di “spending review”, mica di tagli e razionalizzazioni, e in caso di inadempimento (al monitoraggio, sic!) “l’amministrazione competente riduce la retribuzione di risultato dei dirigenti responsabili nella misura del 2 per cento”, che fa al massimo 1000 Euro. Utile aggiungere che, inspiegabilmente, scuole, università e ricerca sono escluse dallo spending rewiev.
Dal 2013, a quanto si comprende, la pubblica amministrazione dovrà attenersi ai limiti di spesa prefissata e “in presenza di uno scostamento rilevante dagli obiettivi indicati”, l’unica soluzione prevista è la possibilità di limitare, da parte del MEF, “l’assunzione di impegni di spesa o l’emissione di titoli di pagamento a carico del bilancio dello Stato”.  Stipendi inclusi?

Ovviamente, da questa prevedibile ordàlia di tagli non meglio qualificati, sono “esclusi gli enti territoriali e gli enti da questi vigilati”. Come se il problema, in solido, non fosse rappresentato proprio  dalla fame di assunzioni e di appalti dei nostri Comuni, Province e Regioni.

Per il resto, ovvero la manutenzione mica gli investimenti, si ritorna al Genio Civile, sotto l’egida della Agenzia del Demanio, si spera dotata di adeguate risorse, visto il dissesto in cui versa il Paese.

L’unica novità, in termini di utilità e rendimento effettivo della spesa, sembra essere una noticina che recita “gli interventi di piccola manutenzione sono curati direttamente dalle Amministrazioni utilizzatrici degli immobili, anche se di proprietà di terzi”, ovvero che le scuole eseguiranno in proprio quanto necessario. Sarà interessante verificare se questa norma resisterà fino alla pubblicazione in Gazzetta e se, soprattutto, verrà indicato a chi toccherà finanziare il quanto.
Come da 20 anni a questa parte sono annunciate “ulteriori misure di risparmio, razionalizzazione e qualificazione della spesa delle amministrazioni centrali anche attraverso la digitalizzazione e la semplificazione delle procedure”. Ci sarebbe da chiedersi come potrebbe mai essere possibile se non a partire dal dato che il numero di dirigenti, uffici e funzioni è incongruamente elevato?

C’è, poi, scorrendo il documento, la “saga” tutta italica degli enti pubblici, che furono aboliti almeno una generazione fa, che esistono ancora e che, a quanto pare, continueranno ad esistere.
Come per le pensioni, dove tutti gli interventi di riduzione o dilazione sono a carico di quelle a venire, mentre per quelle esistenti, le uniche innovazioni di rilievo sembrano essere, sic, l’obbligo contributivo per i pensionati che lavorano e il blocco degli aggiornamenti per le cosidette super-pensioni.
Oppure, la spesa sanitaria per la quale il testo della norma suona, nella sostanza, come un gigantesco “non ti pago”.
O le ferrovie, dove gli aumenti incombono su tutto il sistema delle TAV.

Più interessanti, viceversa, sono gli interventi sulla spesa per la giustizia che vede, finalmente, l’introduzione di articoli atti a disincentivare la miriade di istanze irricevibili, con il giudice che può condannare “la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000”.

Per il resto, la bozza “che dovrebbe salvare l’Italia” non è altro che il solito “mille proroghe”, con provvedimenti per la pesca o l’ANAS o ancora i tagli (ulteriori) alle infrastrutture oppure la liberalizzazione delle professioni od il riequilibrio del sistema delle telecomunicazioni.
Dulcis in fundo, riguardo il vaso di Pandora degli Enti Locali, se dovesse emergere che “il rispetto del patto di stabilità interno è stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite”, gli amministratori pagheranno “una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’indennità di carica percepita” e, “al responsabile del servizio economico-finanziario, una sanzione pecuniaria fino a 3 mensilità del trattamento retributivo”.

Al netto degli oneri fiscali e previdenziali, ovviamente.