Dove saremmo se – invece di politica e diritti – in questi anni, riguardo le malattie rare (> 400.000 carrier nel solo Lazio) – ci fossimo semplicemente chiesti (funzionari, malati, associazioni e quant’altro):
- quanti sono i carrier per codici di esenzione, quali invalidi sotto il 45- 66-74%, quanti sono ‘attivi’ ad elevata frequenza (cure mensili o settimanali) e quali a bassa (2-3 volte l’anno)
- quanti sono diagnosticati da un effettivo centro interregionale (o quello che sarà) e quanti effettivamente in carico con protocollo specifico presso un ospedale generale,
- quanti hanno profili di urgenza medica, quanti hanno un pronto soccorso di riferimento
quali sono le patologie secondarie per macrotipologie rispetto la malattia rara e congenita e quali sono invalidanti o disfunzionalizzanti o degenerative eccetera - quale % dei fondi SSN viene saldato entro l’anno solare dal ministero e quanti dalla Regione, quanti ad un anno, a due, a tre eccetera
- quali verifiche vengono fatte affinchè non vengano prescritti in esenzione farmaci afferenti ad altre patologie … che dovrebbero pagare le Regioni
- dove si collocano statisticamente i carrier attivi per codice di esenzione, ASL di residenza e presidio sanitario di cura
Quel che avremmo scoperto – indagando sulla Realtà in vece di ipotizzarre ‘diritti’ – non è poco:
- c’era da creare una infrastruttura sanitaria (regioni) e del welfare (comuni) ovvero che i Sindaci ci devono mettere la faccia per poliambilatori e servizi domiciliari, ma non per i tagli ai reparti, ed i grandi burocrati devono assumersi le loro responsabilità di una azione ‘dall’alto’ (infrastrutture, standard, accesso, trasparenza, telematica, eccetera)
- senza sapere chi e cosa curare – trattandosi di cronici siamo su archi ultradecennali – non si dovevano neanche fare ristrutturazioni aziendali e concorsi e, sapendo che il futuro è delle malattie rare, da anni dovevano prevedere delle drastiche riduzioni di cardiologi e gastroenterologi dato che ipertensioni e reflussi sono da geriatra e non servono interi reparti e cattedre per questo
- nessun caso è singolo e nessuna anomalia è fine a se stessa, superata l’emergenza mica è finito tutto: bisogna pianificare e realizzare una normalità imparando dagli errori (ovvero monitorandoli e rammentandoli): è del tutto malsano risolvere casi spot sull’onda di emergenze e scandali non per tre mesi ma per 20 anni, con commissariamenti all’infinito e tavoli tecnici caotici che servono solo a chi non vuol fare o deve ‘deviare’
- le nuove scoperte biomedicofarma rendevano ben chiaro già 15-20 anni fa che ci sarebbero stati solo policlinici e case di cura /presidi poliambulatoriali, come i medici di base avrrebbero dovuto associarsi con pediatri, geriatri, fisioterapisti eccetera per reggere i costi degli immobili, delle certificazioni e delle manutenzioni, della clinica e della telematica: di sicuro non esisteva nelle premesse un modello in cui il pubblico offre solo ‘grandi ospedali’ e ‘infimi ambulatori’ mentre il resto è esternalizzato a privati o peggio (il welfare, il welfare!) a onlus di bassissimo livello
- non tutti i medici possono essere assorbiti dal sistema pubblico, anzi. E sarebbe ora che qualcuno glielo spiegasse se … non accadesse che ogni dirigente od ogni politico che chiude o modifica un presidio si ritrova puntualmente sui giornali o, peggio, il numero chiuso e i test di accesso alle facoltà mediche appaiono a tante famiglie dei candidati (respinti) una bizarria italiota … con santa pace di troppi inutili occupati …
E con quei dati – che tra l’altro Corte dei Conti, MEF e Unione Europea potrebbero anche pretendere – avremmo anche le soluzioni a portata di mano …
Dunque, il problema non è solo la politika, ma anche il ‘popolo’ ha il suo ruolo in questo scempio, e la soluzione si chiama ‘teknica’. Siamo disposti a parlare di standard oltre che di diritti? A ben vedere i primi sono cosa certa, i secondi solo enunciazioni di principio …
originale postato su demata
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