India inaffidabile: c’è molto peggio del caso Marò

3 Feb

L’India, durante la seconda metà del 2013, ha visto affondare ben due dei propri sottomarini, con almeno 18 morti, il INS Sindhughosh, che già nel 2008 aveva urtato una nave cargo al largo del Pakistan ed il INS Sindhurakshak carico di armamenti ed appena ammodernato in Russia con un costo di 80 milioni di dollari, che pochi mesi prima aveva dovuto essere soccorso dalla Marina egiziana.

Ad agosto 2013, è stata presentata la prima portaerei disegnata e costruita autonomamente dall’India per ostentare il suo ruolo di grande potenza navale, ma negli stessi giorni un Harrier della Marina indiana, durante uno show, ha distrutto un caseggiato dopo aver urtato una torre telefonica.

Il tasso di mortalità (1996-2005) derivante da incidenti in cui erano coinvolte navi indiane era di 61 morti per 765 navi cargo registrate (8,2 x 1000), ben superiore a Panama (6,9), alle Antille-Barbudos (3,6), all’Italia (1,1), nazioni che avevano un numero paragonabile di cargo registrati.
Ricordiamo – tra i tanti – l’incidente causato dalla MSV Samudra Suraksha – 27 luglio 2005 – quando la piattaforma petrolifera del Mubai Field con 400 uomini a bordo collassò in due ore provocando 11 morti e 11 dispersi in mare.
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La marineria indiana non sembra essere il vanto nazionale e, quando si tratta di mare, l’India non sembra essere capace nè di garantire la propria sicurezza nè quella altrui. Non solo per gli incidenti delle sue navi, ma soprattutto perchè si ostina anche a boicottare la Convenzione Onu di Montego Bay, che consente il cosiddetto “passaggio innocente”, ovvero il transito senza dolo di una nave con uomini armati a bordo, a fronte di un sistema giudiziario molto arretrato e farraginoso.
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C’è la storia dei due marinai tedeschi, detenuti da marzo 2013 e accusati di omicidio per una collisione con un peschereccio, ma rilasciati su cauzione dopo l’intervento diplomatico della Germania.
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C’è il tristemente noto caso dei due Marine italiani imbarcati sulla petroliera Enrica Lexie, accusati di terrorismo – rischiando la pena capitale – per aver ucciso in acque extraterritoriali dei pescatori, che per altro non si erano fatti riconoscere. Militari che da due anni sono in ‘custodia preventiva’ lontani dalle proprie famiglie, in attesa di un processo che nessuno vuole fare.
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C’è la storia della nave MV Seaman Guard Ohio, che vede tutto l’equipaggio (tra cui sei ex soldati britannici) in carcere (ndr. anche il rilascio su cauzione, prima concesso, è stato revocato per un cavillo legale) per il solo possesso di armi da guerra, cuoco e motoristi inclusi, nonostante il fermo intervento della Gran Bretagna e la palese capziosità delle accuse.

Infatti, in ambedue i casi le navi vennero invitata a entrare nel porto di Kochi con la scusa del riconoscimento dell’imbarcazione pirata che aveva tentato un avvicinamento sospetto.
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A proposito di pirateria, l’India non è che se la cavi molto bene a difendere le proprie  navi, visto che a luglio scorso la petroliera indiana Ocean Centurion venne assalita da pirati talmente scalcagnati da limitarsi a razziare denaro e oggetti di valore per poi scappare via. Praticamente, una rapina.

Anche parlare di diritti umani è un eufemismo in India, dove – ricordiamolo – Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni sono detenuti dal 7 febbraio 2010 per lo strangolamento di un loro amico, la cui autopsia dimostra il decesso per altre cause, senza che la magistratura indiana ponga rimedio a questo clamoroso errore giudiziario.

Una nazione, l’India, che pretende il ruolo di super potenza, mentre – nella sola Nuova Dehli nel 2013 – si sono contati più di 1.300 denunce per stupro  e quasi 3.000 aggressioni sessuali, mentre le donne accusano polizia e magistrati di ‘indifferenza’ se non connivenza.

Le condizioni di vita e di lavoro degli operai nel più grande cimitero di battelli del mondo – il cantiere d’Alang in India – era così descritto in un rapporto del 1995 dell’ingegnere Maresh Panda: “Questi avevano problemi di pelle e problemi respiratori dovuti al contatto con materiali tossici. Gli scafi potevano contenere del carburante e i tagliatori li foravano con la fiamma ossidrica col rischio di esplosioni. Il suolo era saturo di prodotti tossici. Ora, la maggior parte degli operai era a piedi nudi e poteva ferirsi. (…) Alloggiavano dai 20 ai 30 in una stessa baracca e dormivano su cuccette sovrapposte. Potevano arrivare a lavorare venti ore al giorno”.

E l’India è anche il paese con il maggior numero di bambini lavoratori: l’Indian Labour Organization computava nel 1996 ben 23,17 milioni di minori al lavoro, di cui 12,67 milioni a tempo pieno (14 ore al giorno). L’ultimo censimento indiano, che risale al 2001, ne conta 12,66 milioni.

Un indiano su due (54%) dichiara di essere ricorso o aver ricevuto una tangente – la media mondiale è al 28% – e i partiti politici sono considerati l’istituzione più corrotta in assoluto con una corruption rate di 4,4 su una scala di 5. La polizia indiana vede un tasso di corrruzione del 62% e si stima che il 31% di coloro che hanno avuto a che fare con un agente abbia pagato qualcosa. Ad ogni modo, anche scuole e college non sembrano esenti con il 48% di tasso di corruzione.

State Bank of India (SBI) nel 2013 ha ceduto ben il 40% della sua capitalizzazione di mercato e ora è scambiato a prezzi scontati del 25%, pur potendo contare su una base depositi di circa 290 miliardi di dollari e una rete di ben 15.000 filiali sparse per tutto il continente indiano.
Intanto, l’Europa della banche preme affinchè si stipuli un trattato di ‘libero scambio’ con l’India … un paese dove non è tutto oro quello che luce e dove, di sicuro, il pensiero del Mahatma Gandhi non è più di casa.
Infatti, dopo due anni la magistratura indiana non è riuscita a fornire in due anni un’accusa precisa verso i nostri Marò, salvo quella di ‘terrorismo’, piuttosto improbabile visto che i militari erano in servizio …

E, intanto, l’Italia inizia a prendere atto che il Governo Monti poteva fare di più.
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originale postato su demata

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