E’ ufficiale: l’Italia ha violato le norme comunitarie sulle quote latte. Secondo l’Europa, siamo inadempienti soprattutto perchè i nostri governi hanno fatto pagare a tutti gli italiani le penalità per l’eccesso di produzione tra il 1995 e il 2009, invece di appiopparle a chi aveva causato il danno e ricevuto il beneficio.
Santa Europa, almeno in questo caso è corretto dirlo, ma chi ci ha guadagnato e chi ha pagato?
Facile dirlo, se vediamo quali regioni allevano davvero pochi bovini e quante altre sono ben al di sopra della media italiana. Nel primo caso (i pagatori) troviamo la Liguria e gran parte del Centrosud, nel secondo (gli allevatori) c’è la Basilicata e il Settentrione.
Senza dimenticare che nonostante i costi calmierati (quote) il prezzo del latte al commercio è esorbitante in Italia.

Fonte: Confederazione Produttori Agricoli (Copagri)
Non a caso vent’anni fa era la Lega di Bossi che sbraitava contro le quote e le penali, mentre – a contraltare – c’era Di Pietro dell’Italia dei Valori che denunciava la ‘partita di giro’ più o meno a carico dei cittadini a seconda dei territori.
Ed erano gli anni ruggenti di Callisto Tanzi patron dell’emiliana Parmalat che si arricchiva e si ramificava all’estero, per poi fallire disastrosamente nel 2003, proprio l’anno in cui il Parlamento approvò la riforma della normativa del settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Un crack, quello parmense, che coinvolse anche le banche connesse con arretramento degli indici borsistici (Capitalia -6%, Monte dei Paschi -5%).
Intanto, in buona parte del Settentrione, s’era creata e mantenuta una filiera produttiva ed occupazionale non irrilevante, mentre nel Meridione le corrispettive quote orto-frutta venivano cessate.
Ecco uno dei motivi per cui alcuni non vogliono stare in Europa: ha la memoria lunga e tratta i suoi figli tutti allo stesso modo.
Demata
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