Una delle caratteristiche più concrete del nostro universo – una legge universale a dire il vero – è che ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria. La legge è valida solo per la fisica, ma, da tempo immemorabile, l’Umanità pressoché intera è stata convinta che ciò valesse anche per le azioni degli Uomini.
Se fai una cosa, giusta o sbagliata che sia, prima o poi ti ritornerà indietro con gli interessi, si diceva una volta.
Da circa tre-quattrocento anni, in nome di una ‘grande architettura universale’, un preciso gruppo etnico – la high class degli indoeuropei – sta cercando di convincerci che è vero il contrario, che da azioni pessime possa venire un beneficio, che la vita di una persona si misura dal successo e non ‘per se stessa’, eccetera eccetera.
Così è accaduto, una decina di anni fa, che i nostri WASP bostoniani ed i loro epigoni socialdemocratici europei si siano inventati il tabù del ‘tabagismo’. Cosa comprensibile in Massachussests, dove i ‘democratici’ non avevano ormai più nulla da vietare, meno comprensibile in Europa dove di fatti e misfatti da vietare e perseguire ce ne sarebbero in abbondanza, almeno a vederla da puritani.
Il tutto fu condito da una parola ‘magica’: la ‘salute pubblica’, dato che le statistiche dimostravano che i fumatori tendono ad ammalarsi di tumore ai polmoni con maggiore facilità. A dire il vero, le statistiche, già allora, mostravano che non solo i tabagisti ma tutti i cittadini, neaonati inclusi, avevano un discreto rischio di ammalarsi di tumore per il sol fatto di essere particlarmente esposti al cosiddetto smog dei veicoli a combustione.
Furono inutili le rimostranze dei fumatori, trattati come paria in barba al ‘politically correct’: in alcuni stati esiste il divieto di fumare in pubblico ed i genitori possono essere privati della la patria potestà se fumano in automobile mentre ci sono i figli.
Per non parlare dei nostri media, che sostennero il ‘dovere alla salute’ con accurati servizi salutistici e la rimozione delle sigarette da qualunque inquadratura, nonostante fosse evidente che il fumo poco nuoccia all’habitat se si fa il confronto con tutto quello che scaricano le nostre industrie e le nostre autovetture.
Come dicevo, le cose ritornano e le bugie, aggiungo, hanno le gambe corte.
Così accade che Christopher Portier – Chairman del Centro Internazionale di ricerca sul Cancro – annunci: “le prove scientifiche sono inconfutabili e le conclusioni del gruppo di lavoro sono state all’unanimità: le emissioni dei motori diesel causano il tumore del polmone. L’esposizione a questa miscela di prodotti chimici sia ridotta in tutto il mondo”.
Più chiaro di così …
Quelle che si annunciano, in Italia come altrove, sono ricadute di eccezionale rilievo sulla nostra civilizzazione, se il metro sarà quello usato per sigarette e droghe. Infatti, stando al nostro paese, si tratterebbe del reato di getto pericoloso di cose (674 cod. penale), ma anche di “omissione d’atti d’ufficio nei confronti dei sindaci e dei presidenti di regione inadempienti”, come ostiene Codacons.
Nulla di iperbolico, per capire l’entità del ‘problema’ basti pensare ai quartieri di tante città italiane attraversati da tangenziali o viadotti, in deroga a chissà quali piani regolatori, e privi di trasporto su rotaia.
Un diritto alla salute – ed alla pianificazione urbanistica in tanti casi – che finora non aveva trovato legittimità grazie all’assenza di prove che addebitassero agli scarichi diesel (furgoni, camion, bus e tante autovetture) la causa dei tumori alle vie respiratorie ed alla vescica.
Adesso basta ed addio diesel, dunque, per lo meno in città per il trasporto pubblico e commerciale.
Non in Italia, ma nel mondo, visto che, questione di anni, qualcuno inserirà il parametro nei monitoraggi della qualità della vita, della salute, dell’effettivo livello tecnologico eccetera …
Una chimera? Probabile. Con il diesel, addio trasporto su gomma, quello che, in Italia, ha reso ricche e centrali Torino, Bologna e Roma a discapito di Palermo, Napoli, Trieste e Genova.
Ma allora come potremo parlare di legalità nei quartieri romani a ridosso del Grande Raccordo Anulare od a San Lorenzo, a Napoli, tra Capodimonte e San Giorgio a Cremano, o, ancora, a Milano, a Torino e Genova con la Tangenziale e le case affacciate sopra?
E come potremo giustificarlo, a maggior ragione, mentre da altri paesi arrivano notizie di class actions contro i percorsi di ‘scorrimento’ utilizzati nelle città dai camion e contro le code del traffico persistenti che danneggiano seriamente la salute dei residenti?
Ma non lo faremo, se non tra 10 o vent’anni: i malati presenti e futuri possono aspettare … o pensate che una classe politica di 60-70enni – per altro ormai scampati ai tumori – abbia voglia di occuparsi di altro che non i (loro) problemi di ieri?
originale postato su demata
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