Come tutti abbiamo potuto constatare in questi giorni, dietro la “denominazione” precariato, convivono realtà piuttosto diverse.
I precari propriamente detti sono solo i laureati ed il personale tecnico under40, vittime di una eccessiva flessibilità del lavoro nei settori di riferimento, che, in realtà, sarebbero perfettamente in grado di assorbirli e stabilizzarli, se non fosse per la pessima legge sulle pensioni che ci ritroviamo a causa dell’immantinenza degli enti di Stato di fascista memoria.
Poi ci sono, da una parte i lavoratori senior poco qualificati, che soffrono a causa della crisi ma soprattutto dell’arretratezza del paese, di cui sono loro stessi concausa, e tanti under30 che stentano a trovare un lavoro stabile e sono pressochè privi di qualifica, con lo striminzito diplomino da 60/100esimi che si ritrovano dopo anni di promozioni facili ed autogestioni bimestrali.
I lavoratori precari sono un’altra cosa: sono qualificati, hanno esperienze consistenti di lavoro, cercano di migliorare la propria posizione e di tenersi il lavoro.
Tre mondi diversi, di cui uno solo, quello dei veri precari, andrebbe tutelato, ma non lo è, mentre per gli altri due non esiste una legge che includa, come generalmente in Europa, l’accesso alla formazione ed al volontariato, oltre che un’effettiva ricerca di lavoro, come conditio sine qua non per accedere a sussidi e status protetti.
E’ corretto e legittimo definire “precari”, persone che in realtà non studiano e non hanno studiato per “imparare un mestiere” o migliorare una qualifica, che non cercano lavoro in base a cosa sanno fare realmente, che, pur stando senza far nulla, non chiedano di esser aiutati/coinvolti in quel sistema di volontariato che ci costa un occhio della testa in tasse?
originale postato su demata
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