Qualcuno potrà credere Piero Gobetti appartenga al passato, che il mondo è cambiato e che oggi o domani il modo di far politica, di scegliere le alleanze, di selezionare i candidati, “di cosa chiede la gente”, eccetera eccetera.
Forse.
Quel che è certo è che oggi vige la nostra Costituzione, di cui riparleremo alla fine.
Vediamo, piuttosto cosa Piero Gobetti scriveva nel 1922: «Andreani crede che le assicurazioni sociali vadano riguardate come attuazione tecnica d’un programma democratico. … Se lo Stato deve pensare alle assicurazioni nessun dubbio che “sia da preferirsi (ad ogni altro sistema) un’imposta generale sulle assicurazioni sociali, che permetterebbe di estendere le assicurazioni ad ogni categoria di lavoratori e semplificherebbe enormemente la gestione delle assicurazioni sociali, poiché lo Stato non avrebbe che da servirsi della macchina burocratica già esistente per la riscossione delle imposte”.
Viceversa per noi si tratta di un bisogno individuale che devono soddisfare gli uomini o le categorie che lo sentono per mezzo di contratti, di convenzioni, di associazioni; e non c’è nessuna necessità di estenderlo a tutti.
Solo muovendo dalla nostra concezione è possibile moralizzare un poco l’istituto introducendo un concetto di responsabilità e una misura adeguata a ragioni specifiche. Una tassa sugli abbienti a favore dei non abbienti accrescerebbe la degenerazione utilitarista della legislazione vigente; confermerebbe una concezione dello Stato come schiavo di clientele turbolente e di audaci intriganti, desiderosi di coprire le loro rapine all’ombra di una consacrata legalità.
Infortuni, malattie, disoccupazione, vecchiaia entrano nel calcolo e nella previsione individuale: si accetta che la previdenza debba essere, magari per opera dello Stato, stimolata, ma sarebbe curioso davvero abolirla, o privarla di responsabilità per renderla universale.
Non si vede perché, una volta accettata un’imposta generale per le assicurazioni sociali non si debba promuovere successivamente un’imposta per garantire a ogni cittadino mediatore anche qui lo Stato il vitto e gli abiti e il cinematografo, ecc. ecc., che son bisogni della stessa natura! (ndr. come propone Fausto Andreani, in “Saggi critici sulla legislazione sociale in Italia con prefazione di G. Salvemini, Roma, La Voce, 1920)
Questi sono residui della concezione patriarcale e autocratica dello Stato paterno, rimessa a nuovo da un riformismo che avverte la separazione tra governo e masse e corre al riparo cercando di corrompere le masse con lusinghe e benefici materiali: ma bisogna avere il coraggio di liquidare anche qui il pericolo utilitarista, combattendolo alla radice.
Il sistema tecnico ossia un’organizzazione dei servizi di assicurazione adeguata alle esigenze individuali si otterrà solo con la libera iniziativa privata. Questa, quando sia fondata su basi di serietà pubblicamente garantita, nel modo che lo Stato potrà fissare legislativamente, agirà secondo specifici interessi e responsabilità; non perseguendo un vano ideale di solidarietà umana, che concretandosi diventerebbe nuovo oggetto, nascosto, di speculazione ma regolando veri e proprii contratti, nei quali le due parti ritroveranno reciproci vantaggi.
Fuori di questa via prevarrà sempre l’antica tradizione per la quale “promettere e non mantenere, o mantenere a metà, dopo molto tempri, nominare commissioni su commissioni, avviare studi su studi, far stampare soffietti sui ministri che “audacemente” si avviano ad “ardite riforme”, è la saggia politica dei nostri uomini di governo .. “.
E anche pensare che “un monopolio ideale” non può attuarsi che in forme superiori e più perfette di solidarietà, quando si saranno inventati mezzi nuovi di intervento statale e la burocrazia, con i suoi fasti, o il parlamentarismo, con le sue inframmettenze, saranno passati alla storia o è pericolosa illusione perché i monopoli non sono mai ideali; essi operano e opereranno sempre necessariamente come ogni organismo umano, secondo individuali interessi e utilitarie aspirazioni, ossia saranno sempre asserviti ai politicanti ».
(Legislazione sociale / Antiguelfo, La Rivoluzione Liberale – A. 1, n. 8 (9-4-1922), p. 32 – 1922)
Ebbene, la nostra Costituzione, all’articolo 38, ordina che “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L’assistenza privata è libera.”
Vi sembra sia stata applicata dai partiti ‘democratici’ (cristiani o di sinistra) che hanno governato dal 1948 ad oggi? Oppure siamo piombati proprio in quello che Piero Gobetti paventava?
E la concezione dello Stato (e della Politica) di Piero Gobetti vi sembra cosa passata o questione attuale e futura?
Piero Gobetti morì 91 anni fa, alla mezzanotte del 15 febbraio 1926, esule, in una clinica di Neuilly-sur-Seine, assistito da Francesco Fausto e Francesco Saverio Nitti, da Prezzolini e da Luigi Emery. È sepolto nel cimitero parigino del Père Lachaise.
E morì per l’aggravamento dei problemi cardiaci causati dalle aggressioni squadriste, inviate da chi preferiva strillare e/o corrompere, piuttosto che governare ed amministrare.
Da che parte sono, in Italia, i Liberali?
Demata
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