Da diversi mesi, dopo quello del San Raffaele di Milano, si attende il fallimento dell’Istituto Dermatologico dell’Immacolata – San Carlo di Nancy e del Policlinico Gemelli di Roma, ambedue ospedali ‘cattolici’ romani.Non è detto che accadranno, probabilmente no, ma la situazione è molto critica.
Il tutto mentre anche l’IFO Regina Elena – San Gallicano – un ospedale nato da un appalto particolarmente scandaloso – è travolto dallo scandaloso acquisto, a prezzi esorbitanti, di alcune proprietà del San Raffaele con fondi stanziati dall’allora ministro della Salute Ferruccio Fazio, già dirigente dell’ospedale di Don Verzè.
Fondi che dovevano arrivare ai malati e che sono spariti nel crac della sanità cattolica. Un caso che, al di là degli esiti penali, occupa un intero paragrafo della relazione presentata dalla società di consulenza Deloitte, incaricata dalla nuova amministrazione di far luce sui conti del San Raffaele.
Venendo al Policlinico Gemelli di Roma ed ai convulsi tentativi di salvataggio in corso, iniziamo col dire che da diversi mesi le news riportano che vanta un credito di 500 milioni di euro verso la Regione Lazio e che rischia di essere venduto al miglior offerente come il San Raffaele.
In realtà, le cose non stanno esattamente così.
Una parte dei crediti vantati sono semplici partite di giro in cui la Regione Lazio è tramite per i pazienti pervenuti da altre regioni, che a volte saldano con ritardi epocali.
Inoltre, i lavoratori del Gemelli, da settimane in assemblea permanente, denunciano che «pur avendo la Regione corrisposto il pattuito l’amministrazione non garantisce gli stipendi».
Infine, la constatazione che il personale universitario, ovvero ‘i medici’, almeno in parte va in carico al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e non alla spesa per la sanità della Regione Lazio. Medici ‘ma anche’ studenti gettonati e professori universitari, che, lavorando per un ente privato, non sono tenuti a pubblicare curricula e redditi dichiarati.
Non a caso il presidente della Regione Polverini ha tenuto a precisare che “c’è l’impegno mio come commissario e dei due subcommissari che mi affiancano, di cui uno si occupa proprio dei policlinici universitari, che sono importanti ma che determinano complessità.”
Infatti, il ‘Gemelli’, pur essendo nella quasi totalità sede distaccata della Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, rappresenta diverse entità e interessi differenti, se non divergenti, nel caso di una crisi finanziaria,:
- la Facoltà di Medicina, che è parte del sistema universitario ed opera in una città ricca di opportunità e di concorrenza come Roma,
- il Policlinico Gemelli, incardinato nel sistema di gestione e finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale,
- il Complesso Integrato Columbus, che opera in regime di compartecipazione alla spesa da parte del malato ed è in parte di proprietà dell’Istituto delle Suore Missionarie del Sacro Cuore di Gesù,
- la Residenza sanitaria di ospitalità protetta, ovvero una struttura alberghiera di 43 camere, tutte con balcone e dotate di climatizzazione, ubicata all’interno dell’area della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore .
Già a vederla così si capisce subito che la gestione finanziaria presenta dei rischi intrinsechi, specialmente se la qualità viene meno a causa del solito non-ricambio generazionale e se la modernizzazione della società permette ai malati di accedere a servizi tramite la Rete.
Anche perchè l’Università Cattolica del Sacro Cuore nel suo insieme è 535esima nel ranking mondiale delle ‘World Univesities’, mentre La Sapienza è al 128esimo e Tor Vergata al 371esimo …
Non a caso, il primo elemento critico risiede nella lunga permanenza degli attuali professori senior, la loro incapacità di rigenerare i ‘centri di eccellenza’ che il ‘primo’ Policlinico Gemelli aveva aggregato e l’utilizzo massivo di medici neolaureati specializzandi. E non a caso il messaggio che la Regione Lazio ha inviato ai lavoratori, nel rassicurarli, precisava che «abbiamo ricevuto la vostra richiesta di un tavolo, ma prima la trattativa va fatta in sede aziendale».
Una capacità di attrazione del paziente ed una lievitazione di ‘determinati’ costi che è mutata nel tempo anche a causa della concorrenza interna della Columbus, proprio per le eccellenze ed il comfort del malato, ed in conseguenza dell’utilizzo massivo di medici neolaureati specializzandi in reparto, che non può offrire al malato le competenze e le garanzie che si aspetta da un ospedale di tale fama.
Anche i flussi finanziari derivanti dai ‘viaggi della speranza’ si sono attenuati e, per giunta, i malati arrivano spesso da Regioni che saldano il credito dopo molti anni.
Ecco perchè non si riesce a venirne fuori dall’enigma ‘Policlinico Gemelli’: non è solo un ospedale ‘pubblico’, non è solo una facoltà di medicina, non è solo una clinica convenzionata, non è solo una struttura alberghiera, non è vendibile così com’è, non è sostenibile così com’è.
Un altro grosso, imbarazzante e costoso ‘pasticcio’ che ci viene lasciato dalla finanza ‘creativa’ clericale degli anni ’80 (la Columbus è del 1986).
Un’ennesima matassa da sbrogliare derivante dalla poca e cattiva integrazione delle riforme sulla dirigenza pubblica ed equiparata, sui sistemi di bilancio delle unità gestionalmente autonome, sul sistema di accesso e scelta delle cure da parte dei malati.
Cosa aggiungere in un paese dove, nel 2004, erano 95.000 i morti per ‘malasanità’ e dove almeno 370.000 malati cronici rinunciano alle cure per gli ostacoli ed i rifiuti che incontrano?
Non c’è da meravigliarsi se venga meno anche la sanità attenta ‘al rispetto della vita ed alla sollecitudine per il prossimo”.
Certo è che le cose non potranno trovare una soluzione se non sarà prima la dirigenza del Gemelli a fare i suoi passi, separando la lana dalla seta, e se non sussisteranno i presupposti perchè l’eccellenza ritorni nei reparti, se la gestione universitaria continuerà a sovrapporsi aquella sanitaria, se Gemelli e Columbus non opereranno in competizione.
In caso contrario, questo dissesto stravolgerà per anni i bilanci della Regione Lazio, unitamente a quelli dell’IDI, che avrebbe un deficit di 300 milioni, e dell’IFO, che bisognerà vedere come verrà fuori dallo scandalo del San Raffaele.
Questa storia dimostra l’incapacità di risanamento della Regione Lazio, che, oltre ai giusti tagli, avrebbe almeno dovuto cercare di migliorare qualcosa, riportare la qualità, aumentare l’affidabilità dei sanitari e la scelta dei pazienti, incrementare l’accessibilità e l’eccellenza.
Quanto al Gemelli, sarebbe bastata più lungimiranza nella governance e più controllo di gestione per non cadere nel baratro delle competenze condivise e dei pagamenti contestati, mentre l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con sede distaccata a Roma, non dovrebbe potersi esimere dal far fronte a questa situazione, almeno secondo la morale che studia e rappresenta.
Anche perchè, mentre i malati attenderebbero ‘solo’ la qualità di una volta, i lavoratori e le loro famiglie aspettano certezze, allo stesso modo dei fornitori.
Aggiornamento 13 luglio, leggi Gemelli, l’abisso dei licenziamenti?
Leggi anche ‘Sanità: basta sprechi sulla pelle dei malati“
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