La Chiesa ed i segnali che non arrivano dalla classe dirigente

26 Apr

Di seguito, sono riportati ampi stralci della prolusione al Consiglio Episcopale Permanente, tenuta, il 26 marzo, dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della CEI. 

Un discorso eloquente, nella forma e nella sostanza, al quale poco davvero si potrebbe aggiungere, se non l’annotazione che la stampa nazionale e le news televisive praticamente non ne hanno dato notizia, se non fugacemente.

Dando per scontato purtroppo che la crisi non si risolverà né all’improvviso né troppo in fretta, dobbiamo, insieme alle nostre abitudini, modificare il nostro modo di pensare.

C’è bisogno di una visione forte e condivisa che probabilmente ha il suo punto di inizio nella riscoperta del bene comune come ‘universale concreto’. Quel bene che ad un certo punto forse avevamo smarrito in quanto ci sembrava il bene di nessuno, o avevamo scambiato per la mera somma dei singoli processi individuali, deve per ciascuno diventare invece il proprio bene personale.

Solo una generale conversione di mentalità che comporti conseguenze vincolanti – ad esempio, sul fronte del fisco, di un reddito minimo, di un welfare partecipato, di un credito agibile, insomma di un civismo responsabile – può ricreare quel clima di fiducia che oggi sembra diradato o dissolto. Un clima che sollecita e motiva l’affidamento reciproco.

L’approccio finanziario, infatti, senza concreti e massicci piani industriali, sarebbe di ben corto respiro. Solamente ciò che porta con sé lavoro, e perciò coinvolge testa e braccia del Paese reale, ridà sicurezza per il presente e apre al futuro.

Perché questo accada, è necessario che lo Stato e gli enti locali siano solventi e lungimiranti e gli istituti bancari non si chiudano in modo indiscriminato alle richieste di piccoli e medi imprenditori: non ogni ristrutturazione va valutata con diffidenza; è necessario considerare, caso per caso, situazioni e persone, l’onestà insieme all’affidabilità, e alla quota di controllabile rischio senza il quale non può darsi alcun salto nella crescita.

Il Paese, come il resto dell’Europa, è in sofferenza: non si può negarlo. Le parrocchie e le formazioni sociali che vivono a contatto con la gente lo constatano ogni giorno. Tutto rincara e il budget familiare diminuisce. Cambiano così le abitudini, si rivede l’ordine delle scelte. Con i provvedimenti adottati è stato portato al sicuro il Paese, facendo proprie – pur con qualche adattamento – le indicazioni comunitarie.

Bisogna però che si approfitti il più possibile di questa stagione, in cui si è costretti a dare una nuova forma ai nostri stili di vita: uscire dall’immobilismo; cominciare a fare manutenzione ordinaria del territorio; continuare nella lotta all’evasione fiscale; semplificare realmente alcuni snodi della pubblica amministrazione; dotarsi di strumenti pervasivi e stringenti nel contrasto alla corruzione e al latrocinio della cosa pubblica.

Soprattutto, azionare tutti gli strumenti e investire tutte le risorse a disposizione – dello Stato, dell’imprenditoria, del credito, della società civile – per dare agli italiani, a cominciare dai giovani, la possibilità di lavorare: non solo per sopravvivere, ma per la loro dignità. Ma anche approfittarne per rinnovare i partiti, tutti i partiti: non hanno alternativa se vogliono tornare – com’è fisiologico – ad essere via ordinaria della politica ed essere pronti – quando sarà – a riassumere direttamente nelle loro mani la guida del Paese. Per intanto dal Governo sono attese soluzioni sospirate per anni.

Come Vescovi chiediamo di tenere insieme equità e rigore.

Senza uscire dal novero delle nazioni industrializzate, anzi preservando nella ragionevole flessibilità gli insediamenti che coltivano le specificità e le eccellenze, dobbiamo perseguire un’economia sociale di mercato, nella linea della cooperazione e dei sistemi di un welfare condiviso. Il modello economico perseguito lungo i decenni dal nostro Paese è stato ed è una prodigiosa combinazione tra famiglia, impresa, credito e comunità.

Per l’uomo comune come per quello importante, «l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo. Per Dio invece l’autorità significa servizio, umiltà, amore.

È l’insieme che va reinterpretato e rilanciato, recuperando stima nelle imprese familiari e locali, a cominciare da quelle agricole e artigianali. Nella realtà odierna nessuno può pensare di preservare automaticamente delle rendite di posizione. Bisogna sapersi misurare con le mutazioni incalzanti che costringono ad un pensare nuovo.

Bene sommo è la persona, e la persona che lavora; per questo vanno create le condizioni perché le opportunità di impiego non sfumino, e con esse le abilità manageriali e i capitali necessari all’impresa.

La globalizzazione è una condizione ineluttabile, con aspetti che, se non governati, possono modificare radicalmente i destini di un popolo: per questo dobbiamo starci dentro con la nostra cifra sociale, superando con la necessaria gradualità gli strumenti che sono inadeguati, per raggiungere, nelle condizioni date, la soluzione meglio condivisa.

La congiuntura ci deve migliorare, non appiattire e ancor meno schiacciare. Si dovrà probabilmente lavorare molto prima di tornare a vedere risultati importanti, ma quel che conta sono i segnali affidabili e concreti che devono arrivare dalla classe dirigente.

Questo il senso generale della prolusione del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Angelo Bagnasco.

Un “discorso” aperto un mese fa, oramai, e finora rimasto scandalosamente privo di eco ed inequivocabilmente carente nelle risposte.

originale postato su demata

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