Curriculum che parlano

8 Feb

Non pensavo che un banale post, dove si andava a ricostruire criticamente un curriculum “esemplare” link, potesse contribuire a scatenare un “caso” e mi sembra utile aggiungere qualcosa, dato che non è stato affatto un “attacco strumentale e gratuito a una studiosa”.

Iniziamo, innazitutto, col ribadire che “riguardo le qualità culturali e scientifiche della persona in questione nulla è messo in dubbio nel post, che non a caso precisa “una nomina, di sicuro, non immeritata, se PubMed mostra in review ben 93 pubblicazioni della dottoressa Silvia Deaglio.”
Come anche, nulla di quanto scritto nel post fa riferimento a cumulo di borse, doppi lavori et similia, ripostati in rete. Anzi, a leggere il curriculum c’è solo da prender atto della sua bravura nel campo della ricerca e nella fortuna che l’ha assistita nell’economicamente oneroso cursus studiorum.

Però, se andiamo a chiederci “quali sono le eccellenze, curriculum alla mano, dei “giovani” che dovrebbero avvicendare gli attuali gerontocrati, bypassando le generazioni intermedie”, sorge un preciso quesito quesito, anche tenendo conto delle doti scientifiche dell’oncologa: “Ma con un curriculum così, quanta esperienza clinica, magari proprio in reparto tra i malati che combattono quotidianamente con il cancro, può aver effettivamente maturato, a 14 anni dalla laurea, il medico Silvia Deaglio, che ha “sempre” fatto ricerca e docenza?”.

Ma non solo, le domande che pone, indirettamente, il post – le domande che io mi pongo, per l’esattezza – sono diverse dall’aspetto scandalistico o personalistico e riguardano la nostra società italiana.

Il post si titola “Fornero, una figlia in carriera”: è la storia quella che conta, perchè è esemplare, sia nel successo (non messo in discussione) dell’oncologa, sia, soprattutto, dalla rapidità con cui tutti i gradini necessari per diventare un professore di seconda fascia siano andati a posto con un sincronismo da record, anche tenendo conto del ceto sociale, elevatissimo, della ragazza.
Silvia Deaglio è certamente la persona tra le più fortunate del paese, almeno per quanto riguarda il lavoro, è il suo curriculum a raccontarlo.

E, visto che Elsa Fornero è il ministro del Welfare, dobbiamo necessariamente chiederci se, leggendone il curriculum, la nostra oncologa avrebbe avuto la medesima “rapidità di carriera”, ovvero di accumulare riconoscimenti e finanziamenti, nel caso fosse stata una persona qualunque con una famiglia alle spalle del ceto medio o, peggio, della cosiddetta worker class.

Purtroppo, la risposta è no, basta consultare le statistiche per saperlo: l’improbabilità del dato è estrema ed, a dirla tutta, i figli della worker class di iscriversi a medicina non ci pensano neanche. Troppi anni e niente soldi per avviare uno studio di periferia.

Ovviamente la questione non è rivolta a Silvia – cosa farci se il destino le è benevolo – ma alla madre Elsa, che sembra, in quello che dice ed in quello che fa, di non ricordare che si occupa di Welfare, ovvero di politica e di pari opportunità di accesso a diritti e servizi.
Anche nelle banlieu nascono dei geni, perchè nessuno oggi si fa strada legalmente, mentre 30 anni fa era ancora possibile? E di cos’altro dovrebbe occuparsi un ministro del Welfare, congiuntamente ai suoi colleghi, se si vuole essere un governo giusto?

Oppure, parliamo sempre del curriculum, andrebbe chiarito – esiste anche una deontologia “dei docenti” ed un’altra “degli scienziati” – se sia del tutto “limpida”, per un docente di un’università pubblica e non privata,  l’esser prima diventata “head” della Immunogenetics Research Unit finanziata da un ente privato afferente alla Compagnia ove mamma è il “number two” e, solo poi, professore associato, direttamente in seconda fascia.

Troppo facile poter addiritura “avere” un centro di ricerca indirettamente finanziato dalla Compagnia di mammà e poi partecipare ad un concorso pubblico per titoli: è una questione di stile.

O, ancora, cosa ce ne si fa ed a chi vanno a beneficiare le tante borse di studio di fondazioni private e non, tra cui leggiamo Telethon nel curriculum in questione, che arrivano dai fondi raccolti – per le stelle di Natale o con gli sms, ad esempio – proprio tra le fasce più bisognose della popolazione. Silvia Fornero Biagi aveva certamente una disponibilità di mezzi “molto importante”, in famiglia, la borsa poteva andare al secondo classificato.

Utile precisare che Telethon ha intrapreso un rapporto di collaborazione con le fondazioni di origine bancaria, tra cui spicca il nome della Compagnia di San Paolo.

E, dunque, facendo riferimento, ai fondi che arrivano dai grandi enti della finanza e dell’industria, andrebbe fugato il dubbio che, in casi deprecabili, questo possa rivelarsi un modo “impeccabile” per finanziare gli studi di giovani “eccellenti”, inserirli in gruppi di lavoro importanti, dotarli di un vistoso “blasone” su cui impiantare il curriculum vincente.

Non è certo il caso di Silvia Deaglio, meritevole di suo a quanto pare, ma la “linea fortunata”, che possiamo evincere dal suo curriculum, dovrebbe renderci cauti quando, in Italia, ma forse in tutta Europa, si parla di “professori” e di “giovani eccellenti”.

Dubbi che dovremmo fugare per il bene del paese, visto che non “il caso”, ma statistiche decennali, ci raccontano di sedi/organici eccessivi e del notorio nepotismo degli ambienti accademici.

Come anche ci ritroviamo troppo spesso a leggere delle onlus e delle fondazioni che poco, troppo poco, offrono ai malati, a fronte di un gettito rilevante, che, a quanto pare, si volatilizza in spese di gestione, borse per “eccellenze” e fondi per la “giovani ricercatori”.

Come, infine, dovremmo affrontare il problema dei finanziamenti privati alla ricerca pubblica, che presenta potenziali problemi di conflitto di interessi, che potrebbero danneggiare la ricerca effettivamente innovativa, e diversi “buchi nel recinto”, attraverso i quali, avendo i soldi, è possibile “costruire una carriera” in breve tempo.

Non è certo il caso di Silvia Deaglio, studiosa seria come del resto la madre, ma dalla sua “linea fortunata” possiamo evincere un “percorso” facilmente perseguibile da giovani molto meno dotati e “soltanto fortunati”.

Tanti quesiti, tra cui quello che conta.
Elsa Fornero da due mesi si occupa di politica e sembra non essersene del tutto accorta, come del resto tutto il governo Monti. Certe scelte o cert’altre affermazioni nessun politico, italiano e non, si sognerebbe mai di dirle o metterle in atto.

Quanto impiegheranno i “professori” per capire che si stanno occupando, da premier e da ministri, della “politica di una nazione”, che non è un modello teorico a cui applicare formulette anglosassoni e, soprattutto, tagliando dove “si può”, che è ancor peggio che fare tagli lineari, o delegando le riforme strutturali del sistema di amministrazione pubblica alla politica dei partiti, che, prendiamo atto, non c’è.

originale postato su demata

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