Pensioni: il dopo Fornero

15 Feb

Per le pensioni, arrivati al 2018, l’Era Fornero volge alla fine: è inevitabile che sia così, dato che la stessa norma era parte di un piano pluriennale di rientro finanziario.
Ed era invevitabile che così fosse, dato che – dovendosi contenere e dilazionare la problematica di liquidità di Cassa Depositi e Prestiti – lo scopo essenziale era quello di ‘rinviare’ di un lustro tutte o quasi le pensioni correnti, cioè i quasi Quota95 che oggi sono Quota ‘ultra100’ …

giannelli

Ciò che è singolare è che solo Salvini si è ‘speso’ per raccogliere il voto di tanti elettori senior, preoccupati per il loro futuro, ma non i raggruppamenti di Berlusconi e Renzi, che già con Mario Monti avevano avuto l’occasione di far qualcosa in più.

Salvate le banche, c’è il settore assicurativo, cioè le pensioni (e la Sanità): cosa porta il futuro ai quasi anziani di ceto medio-basso? 

Riguardo alle pensioni, accadrà che per qualche anno (2-4) saranno in uscita gli ultimi del sistema retributivo, cioè i pre1960, che prima dei vent’anni avevano iniziato a versare contributi e che intorno ai 62 anni raggiungeranno una pensione più o meno pari all’ultimo stipendio. Non sono pochi, dato che parliamo dei tanti arrivati a circa Quota95 e ‘bloccati’ anche da 6-7 anni, con l’avvento delle norme Fornero.

Dunque, la Politica potrebbe essere tentata dal prendere tempo, se non fosse che – intanto – tante donne che potevano pensionarsi a sessant’anni non potranno più farlo e tanti sessantenni decideranno di attendere i 67 anni comunque, dato che in pensione si troveranno una rendita del 5-60% dell’ultimo stipendio.
Un diluvio annunciatosi fin dalle Riforme Amato-Dini del 1992-95: in poche parole, per un impiegato che oggi guadagna 1.600 euro netti, era già noto che si sarebbe trovato a dover vivere con meno di 1.000 euro.

All’epoca si confidava nella ‘crescita e nell’Europa, ma c’è poco da fare se alla base c’è il tardivo ingresso nel mondo del lavoro che affligge i nostri giovani da sempre. Tra l’altro, Amato e Dini avevano ben chiarito che quelle misure andavano accompagnate da stipendi iniziali più robusti, in modo da innanzare il valore contributivo e la pensione stessa, e da pensioni integrative, che – salvo qualche iniziativa aziendale – non hanno mai attecchito proprio tra i lavoratori più esposti.

Purtroppo, i vari governi – invece di intervenire su stipendi iniziali, progressioni di carriera e assicurazioni integrative – misero la cenere sotto il tappeto estendendo fino all’avvento di Elsa Fornero il sistema retributivo limitato, all’origine, a chi aveva 18 anni contributivi nel 1995.

‘Abolire la Fornero’ per ritornare al sistema retributivo o alla Quota95 ‘secca’ significherebbe solo peggiorare ulteriormente la situazione di chi ha oggi meno di 50 anni. Allo stesso modo, è impensabile che un’intera generazione di lavoratori ormai quasi sessantenni sia alle soglie di una vecchiaia ai limiti della povertà e nessuno se ne faccia carico.

E’ vero che viviamo in una nazione tanto produttiva quanto iperfiscale che avrebbe già potuto permettersi qualcosa di più per la pochezza delle pensioni sociali degli invalidi inabili al lavoro o per farsi carico degli lavoratori esodati o invalidi gravi rimasti nel limbo dal 2011 al 2018.
Ma è anche vero che se nessun parlamento vorrà farsi carico di rifinanziare l’Inps – fosse solo perchè ha assorbito non poche situazioni in perdita – l’Italia è destinata ad essere un paese di anziani impoveriti e di giovani senza futuro.

Sta ai nostri legislatori scegliere, poi, se i rifinanziamenti saranno dello Stato (primo debitore di tanti istituti cessati perchè in perdita) o se l’Inps diventerà una società per azioni con una quota  privata.
La questione delle pensioni da fame per chi ha lavorato una vita è ormai in drittura d’arrivo: difficilmente potrà essere rinviata di un’altra legislatura senza serie ripercussioni sulla coesione sociale.

Demata

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