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Aborto, divorzio e diritti: cosa cambierà?

23 Ott

Il 20 novembre 1989 quasi 200 nazioni ratificarono la Convenzione universale sui diritti del fan­ciullo, tra queste l’Italia che poi approvò anche la legge 27 maggio 1991, n. 176.

Dunque, sono 30 anni che vige la Convenzione per cui «il fanciullo, a causa della sua immaturità, ha bisogno di una protezione speciale, anche giuridica, sia prima che dopo la na­scita».

Cioè la Convenzione sui diritti del fanciullo si applica anche ai ‘nascituri’ (al ‘concepito’) come ai figli delle coppie che si separano. E i nostri codici ne tutelano solo per gli aspetti patrimoniali, nonostante l’articolo 22 della Costituzione stabilisca che «nessuno può essere privato […] della capacità giuri­dica », cioè della così detta ‘attitudine’ alla titolarità dei diritti.

Riguardo “i diritti dei figli nella separazione dei genitori” dal 2018 in Italia esiste una Carta apposita (LINK) a cura dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, che sancisce come i figli hanno diritto a:

  • al rispetto dei loro tempi per elaborare la separazione, per comprendere la nuova situazione, per adattarsi a vivere nel diverso equilibrio familiare, per abituarsi ai cambiamenti,
  • non essere coinvolti nei conflitti tra genitori,
  • essere ascoltati nelle decisioni assunte dai genitori,
  • ricevere spiegazioni sulle decisioni prese, in particolare quando divergenti rispetto alle loro richieste e ai desideri manifestati,
  • ricevere spiegazioni non contrastanti da parte dei genitori.

Non è difficile immaginare quale effetto avrebbero questi diritti sui doveri genitoriali e – soprattutto – sull’ampiezza di intervento di assistenti sociali e magistrati, se … questi diritti fossero effettivamente garantiti ai nostri bambini e/o adolescenti quando i genitori divorziano.
Ad esempio, corrispondendogli un risarcimento in proporzione al comportamento inaccettabile di uno o ambedue i genitori.

Riguardo i nascituri, è la stessa legge che consente l’aborto in Italia (legge 22 maggio 1978, n. 194) a sottolineare che lo Stato «tu­tela la vita umana fin dal suo inizio» (art. 1).
Infatti, già nel 1996 il Comitato nazionale di bioetica italiano (CNB) affermava: «il dovere mo­rale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone».

Questo comporta che l’aborto sia una decisione di un genitore (la madre) verso una “vita umana” ed una “persona”, come nella Legge 194 che, oltre a sancire la tutela della vita umana fin dal suo inizio,

  • garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile,
  • riconosce il valore sociale della maternità 
  • esclude che l’interruzione volontaria della gravidanza sia un mezzo per il controllo delle nascite,
  • ordina che i servizi socio-sanitari evitino che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

Dunque, a parte gli aborti per condizioni patologiche del nascituro e grave rischio per la salute fisica della madre, la Legge 104 consente “nei primi novanta giorni di gravidanza” la possibilità di abortire per propria scelta, ma solo a condizione che la donna “accusi circostanze che comporterebbero un serio pericolo per la sua salute psichica” in caso di parto.

Paradossalmente, la norma – dopo aver ben chiarito che è solo per cause di salute e non per limitare le nascite – consente l’aborto anche semplicemente in considerazione delle “condizioni economiche, o sociali o familiari” della madre, escludendo – anche in questi casi – che il padre del concepito sia titolare di alcun diritto sul feto. Del resto, anche nel caso di una coppia coniugata, nulla fa riferimento alla salute psichica del padre o alle sue condizioni in caso di parto come di aborto, .

A quarant’anni dalla sua adozione, resta ancora da garantire il pieno accesso alla gravidanza come prevista dalla legge (ed alla sua eventuale interruzione).

E così sarà finchè le Regioni non offriranno adeguati servizi di Consultorio previsti dall’art. 2 della legge 104, elidendo il proprio dovere ad assistere le situazioni problematiche ed a “superare le cause che possono portare all’interruzione della gravidanza” e continuando a precludere il diritto delle donne in stato di gravidanza alle informazioni e agli accessi per le opportunità, i diritti e i servizi previsti per le gestanti. Incluso il diritto ad assistenza durante la gestazione – specie se indigenti – ed il diritto di lasciare il bambino in affido all’ospedale per una successiva adozione e restare anonima.

Mancando tutto questo su un arco di 30 anni, come anche per quanto riguarda l’educazione all’uso sicuro di contraccettivi, resta solo da chiedersi quanto l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite e se sia questo … il motivo della diffusa obiezione di coscienza tra i professionisti sanitari.

Demata

Aborto: cosa ne sarà della democrazia liberale in USA?

25 Giu

La sentenza Roe vs. Wade della Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1973 introdusse un’interpretazione della Costituzione degli Stati Uniti a protezione della libertà di una donna incinta di scegliere di abortire, come aveva sancito il Regno Unito con Abortion Act del 1967.
A seguire, anche i parlamenti di Francia e Italia riconobbero lo stesso diritto, con la Legge Veil nel 1975 e la Legge 184 nel 1978, ma in USA quel diritto rimase una sentenza, non una legge né un emendamento.

E da quella sentenza Roe vs. Wade in 50 anni sono accadute tante cose.

Innanzitutto, le donne hanno ottenuto la libertà sessuale, ma solo quella, e di conseguenza l’emancipazione è regredita in antagonismo: oggi i movimenti Occupy, Gender e BLM rivendicano una dimensione di diritti ‘divergent’ per realizzare delle comuniutà ‘apart’.

Dunque, da una ‘public opinion’ orientata alla protezione e all’accoglienza verso i movimenti di tutela dei diritti si è passati negli anni ad una percezione di qualcosa di molto più aggressivo e destabilizzante … a cui opporsi “in difesa della civiltà”.

Intanto, si era passati da quella che era una richiesta di tutela di una condizione ‘non scelta’ (donna, lgbt, black eccetera) all’idea di una mera ‘scelta’ di uno stile di vita, cioè … una cosa sulla quale uno Stato e una Community ha tutto il diritto di metter becco, come da leggi e sentenze più o meno favorevoli.

Riepilogando, a differenza dell’Europa e del resto del Mondo, in USA il diritto all’aborto restava una sentenza costituzionale, mentre si passava dalla tutela delle diversità all’affermazione di un orgoglio (pride), cioè ad un ‘suprematismo’ dei diversi rispetto ai ‘normali’, dipinti come meno creativi, coraggiosi, avvantaggiati, socievoli eccetera.

E, soprattutto, all’avanzata di certi diritti corrispondeva la perdita di altri diritti.
In altre parole, ebbe corso una diffusa repressione delle sette religiose, iniziata 2-3 anni già prima la sentenza Roe vs. Wade, quando The Family di Manson compì la strage di Bel Air.
E tutto andò avanti finchè non accaddero il massacro di Waco nel 1993 e il conseguente attentato di Oklahoma City del 1995.

Due eventi che rappresentano un vero e proprio crocevia della storia americana e mondiale: se Waco ha ricordato agli americani perchè lì c’è un diritto a portare armi, Oklahoma ha dimostrato al mondo intero il prototipo ‘ideale’ dell’attacco terroristico ‘fatto in casa’.

E – a parte la distruzione della sede FBI di Oklahoma e la scoperta dell’homeland terror – dopo soli sei anni si verificò l’11 settembre, cioè gli USA si ritrovarono una parte dell’Islam a combatterli per quei costumi, quei diritti e quelle contraddizioni: inevitabilmente la religione metteva piede nella stanza ovale della Casa Bianca di G.W. Bush, visto che … era una guerra di religione.

Religione – quella di ‘Bibbia e Moschetto’ – che avrebbe anche potuto ritornare nelle proprie sedi con la rielezione del presidente, ma così non fu, dato che Obama prevalse alle primarie su Hillary anche ‘grazie’ al voto delle chiese evangeliche battiste afroamericane.
E fu sempre Obama che da presidente in carica tenne alcune lezioni magistrali sulle Scritture.

Dunque, non prendiamocela con la Corte Suprema statunitense, che non ha fatto altro che scoprire che “il Re è nudo” e … l’ha lasciato ‘nudo’.

In USA, la campagna elettorale presidenziale si rafforza nelle chiese e quella politica spesso inizia nei tribunali. Cioè ‘in nome di Dio’ e ‘a furor di popolo’.

Ma, se a breve termine la Politica statunitense non produrrà una riforma costituzionale per l’aborto come per le armi o la fecondazione eccetera, non resterà altro che prendere atto che la maggioranza degli statunitensi non lo vuole e … che i media USA non rappresentano adeguatamente la società ‘liberale’ che promuovono.

E l’aborto? Prima del quarto mese di gravidanza solo le religioni cristiane lo considerano un omicidio da punire come reato.
Potremmo iniziare almeno ad accettare che l’aborto entro il 3 mese di gravidanza è una questione di diritti religiosi di tutti e che il divieto assoluto è solo frutto della fede cristiana, praticata o meno che sia?
Nulla di liberale nè cosmopolita.

A.G.

Il biotestamento, la deontologia medica e la morale cattolica

21 Dic

 La legge sul Biotestamento non contiene una specifica disciplina in tema di obiezione di coscienza per i medici, dato che parliamo di un diritto individuale e personale che i malati terminali non sono spesso in condizione di garantirsi da soli.

E’ un po’ come se venisse esteso alla Vita stessa quello che è già consentito per il rifiuto consapevole di alimentarsi sancito dal Codice Deontologico Medico, art. 53: “Il medico informa la persona capace sulle conseguenze che un rifiuto protratto di alimentarsi comporta sulla sua salute, ne documenta la volontà e continua l’assistenza, NON assumendo iniziative costrittive né collaborando a procedure coattive di alimentazione o nutrizione artificiale”.

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Soprendentemente – visto che c’è un Parlamento che ha legiferato alla grande – la ministra Lorenzin, invece di garantirne l’applicazione secondo il voto del Parlamento, annuncia che «è mia intenzione, immediatamente dopo la pubblicazione della legge, incontrare i rappresentanti delle strutture sanitarie private cattoliche, per condividere con loro opportune modalità applicative della legge, volte a contemperare la necessità di applicare fedelmente le nuove disposizioni legislative, con la altrettanto fondata esigenza di assicurare agli operatori sanitari il rispetto delle loro intime posizioni di coscienza».

Peccato che, già a proposito di obiezione di coscienza verso l’aborto, il Codice Deontologico Medico (Art. 43) la contempla secondo gli ‘ordinamenti’ vigenti: non è una questione di etica medica nè un diritto assoluto del medico, ma solo una questione di consuetudine normativa nazionale.

Inoltre, le strutture sanitarie private cattoliche hanno già il diritto al rispetto delle loro intime posizioni di coscienza e già possono astenersi da qualsiasi pratica medica, se questo non è lesivo della salute del paziente.

Il punto è che se alle strutture cattoliche non fosse stato riconosciuto il diritto ad obiettare contro l’aborto … non avrebbero potuto ottenere convenzioni pubbliche per le loro strutture ginecologiche ed, oggi, senza qualche aiutino della Ministra “uscente ma in campagna elettorale”, i costosi reparti di Terapia del Dolore o Intensiva che volessero osteggiare il Biotestamento … finirebbero per perdere finanziamenti ed utenti.

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Chissà se l’on. Lorenzin immagina cosa andrebbe a succedere con gli obiettori del biotestamento negli ospedali pubblici … tenuto conto che rispetto della legge sull’aborto, i malati terminali neanche possono – come sono oggi costrette tante donne – fare il giro degli ospedali prima di trovare un medico non obiettore …

Giù le mani dal Biotestamento.

Demata

Scuole ed ospedali cattolici: qualcosa da recriminare?

30 Nov

Oggi, la La CEI, colpita nel vivo, si risveglia dall’incanto ed, anche lei, protesta contro l’iniquo Mario Monti. Una Conferenza Episcopale Italiana che si è distinta, da sempre, per le continue ingerenze nella governance del nosto paese. Alcune legittime come quelle di oggi, in base all’articolo 7 della Costituzione Italiana, altre meno legittime, altre a dir poco eccessive, come la pretesa di influenzare le leggi sulla procreazione, sulla ricerca scientifica, sull’educazione dei giovani, sui diritti delle persone.

Una CEI che, come chiede il Vaticano, mette al primo posto il contrasto delle politiche anticoncezionali e dell’emancipazione di donne ed omosessuali, rispetto a cose ben più gravi come la povertà, il welfare, lo sfruttamento, l’avidità dei potenti, eccetera.

Una CEI che da mesi taceva – o quasi – nonostante le misure del Governo Monti stessero impoverendo il paese, esponendo gran parte dei lavoratori a sacrifici insostenibili, mantenendo un sistema ladrone, ingiusto ed iniquo che era stato chiamato a debellare. Una CEI che si era forse illusa, come tanti italiani, e che adesso vede, almeno nel Lazio, i propri gioielli strozzati dall’incapacità della Regione a formulare una pianificazione sanitaria, prima, ed un piano di rientro finanziario, oggi.

Una CEI che, oggi, per bocca del suo presidente, il Cardinal Bagnasco, reclama perchè è «grave se le scuole cattoliche dovessero chiudere a causa dell’Imu», batte cassa con un «c’è preoccupazione soprattutto per la mancanza di contributi», che si preoccupa se dietro la crisi della sanità cattolica «ci sono tantissime persone e le rispettive famiglie: spero che, attraverso una maggiore attenzione e l’approfondimento delle diverse situazioni, se ne possa uscire».

Un vero vaso di Pandora scoperchiato, a ben vedere, si nasconde dietro queste affermazioni.

Infatti, solo delle scuole collocate in residenze principesche od di modeste dimensioni, ma avezze ad eludere il fisco, possono prevedere dei bilanci in rosso a causa dell’IMU. Per il resto, l’IMU non dovrebbe incrementare le rette degli alunni di 5-10 euro al mese. Leggendo le dichiarazioni del Cardinal Bagnasco, si intuisce che, per le scuole cattoliche, il problema effettivo non è pagare l’IMU, quanto il regime complessivo in cui si vengono a trovare.

A tal proposito, le dolenzie per la ‘mancanza di contributi’ alle scuole rappresentano una questione aperta, ma incomprensibile senza fissare prima alcune coordinate.

Ad esempio, che “lo Stato per ogni studente della scuola statale paga 5.200 euro l’anno contro i 530 euro per ogni studente della scuola paritaria”, come sostiene Maria Grazia Colombo, presidente dell’ Associazione Genitori Scuole Cattoliche (Agesc).
Sei miliardi di risparmio l’anno per le casse dello Stato, 9.000 istituti e 727.000 studenti, secondo i dati riportati da Il Messaggero di sant’Antonio e presentati il mese scorso dal Centro studi per la scuola cattolica della Cei.

Una questione confermata dal dato ufficiale, contenuto nel maxiemendamento alla legge di stabilita del 2010, che prevedeva 245 milioni di euro alle scuole paritarie nel 2011. Se quei 727.000 alunni avessero frequentato una scuola pubblica non sarebbero costati così poco alla leva fiscale italiana, che finanzia con oltre 35 miliardi di euro i circa 4 milioni di alunni delle scuole statali.

Qualunque osservatore neutrale (ad esempio l’Unione Europea tanto decantata da Monti e Centrosinistra) si rende conto in un battibaleno che lo Stato esercita un monopolio sull’educazione dei giovani, elemento caratterizzante dei totalitarismi e delle demagogie, e che non offre pari opportunità agli alunni delle scuole private, che sono costretti, per la loro scelta, a doversela autofinanziare, pagando una retta. Una problematica che emerge anche dalle tante storie che i ‘precari delle scuole private’ raccontano in rete e che non sussisterebbe se anche i loro stipendi facessero capo al MIUR ed al MEF.

Di quanti miliardi avrebbe bisogno il MIUR, domattina, se quei 727.000 alunni decidessero di iscriversi ad una scuola statale?

Chiarito che sulle scuole cattoliche ci sarebbero tanti ‘puntini sulle i’ da considerare e che la CEI o le Associazioni dei genitori farebbero bene a precisare meglio tutta la questione, è disarmante sentire, riguardo la sanità cattolica, cose come quelle che sentiamo o leggiamo.

Non solo perchè non pochi ospedali e case di cura cattoliche hanno dato luogo a scandali e sentenze riguardo i quali la CEI ed il Vaticano non hanno mai preso duri e risolutivi provvedimenti, tra i tanti che una monarchia assoluta può disporre.

E neanche perchè le ‘tantissime persone e le rispettive famiglie’ non ci sono solo tra i lavoratori degli ospedali, ma anche tra i 2,9 milioni di disoccupati ed un esercito di casalinghe senza diritti, che vanno avanti da mesi senza una prece. E, sempre negli ospedali cattolici, tra le persone e rispettive famiglie ce ne sono alcuni che guadagnano molte migliaia di euro e tanti che arrivano solo a fine mese, ma quando si tratta di cassaintegrare o licenziare si parte dal basso e qualcuno dovrebbe spiegarci perchè si mantengono al lavoro, mentre si rischia il fallimento, dei senior già pensionabili e si licenziano invece giovani eccellenti contrattisti.

La questione degli ospedali cattolici e del suo personale è, però, un’altra: quanto intende la CEI attingere dall’8×1000 che incassa regolarmente per risanare malegestioni e recuperare in immagine ed eccellenza?
Infatti, gli ospedali e le case di cura cattolici non esisterebbero se i malati non si fossero rivolti a loro, guidati dai simboli di una fede od attratti da una qualità etica, come anche non esisterebbero senza la capacità di attrarre donazioni e contributi, prestazioni non a fini di lucro e sgravi fiscali o tributari.

E’ un vero peccato – nel senso letterale e figurato – che la Chiesa Cattolica Italiana non si renda conto che è arrivato il momento – come già accaduto altre, forse molte, volte nel corso di questi ultimi duemila anni – di dimostrare che l’etica cattolica coincide con quella cristiana, fondata sull’onestà, sull’equità e la sobrietà, a ben leggere il Vangelo e ad ascoltare quello che borbotta la gente.

Giusto, dunque, che le famiglie ricevano un contributo diretto per l’istruzione (voucher) spendibile nella scuola che scelgono, privata o statale o regionale che sia, ma è anche giusto ricordare che nel crack della sanità cattolica dovrebbe intervenire non solo la finanza pubblica italiana, ma anche quella cattolica.

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Sallusti – Farina: tra libertà di stampa ed intralcio alla giustizia?

27 Set

Il caso Sallusti è piuttosto semplice da ricostruire, almeno negli aspetti salienti.

Nel 2007, un importante quotidiano riporta un fatto di cronaca riguardante una ragazza tredicenne ‘costretta’ dal magistrato ad abortire. La notizia risulta quasi subito non veritiera ed il noto quotidiano smentisce prontamente.

All’indomani, questa notizia viene pubblicata da Sallusti come direttore di Libero in un articolo firmato da un certo Dreyfus (uno pseudonimo),  «Se ci fosse la pena di morte, se mai fosse applicabile, questo sarebbe il caso. Al padre, alla madre, al dottore e al giudice»., «il magistrato ha ordinato un aborto coattivo», «estirpato il figlio e l’ha buttato via».

Incredibilmente, nonostante il rischio di una denuncia per diffamazione, Libero non rettifica la notizia e non lo ha fatto fino ad oggi, a quanto si legge.

La cosa arriva in tribunale, dove Sallusti non rivela il nome di Dreyfus , dunque, si fa volontariamente carico sia delle affermazioni diffamatorie sia della non identificazione del colpevole ‘primario’.

Come prevedibile, Sallusti viene duramente condannato al carcere per circa due anni.

Una storia che ha poco a che vedere con la libertà di opinione e che, invece, è ben esemplare i cosa sia la diffamazione a mezzo stampa e l’intralcio alla giustizia.

Intralcio alla giustizia?

Forse, anzi probabilmente, visto che solo a sentenza conclusa ed ormai ‘al sicuro’, il parlamentare Renato Farina ammette di essere lui Dreyfus.

Un Renato Farina, che, all’epoca dei fatti, non era protetto dall’immunità parlamentare, era stato appena condannato per favoreggiamento (condanna a sei mesi con patteggiamento) e radiato dall’Ordine dei Giornalisti.
Lo stesso che, poi, verrà condannato, nel 2012, in rito abbreviato a 2 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di falso in atto pubblico.

Quello coinvolto nell’inchiesta sul rapimento dell’ex imam di Milano, Abu Omar. Il parlamentare che ha fatto visita in carcere a Lele Mora, detenuto per bancarotta fraudolenta, insieme ad un’altra persona che non era autorizzata ad accedere al penitenziario.

Un Renato Farina che, senza l’ostinato silenzio di Sallusti, molto probabilmente oggi non sarebbe un parlamentare, visto che la vicenda avvenne ben prima delle Elezioni Politiche del 2008.

Sallusti non andrà in carcere a causa di quanto si scrive sul suo quotidiano, ma dovrà farlo, si sperà, per aver pubblicato una notizia di cui erano già acclarate la falsità e le potenzialità diffamatorie. Forse, anche per essersi rifiutato di fornire il nome dell’autore, che scopriamo essere non un giornalista, ma un pregiudicato.

Quanto alla libertà d’opinione, un conto è esprimere quanto si pensa o di cosa si dubita, un altro è pubblicare – diffamando familiari e magistrato e senza voler smentire – una ricostruzione sostanzialmente falsa di un triste evento che coinvolge una minorenne.

Già, una minorenne … che aveva diritto a tutta la riservatezza e la privacy possibile, ma non l’ha avuta.
Chissà cosa pensa ‘Valentina’ (nome posticcio agli atti del processo) di tutto quello che è accaduto e di coloro che hanno ‘giocato’ con la sua personale storia e con i sentimenti dei suoi genitori.

Qualcosa di orribile di cui, già da tempo, l’Ordine dei Giornalisti avrebbe dovuto farsi carico.

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Malattie rare, meglio abortire?

16 Feb


Continua la polemica riguardo l’aborto terapeutico con Giuliano Ferrara in prima linea e drappelli di femministe in corteo.

Eppure dovremmo tutti sapere e pretendere che, se applicassimo la 194, la struttura sanitaria dovrebbe aiutare la donna “a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza.”
Oppure che il medico “deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto” quando ha possibilità di “vita autonoma”, ovvero più di 22-24 mesi, come hanno sancito altri medici giorni fa.

E per cosa hanno manifestato le 300 donne (tale era la folta rappresentanza) l’altro ieri?

Per avere il diritto di abortire se scoprono che il nascituro sarà come Mimmo o’chiattone, un simpatico ragazzo del mio vicinato dal peso forma di 120 kg per 1,80 mt, tettuto e con peli zero, diplomatosi senza infamia e senza lode, oggi impiegato in qualche ufficio.

Di Klinefelter probabilmente ce n’era pure uno in classe mia, tal Costantino, che rimaneva incastrato col fondo schiena cicciotto nelle sedie, all’epoca abbonato ai distinti del Napoli ed oggi esimio direttore di istituto bancario felicemente sposato con prole sua (gli somigliano).

Vi ricordate quel ragazzo grasso e grosso, poco peloso ed un po’ timido che frequentava la vostra scuola?
Oggi non ne nascono più.

 

Aborto ed eugenetica

15 Feb

In Italia è consentito l’aborto terapeutico, non l’aborto eugenetico e non l’aborto libero.

La Legge 194 prevede che : “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Secondo quanto scritto dai giornali, un feto, per il quale è intervenuta la Magistratura di Napoli, sarebbe (N.B. probabilmente) diventato dopo la nascita un individuo affetto  dalla Sindrome di Klinefelter.

La domanda “legale” è questa: esistevano dei processi patologici relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro tali da determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna?

No.

Il sito dell’ Unione Italiana Sindrome di Klinefelter riporta:
“Il paziente Klinefelter è un maschio che presenta testicoli piccoli e di consistenza aumentata, ginecomastia (mammella maschile più grande del normale), ipogonadismo (funzionalità testicolare ridotta) ed elevate concentrazioni di ormone follicolo stimolante (FSH). Alta statura e ridotta peluria sono altre caratteristiche frequenti. L’incidenza della Sindrome alla nascita è di circa 1 su 500 maschi.”

Nei casi più acuti parliamo del cosiddetto “ermafodita”, non di un “mostro”, dunque già mi sembra strano che la Comunità lgbt resti indifferente.

Il nascituro sarebbe stato probabilmente (80%) un maschio poco virile di salute cagionevole, tutto qui.

Aborto terapeutico o piuttosto eugenetico?