Per definizione, la capacità di ‘intendere’ è l’attitudine dell’individuo a comprendere il significato delle proprie azioni nel contesto in cui agisce, quindi rendersi conto del valore sociale dell’atto che si compie.
E’ una questione fondamentale, dato che nella società una singola volontà (o una scelta) non ha senso nè metodo nè valore se non ‘intende’ fatti, responsabilità e conseguenze.
Ce l’eravamo cavata ritenendo che l’istruzione pubblica e il progresso potessero risolvere il problema, relegando gli angoli bui alla psicanalisi, ma da allora è stato solo un proliferare, non solo individuale, ma soprattutto collettivo: basta pensare alle manipolazioni e alle isterie di massa che portarono al comunismo e al nazismo.
E’ noto che la condizione di assoluta confusione da sovraccarico di informazioni comporta una paura infondata verso rischi – ipotetici o reali – per la vita dell’individuo, in particolare come attaccamento a stili di vita e convinzioni.

Fatto sta che, dopo due anni di pandemia, è difficile credere che i Novax e i No Greenpass abbiano una (adeguata) capacità di ‘intendere’ le informazioni medico-scientifiche in base alle quali vanno ad esprimere una volontà.
E proprio non vogliono sentire ragioni, cioè tanto ‘volere’ e poco ‘intendere’.
E, senza adeguatamente ‘intendere’, la volontà è capriccio e la libertà è arbitrio, in balia dei sensi e del caso, ma non delle scelte.
Ad ogni modo, finché il ‘volere’ estemporaneo si esprime nel privato, poco male, ma il ‘volere’ pubblicamente senza ‘intendere’ (e senza ‘intesa’) è una volontà sociale legittima?
No, di fatto ci si pone fuori/contro il così detto stato di diritto.
Quanto all’emergenza, un’altra domanda è d’obbligo: a metterci in questo stato oggi è la pandemia o lo sono i troppi che non amano le regole, perché non ne ‘intendono’ a sufficienza i benefici e perché vogliono subordinarci alla loro volontà?
Demata
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