Un editoriale di Galli della Loggia ci racconta, oggi, dei “vasi di coccio dell’Unione”, secondo quello che è stato il (disilluso) dogma dell’unificazione europea.
“L’Europa di oggi non è certo quella del 1958, di cui fummo tra i fondatori, pensata e nata su un piede di assoluta parità tra i suoi membri. Gli sviluppi successivi, infatti, i vari allargamenti succedutisi (in modo particolare quello sciaguratissimo da 15 a 27 Paesi), nonché la crisi economica recente, hanno fatto emergere, di fatto, al suo interno un direttorio franco-tedesco.” (Corsera)
Una dottrina, tutta italiana e solo italiana, che dice ispirarsi al Manifesto di Ventotene del 1944 e che rivendica unaa paternità di un’Europa franco-tedesca-italiana, su base paritetica e federale. In realtà, lo stesso Manifesto, redatto da Altiero Spinelli (comunista indipendente) e Ernesto Rossi (liberale radicale), affermava che: “la linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, … lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.”
E’, oggi, evidente che l’Unione Europea sia tutt’altro che quello cui aspiravano i Padri Fondatori, ma avrebbe già dovuto esserlo evidente nel 1954, quando la proposta di un mandato costituente per l’Assemblea comune della Comunità Europea di Difesa fu bloccato per l’opposizione della Francia. Oppure, nel 1957, quando nacque la Comunità Economica Europea, anzichè il Congresso del popolo europeo, proposto dallo stesso Spinelli.
L’Europa di oggi somiglia molto di più all’Impero di Carlo Magno e Federico di Svevia: un network di feudi (lobbies finanziarie) e di interconnessioni (mobilità e reti informative), uniformati da direttive (standard).
Non è un caso che le lobbies finanziarie interessate dalla crisi corrente siano tutte localizzabili nell’area europea storicamente “guelfa”: Hypo Real Estate Holding (Baviera), Deutsche Bank (Lorena, Brabante, Assia) , Dexia (Francia), Unicredit (Brunswick, Lazio, Toscana, Lombardia).
Come non è un caso che questa sia la mappa dell’Impero dei tedeschi.

Come non sarà un caso che, dal Baltico al Mediterraneo, siano proprio i territori “sassoni” (inclusa la Repubblica Ceca, il Lionnese e l’Italia centrosettentrionale) ad essere quelli dove la produzione tiene e dove gli standard sono rispettati, ad i quali vanno assommati quelli inglesi e polacchi, fin dove arrivò l’onda conquistatrice partita dallo Jutland.
Ovviamente, questa Europa non è per tutti. Mancano gallesi, scozzesi ed irlandesi (ad esempio), che fieramente si opposero ai sassoni, prima, ed all’industrialesimo inglese, dopo. E mancano i francesi, che massacrarono gli Ugonotti pur di non credere nella “meritocrazia”, e gli europei del Mediterraneo, separati dall’Oriente e dall’Oltremare oltre che dall’Europa, per l’antico vezzo di Roma di lucrare frapponendosi a due mondi.
Nel 2013, l’Unione Europea si accingerà ad eleggere un parlamento, sostanzialmente privo di poteri, di oltre 2.000 delegati, mentre la Banca Centrale ed altri organismi tecnici, tutti collocati tra Francoforte e Bruxelles, hanno poteri sovrannazionali.
E’ evidente che non si possa andare avanti così, con un Manifesto “tradito” e con un “impero” di cui non si vuole ammettere l’esistenza, con i singoli parlamenti che possono menare il can per l’aria e con interi popoli, che possono subire o rifiutare scelte che non hanno votato.
Se gli “intellettuali” volessero prendere atto, qualche via d’uscita si troverà e non sarà un Direttorio, ma sarà un disastro ed una tirannide, se dovessimo continuare a dimenticare che di Europa, al giorno d’oggi come in passato, ce ne è una sola e si chiama asse franco-tedesco.
La soluzione? Un Euro ed un’Europa a due velocità e cos’altro mai?
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