Era il 1976, nella valle di Ebola della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), quando venne riconosciuto per la prima volta un virus appartenente alla famiglia Filoviridae estremamente aggressivo per l’uomo, che causava una febbre emorragica con esiti letali dell’88% .
La febbre emorragica dell’Ebola comprende una gamma di sintomi quali febbre, vomito, diarrea, dolore o malessere generalizzato, astenia e solo a volte emorragia interna e esterna. Alcuni ritengono (Olson PE, Hames CS, Benenson AS, Genovese EN – 1996) che la Piaga di Atene, che afflisse la città dal 429 a.C. al 427 a.C e di cui narra Tucidite, fosse una febbre emorragica del genere di Ebola.
Alcune popolazioni di gorilla di pianura, scimpanze e antilopi dell’Africa centrale, portatrici del virus, sono state decimate da Ebola, che è presente, soprattutto, in tre specie di pipistrelli (Hypsignathus monstrosus, Epomops franqueti, Myonycteris torquata) diffuse in tutta la fascia equatoriale afroasiatica sono state ritenute ospiti naturali o riserve virali.
La catena ‘alimentare’ vede i pipistrelli abbandonare frutti parzialmente mangiati e contaminati dalla saliva, dei quali i mammiferi terrestri come i gorilla e le antilopi poi si nutriranno.
Tra gli esseri umani, il virus viene trasmesso mediante il contatto diretto con i fluidi corporei infetti, oppure, in minor proporzione, per via epidermica o per contatto con le membrane mucose. Il periodo di incubazione può variare dai 2 ai 21 giorni, ma generalmente è di 5–10 giorni.
Sebbene la trasmissione virale per via aerea tra scimmie sia stata dimostrata nel corso di un’epidemia accidentale verificatasi in laboratori americani situati in Virginia , vi è una scarsa evidenza di trasmissioni aeree da uomo a uomo.
Nelle prime fasi l’Ebola sembra non essere estremamente contagioso: il contatto in fase precoce con individui colpiti sembra non causare la malattia, ma come la malattia progredisce, i fluidi corporei presenti nella diarrea, nel vomito e nel sangue rappresentano un rischio biologico estremo.
Non esistono cure o vaccini, solo quando gli ammalati vengono gestiti prontamente a livello sintprobabilità di sopravvivenza.
Finora, a causa della carenza di strumenti appropriati e di protocolli igienico-sanitari, le epidemie erano scoppiate nelle aree più povere ed isolate, ma ormai Ebola è arrivato alle città aereoportuali (Conakry, Freetown e Monrovia) e, nonostante ospedali moderni e personale addestrato, continua ad espandersi.
Dal mese di marzo, sono stati registrati oltre 1.20o casi di Ebola e 672 morti in Guinea, Liberia e Sierra Leone, oltre a diversi altri per viaggiatori infetti rientrati nei propri paesi tra cui una donna di Hong Kong, un britannico e due nigeriani.
“Non ci sono voli diretti da West Africa a Hong Kong, ma una persona infetta è arrivata in città in aereo”, ha dichiarato il ministro della Salute cinese – “Dal momento che Ebola è una malattia molto contagiosa, casi sospetti saranno messi in isolamento, non appena sono identificati.” (South China Morning Post)
Medesime preoccupazioni dal British Foreign Secretary Philip Hammond: in tutti i casi le persone infette avevano fatto un test per Ebola che era risultato negativo.
E’ questo il motivo per il quale l’Organizzazione Mondiale per la Salute ha dichiarato ‘fuori controllo’ l’epidemia. Ma cosa lo rende così pericoloso?
La possibilità che, avvantaggiandosi della promiscuità, del degrado e dell’underworld illegale, Ebola possa ‘conquistare’ una città … come nel romanzo horror The Hot Zone di Richard Preston
Finora si riteneva piuttosto improbabile che Ebola potesse svilupparsi con caratteristiche pandemiche a livello mondiale, per via della sua difficoltà a diffondersi per via aerea.
Stavolta Ebola si è mostrato più insidioso perché da sintomi meno identificabili: solo una metà dei malati presenta emorragie cutanee o interne, nel resto dei casi sono prevalenti febbre e manifestazioni intestinali e l’epidemia covava da mesi nei piccoli villaggi per poi allargarsi alle bidonville metropolitane.
Inoltre, la definizione di “malattia molto contagiosa” – data dal ministro della Salute cinese – va a riferisi al fatto che la trasmissione attraverso l’esposizione orale e attraverso la congiuntiva è probabile ed è stata confermata in primati non-umani (Jaax NK, Davis KJ, Geisbert TJ, Vogel P, Jaax GP, Topper M, Jahrling PB – Feb 1996) e in laboratorio è stato dimostrato (Johnson E, Jaax N, White J, Jahrling P – Aug 1995) che bastano gocce di 0,8-1,2 micrometri per ‘contenere’ il potenziale patogeno, cioè il virus.
Recentemente, è stata dimostrata la trasmissibilità senza contatto da suini a primati non umani. (Weingartl HM, Embury-Hyatt C, Nfon C, Leung A, Smith G, Kobinger G – 2012)
Non a caso Ebola e altre febbri emorragiche sono anche state classificate come armi biologiche di categoria A, come l’antrace o il botulino. (Leffel EK, Reed DS – 2004)
Ma a complicare il quadro ci sono due incidenti avvenuti negli USA tra il 1989 e il 1990.
Il primo avvenne presso la Hazleton Products Research ‘(HRP) di Reston quando vennero messi in quarantena (procedura standard) cento macachi (Macaca fascicularis Cynomolgus) affetti da Ebola ed inviati dalla Ferlite Farms nell’isola di Mindanao, nelle Filippine, tramite Manila, Amsterdam e New York. In quel caso – inspiegabilmente dato che periodo di incubazione di EBO nei primati non umani è di 5-7 giorni – vennero contagiate anche le scimmie arrivate 30 giorni dopo i macachi e segregate in una diversa area di quarantena.
Sei delle 178 persone che avevano avuto contatti con le scimmie infette mostrarono evidenza sierologica di infezione con Ebola-Reston, ma senza sviluppare una malattia filovirus-correlata.
Su 550 persone con diversi livelli di esposizione alle scimmie (o tessuti di scimmia o fluidi corporei) il 7,6% risultò positivo ad almeno uno dei filovirus (EBO-Z, EBO-S, EBO-R, EBO-CI, MBG), ma nessuno dei 42 ebbe una malattia causata da un filovirus.
Il caso delle scimmie infettate negli Stati Uniti spinse il governo filippino a monitorare i lavoratori della Ferlite Farms: su 186 persone, dodici mostravano evidenza sierologica di infezione da EBO-R, mentre una quarantina risultava positiva al test immunofluorescenza indiretta, ma non avevano mostrato sintomi rilevabili.
Ad ogni modo, al momento, le precauzioni da osservarsi per Ebola sono le stesse che per gli altri virus che si trasmettono per contatto (HIV e Epatite C): buone abitudini di igiene, come lavarsi le mani e l’uso di guanti e mascherine, corretta gestione di aghi ipodermici e tecniche asettiche.
Secondo Daniel Bausch, esperto della Tulane University School of Public Health and Tropical Medicine di New Orleans intervistato da Wired, secondo il quale “Potrebbe succedere? Penso di sì. Si trasformerebbe in un’epidemia anche da noi? Non credo. Gli screening negli aeroporti sono fondamentali, ma non ci sarebbe da preoccuparsi nemmeno se dovesse presentarsi qualche caso di infezione, basterebbe che gli ufficiali sanitari prendano le adeguate precauzioni”.
Misure che, comunque, erano usate dal dottor Kent Brantly e dall’infermiera Nancy Writebol, appena rientrati in USA, dopo aver contratto l’infezione.
Dunque, come spiegava al Fatto Quotidiano Pierangelo Clerici, presidente dei microbiologi clinici italiani: “quello che preoccupa di più questa volta però è il salto che il virus ha fatto un Guinea … sarebbe bene che anche l’Italia iniziasse ad attivare misure di attenzione negli aeroporti e nei centri di prima accoglienza” anche se non ha voli diretti con i Paesi vi è ufficialmente l’epidemia.
originale postato su demata
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