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Cobas + NO Tav = quattro gatti? Forse si, forse no

21 Ott

La Repubblica riportava “circa 20 mila partecipanti alla manifestazione indetta dai Cobas e dai Sindacati di Base”, di venerdì 27 ottobre. Il giorno dopo – per il corteo di NoTav, NoMuos, Migranti, Movimenti per la Casa e Antagonisti in lotta contro l’Austerity e la Precarietà – “secondo gli organizzatori, sono 70mila i partecipanti alla manifestazione” (L’Unità).

la casa si prende Roma No Tav foto Tiscali

Foto di Tiscali

Lasciamo perdere se quello che chiedono sia o non sia legittimo in un paese democratico, come anche se si condividono o meno le idee o le opinioni. Sono molti o sono pochi?
La risposta è nei numeri.

Secondo i Cobas, oltre ai 20.000 manifestanti di Roma, si sono contati “molte centinaia di migliaia di scioperanti, nella scuola, sanità, pubblico impiego, Telecom, trasporti urbani, principali fabbriche a partire dal gruppo Fiat, trasporto aereo e controllori di volo”. Il personale della scuola conta almeno un milione di dipendenti, come anche il settore sanitario, ed in totale i dipendenti pubblici in Italia superano i 3 milioni di unità. Poi, c’è un altro milione e mezzo di addetti del settore industriale e tot altre centinaia di migliaia di addetti dei settori minori.
Alla fine dei conti della serva, viene fuori che parliamo di almeno 4 milioni di lavoratori e che – se anche gli scioperanti fossero stati 4-6 centinaia di migliaia – staremmo parlando forse del 10-15% del totale, forse qualcosa in meno. Comunque una piccola minoranza, non il 30-40%.

Uno su dieci o poco più, come il 6% di elettori votanti ed il 4% degli astenuti alle elezioni, su una base del 100% degli elettori: praticamente tanti quanti la Sinistra ‘radicale’ ha sempre potuto contare in Italia negli ultimi 30 anni. Paradossalmente, oltre alla proporzione pressochè costante nel tempo, sono i pronipoti di quel sindacalismo rivoluzionario e di quell’azione diretta che furono padre e madre del Fascismo delle origini ed i discendenti di quel Giacobinismo libertario che confluì nel Terrore totalitario di Robespierre.

Una componente statica delle nazioni figlie della Rivoluzione Francese (Francia, Italia, Messico, eccetera), che non impara dai propri errori? Forse si, forse no?
Certamente, i movimenti attuali sembrano rappresentare più una reazione al cambiamento, che una spinta alla pacificazione e al rinnovamento contro il declino ed il degrado.

Ritornando al corteo di sabato, tenuto conto che di adesioni da parte di organizzazioni e comitati ve ne erano in abbondanza, specie tra i ‘movimenti’ capitolini, 70.000 sembrano davvero pochi.
Specialmente se in Italia i migranti sono circa 5 milioni, i disoccupati quasi 6 milioni, i giovani senza lavoro oltre 900.000, le donne non occupate almeno al 50%.
O se, la sera prima, allo Stadio Olimpico ve ne erano quasi altrettante a tifare per una squadra di calcio, una volta tanto senza tafferugli.

Riflessioni romane, che circolano da anni nel borbottio del popolino e che da due o tre anni stanno prendendo una forma concreta: quale è il costo – per Roma e i romani – su un PIL che alla fine dell’anno dovrà pur tener conto di questa ‘due giorni’  di blocco e rallentamenti, sia per gli scioperanti, sia per le manifestazioni ed i voli, sia per quanti non sono andati a lavoro perchè ‘de facto’ impediti (traffico, trasporti, figli piccoli), sia per gli ‘accampamenti’ nel bel mezzo di una città che vive anche di turismo.

Foto da Libero

E, messo che il PIL della Provincia di Roma sia nell’ordine dei 300 milioni di euro per giornata lavorativa, possiamo ipotizzare che – se le manifestazioni si fossero svolte al Circo Massimo e solo lì – oggi avremmo qualche milionata di euro in movimento in più nella nostra Capitale e nelle vessate casse dello Stato?

Quanti blocchi semigeneralizzati possa permettersi Roma, mentre cerca di risollevarsi dal declino generale e dalla sua già asfittica mobilità, è una questione che riguarda tutti.
Come è di tutti la spesa pubblica extra necessaria a proteggere diversi edifici pubblici della Capitale e pagare straordinari alle forze dell’ordine, oltre che i soldi che i contribuenti romani, per tramite del Comune, si troveranno in conto spese per pagare i danni (fortunatamente limitati) ad inermi cassonetti, ignare palettature dei marciapiedi e innocue pavimentazioni stradali.

Allo stesso modo, sono di tutti le sacrosante istanze di riconoscimento dei diritti civili dei migranti, come lo sono quelle di tanti giovani e ormai ex giovani laureati ancora ridotti alla precarietà e quelle delle giovani coppie con figli che non sanno come tirare avanti, tra disoccupazione e affitti da pagare.

Questioni, però, che andrebbero meglio poste, se ai migranti serve innanzitutto una legge elettorale ed ai senza casa necessitano meno assistenzialismo (la botte è vuota …) e più poltiche locali del lavoro.
Come se ai laureati e ai giovani servisse da decenni un  mercato del lavoro ed un sistema delle carriere che non può di certo arrivare dal MIUR o dall’INPS o dalle ASL o dall’INA, che sono imperniati su concezioni strutturali di fascista memoria.

Come se sia proponibile a chi manifesta perchè non ha lavoro, casa e futuro di associarsi a chi chiede un aumento della spesa pubblica, scioperando perchè si aumenti il magro stipendio dei docenti, a parità di servizio, di ben 300 euro netti (circa 450 euro lordi) pro capite, come chiedono i Cobas, che – essendo i docenti circa 800.000) – fanno oltre 350 milioni di spesa pubblica extra all’anno con la situazione finanziaria che c’è e la Merkel che, rieletta, ricomincia ad incalzare.

O come se ieri, a Roma, non avessero manifestato insieme, sotto il MInistero delle Infrastrutture, sia quelli che – No Tav, No Muos, No gasodotto /inceneritore/discarica/eccetera – non vogliono certe infrastrutture nel proprio territorio sia gli altri che protestavano per la disoccupazione e la precarietà derivante dai tagli fatti ai già pochi interventi infrastrutturali previsti …

Poche noci nel sacco fan tanto rumore e l’arcobaleno è di mille colori non sempre l’un l’altro complementari, ma i nodi al pettine – sia da un lato che dall’altro – restano, specie se l’Italia è non va nè di quà nè di là e la Capitale bloccata con gli Svevi alle porte.

originale postato su demata

Dalai Lama: compassione per Bin Laden

9 Mag

In un intervento presso la University of Southern California di Los Angeles, Tenzin Gyatso, il Dalai Lama vivente, ha risposto ad alcune domande riguardo il “point of view” buddista, riguardo la morte di Osama Bin Laden.
“Perdonare non vuol dire dimenticare cosa è successo.
Se accade qualcosa di grave che richiede delle contromisure, bisogna prendere quelle contromisure“.

La sua morte, “in una prospettiva buddista, ovvero quella di considerare il nostro nemico cone il nostro più grande maestro, è un fatto triste. Come ogni essere umano, Osama Bin Laden ha diritto alla nostra compassione e comunque perdono.”
“Naturalmente, per coloro che credono che un nemico sia un nemico assoluto, il punto di vista porta ad una prospettiva differente”.

Un concetto accettabile, se non ovvio, per noi europei figli di tante guerre fratricide, che, però, ha destato diversi interrogativi sui media statunitensi, che in questi giorni avevano cavalcato l’onda della “vendetta”, nel raccontate l’attacco di Abbottabad e la morte di Bin Laden.

Questo il comunicato ufficiale del Dalai Lama sul suo sito in risposta.

C’è bisogno di distinguere tra l’azione e l’attore. L’azione di Bin Laden è stata certamente distruttiva e i fatti accaduti (e scaturiti dal) l’11 settembre hanno ucciso migliaia di persone. Questa azione deve essere ricondotta a giustizia.”
“Ma, verso l’attore, dobbiamo avere compassione e discernimento, come anche che le contromisure, a prescindere dalla forma che abbiano, devono essere compassionevoli.”
Il leader spirituale dei buddisti di culto tibetano ha anche sottolineato che “la pratica del perdono non implica che si debba dimenticare cosa è stato fatto“.

A quanto pare, un uomo da solo, Tenzin Gyatso il Dalai Lama vivente, ha avuto il coraggio (o l’onestà intellettuale) di dire agli USA dinanzi a telecamere statunitensi ciò che ONU, Vaticano, Associated Press, governi alleati e non alleati stanno flebilmente bisbigliando da giorni, chiedendo foto o precisazioni da parte di Obama.

Flebilmente perchè tutti temiamo che si venga ad acclarare che Osama Bin Laden si è consegnato e che, successivamente, è stato giustiziato sommariamente e con brutalità.

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Hamza bin Laden, l’erede

5 Mag

Hamza bin Laden (Hamza bin Osama bin Muhammad bin ‘Awad bin Laden) è il 22enne figlio di Osama e di Khairiah Sabar, una saudita di Gedda con un PhD in legge (islamica) ed insegnante per sordomuti.
Molti esperti ritengono probabile che Khairiah sia morta sotto i bombardamenti in Afganistan, ma è anche possibile che sia detenuta in Iran.
E’ importante sapere che Khairiah Sabar dicende dal profeta Maometto per linea diretta e, dunque, suo figlio può, in teoria, ambire alla corona saudita come a quella di qualunque stato islamico.

Hamza inizia presto a sua carriera di erede del “principe del terrore”, praticamente cresce accanto ad un padre che trascorre le sue giornate a pianificare attentati ed incontrare compagni d’armi: sono i tempi della repubblica islamica dell’Afganistan e dei complotti sudanesi.
Dopo l’11 settembre fugge in Iran con il grosso della famiglia ed alcuni fedelissimi di Osama, ma lì deve confrontarsi con il governo iraniano che li sottopone ad un lungo “soggiorno obbligato”, col pretesto di proteggerli.

A 16 anni, diviene (tristemente) famoso in Gran Bretagna per un poemetto pubblicato on line che inneggia agli attentati di Londra ed al massacro degli infedeli.
Sempre in quel periodo (2007) viene segnalata la sua presenza in Afganistan e Benazir Bhutto dichiara di temere Hamza, in relazione ad un suo possibile omicidio, come puntualmente avvenuto.

Attualmente, vista la smentita della CIA sulla sua morte ad Abbottabad, Hamza è già un senior member di al-Qaeda in Afghanistan e, vista l’investitura paterna,  è possibile che prenda il controllo di almeno una parte delle cellule terroristiche e dei conti bancari di famiglia. E’ anche possibile che per la giovane età possa esercitare un certo carisma sui giovani integralisti che vivono in Europa, come anche che proprio questa sua ascesa abbia indotto qualcuno a tradire suo padre.

Intanto, sua madre è morta sotto le bombe americane, suo padre è stato ucciso, inerme, da un Navy Seal e ad Hamza non resta altro che la resa o la vendetta …

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Bin Laden, dal mistero il mito

5 Mag

Già nelle prime 24 ore dopo l’assalto dei Navy seals ad Abbottabad, questo blog avanzava delle perplessità sulle informazioni diffuse dal governo USA e, più precisamente sull’assenza di prove, su dove e come fosse morto Osama Bin Laden e sul ruolo avuto dai pakistani.
Riflessioni della prima ora, che stonavano con l’esultanza generale e che trovano, già dopo pochi giorni dai fatti, ampio fondamento.

Quali sono gli elementi critici della versione fornita dalla Casa Bianca?

  1. Innanzitutto, le modalità di attacco. Secondo le dichiarazioni USA, il “covo” sarebbe stato trovato grazie alle ammissioni di un detenuto di Guantanamo, per giunta estorte sotto tortura (Waterboarding). Secondo i militari afgani e pakistani, l’abitazione era stata segnalata da tempo.
  2. Ingannare l’ISI (ndr. i servizi segreti) è difficile come lo è far atterrare 2-3 grossi elicotteri a poche centinaia di metri dai comandi d’elite dell’esercito pakistano, dopo aver sorvolato buona parte del paese. Non  a caso Islamabad protesta vivamente per la violazione dello spazio aereo e per la conduzione di azioni militari sul suo territorio.
  3. La villetta dove viveva Bin Laden da tempo è sita in un quartiere abitato da militari, dove nessuno è accorso (neanche la polizia locale) durante una sparatoria di 40 minuti preceduta da una forte esplosione. E’ evidente che c’è stato un supporto da parte dei pakistani.
  4. Alcuni video amatoriali mostrebbero un elicottero diverso dal Black Hawk, che la Casa Bianca afferma essere stati utilizzati per l’operazione.
  5. Sono stati necessari oltre 70 Navy Seals e 40 minuti di combattimento per abbattere gli uomini della guardia del corpo, che la Casa Bianca quantifica, però, in sole cinque unità, incluso il figlio diciottenne di Bin Laden.
  6. Nel flusso di informazioni tra i Navy Seals e la Casa Bianca c’è stato un black out di 20 minuti, proprio nella fase cruciale dell’attacco, come rivelato dal direttore della Cia, Leon Panetta,
  7. Non viene ancora diffusa alcuna immagine che comprovi la morte di Osama o la cattura dei suoi familiari. Gli USA si rifiutano dire prove, giustificandosi col fatto che sono troppo cruente.
  8. Bin Laden è stato riconosciuto in base ad un test del DNA, affidabile al 99% secondo la Casa Bianca, senza considerare che in assenza di fratelli (come per Osama) l’affidabilità dei test crolla sotto il 90%.
  9. Una delle mogli sarebbe stata usata come scudo umano, questa una delle prime notizie, poi cambiata in un più credibile ferita da una raffica mentre assaliva (a mani nude?) un Navy Seal.
  10. Nel “covo” c’erano altre mogli di Osama e numerosi bambini, che sono stati legati e portati via dai militari americani in una località sconosciuta, dopo aver assistito all’esecuzione del padre: un’azione fermamente vietata dalla Carta per i diritti dell’infanzia.
  11. Dulcis in fundo, “Osama Bin Laden è stato catturato vivo e poi ucciso”, cosa in contrasto con la Convenzione di Ginevra, se parliamo di un combattente, e col diritto ad un giusto processo, come sancito da qualunque costituzione democratica, se parlassimo di un criminale.

Fermo restante che il “principe del terrore” è certamente morto, quanto contribuiranno al suo mito la sete di vendetta statunitense e l’ansia di manipolazione dei servizi segreti USA?

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Bin Laden ucciso: è tutta la verità?

2 Mag

Nel corso di un blitz dei Navy Seals ad Abbottabad, Bin Laden è morto colpito da una pallottola alla testa e sono state uccise 5 persone, tra cui uno dei figli.

Non v’è ragione di dubitare delle dichiarazioni di Barak Obama,  ma la foto diffusa dalle tv è risultata essere un montaggio e il corpo è sparito, “plausibilmente sepolto in mare” come riporta Associated Press news.
Certo, il “mostro delle Twin Towers” non è più tra noi: nessuno rischierebbe una bufala così eclatante, ma … Bin Laden è morto ad Abbottabad o altrove?

Una piccola unità d’elite sotto copertura, la Navy Seal Team Six, avrebbe sferrato un attacco durato circa 40 minuti ad una villetta, trasformata in un piccolo fortino  ed il tutto accade in una piccola cittadina aereoportuale come Abbottabad, sede di tre divisioni dell’esercito, con decine di caserme e diverse migliaia di soldati.
Possibile che l’esercito pakistano si sia accorto di cosa accadeva, intervenendo a recintare il compound (sic!), solo dopo che la salma di Bin Laden era stata portata via dai Navy Seals? Possibile che nessuno sia accorso?

Infine, secondo il corrispondente della BBC da Islamabad, Aleem Maqbool, il compound dove ha trovato la morte Osama Bin Laden è a 500 metri dalla Pakistan Military Academy. Molti pakistani trovano improbabile che la presenza di Bin Laden fosse ignota, visto che la cittadina dista meno di cento chilometri dalla capitale Islamabad ed è, come detto, un enorme (e ben sorvegliato) agglomerato di scuole ed accademie militari con relative caserme, tribunali, moschee ed ospedali.

Sembra incredibile, ma, mentre il mondo esulta, non circolano foto veritiere del cadavere, che per altro sarebbe scomparso, ed i militari pakistani sarebbero del tutto estranei alla cosa, sia per le coperture avute dall’Emiro del Terrore sia per l’assistenza data agli americani. Incredibile, non c’è che dire.

Per Franco Frattini, Bin Laden è il «mito del male assoluto», un simbolo la cui uccisione «indebolisce la coesione del terrorismo internazionale».

Vero, ma, se non saltano fuori foto e cadaveri, “l’icona di Bin Laden” rischia ugualmente di trasformarsi in un boomerang, come quella di Hitler e di Che Guevara, anch’essi morti ma non immortalati.

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