L’Italia si avvia ad introdurre l’equo indennizzo per i licenziamenti e il salario minimo per i disoccupati, ma il Partito Democratico è in buona parte contrario e i sindacati minacciano scioperi generali.
Finalmente è sotto gli occhi di tutti la follia che imperversa nel nostro Paese, ammantata di buone intenzioni e saggi consigli.
Il Governo presenta un semplice emendamento per introdurre un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti per i nuovi assunti e Pier Luigi Bersani chiede che “il governo dica al Parlamento cosa intende fare nel decreto delegato sul lavoro, perché si parla di cose serie”, come se il testo di legge fosse aria fritta scritta in aramaico, dimenticando che ‘essendo cose serie’ c’è solo da chiedersi perchè non se ne siano occupati Partito e Sindacato nell’ultimo ventennio.
Per non parlare di Matteo Orfini, presidente del Pd, che attacca Renzi con i soliti distinguo dalemiani: “I titoli del job act sono condivisibili. Lo svolgimento meno: ne discuteremo in direzione, ma servono correzioni importanti al testo”. Correzioni? Quali? Il salario minimo che attendiamo dagli Anni ’70, forse? Mai dire mai … pensioni decenti per i disabili?
Oppure il leader Cisl Raffaele Bonanni che spara a zero, dichiarando che “è usato come depistaggio rispetto alla discussione sui temi economici con l’obiettivo di arrivare ad uno scontro nel paese”. E annuncia una mobilitazione unitaria con gli altri sindacati. Ma dimentica che Matteo Renzi mette in gioco la sua credibilità politica europea evitando di tagliare i posti pubblici in esubero (centinaia di migliaia) con conseguenti agitazioni di piazza e blocco dei servizi, come per i regali in finanziaria per Roma Capitale dove i dipendenti comunali pro capite sono il doppio di Milano ma rendono meno della metà.
Peggio ancora per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, secondo la quale “l’articolo 18 è solo ”uno scalpo” da portare ai falchi dell’Ue” ed ha avuto dal Direttivo il mandato per una mobilitazione unitaria con Cisl e Uil, per la quale ieri il segretario generale Luigi Angeletti profetizzava che eliminare l’articolo 18 per decreto è “una stupidaggine in sé. Ma Renzi non l’ha fatto. Perché non ha la forza. E questo vale anche per la riforma della Pubblica amministrazione” … mentre viceversa il decreto c’è e il governo avanza.
Questo è il punto di vista della Sinistra. Oggi i cattivi sono nella santificata Unione Europea (quando serviva a Prodi contro Berlusconi), ieri era il WTO o qualche ente sovranazionale, prim’ancora le multinazionali, ancor prima i latifondisti e i ‘padroni’, eccetera eccetera. Lavoratore, c’è sempre qualcuno che attenta al tuo scalpo … avrebbe detto Tex Willer.
E – dispiace dirlo – finora proposte ZERO. Non si tocca e basta, pur sapendo che siamo l’unico paese al mondo ad avere una norma come l’articolo 18.
Un sindacato convinto – si spera in buona fede – che “tutto sembra urgente e intanto continuiamo a perdere posti di lavoro”, dimenticando l’epocale assenza di investimenti esteri (vedi Alitalia) a causa delle farragini sindacali e giudiziarie, la fuga dei capitali all’estero a causa di politiche fiscali mutevoli ed esose, la debolezza intrinseca di un sistema previdenziale esclusivamente pubblico (vedi Inps), una crisi che si annunciava già tra il 2005 e il 2008, l’abominio della cassa integrazione che crea un ciircuito chiuso di disoccupati privilegiati, ma del tutto inutili.
Una Sinistra che dimentica – o forse non sa – che la perdita di posti di lavoro è la diretta conseguenza dell’eccesso di fiscalità che serve per coprire la spesa pubblica per servizi di serie B, del crollo dell’export in alcuni settori a causa dell’eccessivo costo del lavoro in fabbrica, della caduta dei consumi se tutti i lavoratori devono pagare doppia previdenza, per se stessi e per i pensionati in lire che hanno raddoppiato in euro.
Un sindacato e una bella quota del Partito Democratico – ma non solo loro – che proprio non riescono a tenere a mente che esodati e fornerati si potevano ampiamente evitare esigendo che lo Stato reintegrasse a bilancio dell’Inpap le decine di miliardi di euro per le quali è debitore.
Resta solo da chiedersi per quanto tempo ancora questi sindacati e certa parte della politica vorranno continuare a tutelare le pretese di chi ha già avuto troppo, perchè nato prima, mentre c’è chi non ha nulla, semplicemente perchè nato dopo.
Originally posted on Demata
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