Archivio | ottobre, 2011

Alemanno e Polverini: un serio problema italiano

28 Ott

Le gestioni di Alemanno e Polverini stanno portando Roma sull’orlo del baratro.
Il primo segnale, come al solito, è il traffico, ormai del tutto impazzito. Fa notizia l’alluvione per scarsa manutenzione od il blocco di un intero quadrante, solo perchè apre un supermercato. Non fa notizia, da tanto tempo, il dover impiegare 2 ore per percorrere  45 chilometri di bretelle autostradali od un’ora  in autobus per una decina di chilometri in città.
Va detto che con Veltroni non era molto diversa la situazione, ma Alemanno aveva promesso di risolvere i problemi della mobilità e quello che si è visto è solo un’asfaltatura affrettata ed a macchie di leopardo.
Il secondo campanello di allarme, sempre secondo tradizione, è l’esplosione palazzinara provocata dal Piano Regolatore voluto da Veltroni e derogato da Alemanno, cui si va ad aggiungere il micidiale Piano Casa che la Polverini pretende di attuare. Ovviamente, niente metro, niente linee aggiuntive, niente passanti veloci, niente di niente.

Si arriva, poi, ai servizi sociali e sanitari, dove chi ha già avuto continua a prendere e chi avrebbe diritto si vede spesso respinto al mittente. Intanto, si tagliano diagnostica e cure “non essenziali”, in una città dove bisognerebbe da tempo abbattere, ricostruire e riorganizzare (con altro personale) il Policlinico Umberto I.
Come la “sicurezza”, che è talmente peggiorata, a parte omicidi in crescita e pattuglie in deficit, che il famoso boss mafioso Rosario Gambino se ne stava tranquillamente in clinica a Roma.
Il turismo è un disastro, ormai impera il low cost che poco porta alla città, dato che Roma non è capace di svilupparsi secondo logiche commerciali e manageriali, ovvero in grado di promuovere e vendere un “prodotto”.
Formazione ed occupazione al lumicino: basti dire che in città proliferano i licei e che già da un ventennio si devono “importare” tecnici da altre regioni.
Per arrivare ai rifiuti ed alle discariche, insufficienti e strabordanti, in una città che vanta una raccolta differenziata da record, ma dove non si vede un cittadino uno che scenda di casa col sacchetto dell’umido …
E per non parlare del “modus operandi”, decisamente censurabile, se il ministro per i Beni e le attività culturali, Galan, può permettersi di affermare che “da quando sono a Roma ho visto cose dell’altro mondo.” La Polverini “è prepotente, forza la legge.”

Un crollo verticale, quello che sta subendo Roma, che arriva dopo le vistose crepe che iniziarono a mostrarsi con la Giunta Veltroni e che determinarono la sconfitta elettorale del centrosinistra.
Arrivare fino al 2013 sarà molto, molto difficile e l’attendismo del PD, speranzoso di riprendersi Comune e Regione allo scadere del quinquennio e non prima, non potrà altro che disincentivare i cittadini e togliere ulteriore credibilità alla politica romana.
E sarà ancor più difficile, con una capitale così, mettere in atto le riforme che l’Italia aspetta.

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Lettera all’Europa: la lista degli intenti

27 Ott

Questa la lista, al possibile completa, della miriade di promesse e garanzie che il Governo Italiano, senza l’avallo del Ministro dell’Economia e delle Finanze, ha promesso all’Europa a nome di tutti noi.

Incredibilmente, l’Europa “ci crede”, forse allettata dall’enorme svendita che Berlusconi promette, ma ditemi voi se, nell’Italia che ben conosciamo, sia possibile mettere in atto una tale manovra in una dozzina di mesi, se alcune misure siano davvero opportune, come quelle ad esempio, sui trasporti o la concorrenza e se altre, quelle sul sistema elettorale o sulle liberalizzazioni, siano esenti da itneressi di fazione o personali.

  1. Pensione a 67 anni dal 2026
  2. Libertà di licenziamento per «motivi economici»
  3. Privatizzazione dei servizi pubblici locali
  4. Liberalizzazione dei servizi nei comparti idrico, dei rifiuti, dei trasporti, locali e nazionali e delle farmacie comunali
  5. Liberalizzazione degli orari dei negozi, della distribuzione dei carburanti ed delle assicurazioni Rc auto
  6. Piena attuazione della Riforma Brunetta
  7. Tariffe minime dei professionisti derogabili
  8. Contratto di apprendistato e rapporti di lavoro a tempo parziale per donne e giovani
  9. Garanzia dello Stato per i mutui dei precari
  10. Riforma dei sistemi fiscale e assistenziale
  11. Integrazione operativa delle agenzie fiscali
  12. Razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell’amministrazione dello Stato e degli enti della previdenza pubblica
  13. Riorganizzazione della rete consolare e diplomatica
  14. Privatizzazione delle aziende controllate dagli enti territoriali
  15. Contratti di programma dei maggiori aeroporti italiani
  16. Ottimizzazione delle gestioni negli impianti portuali
  17. Semplificazione in materia di trasporto eccezionale su gomma
  18. Rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa
  19. Agevolazioni fiscali ridotte del 5% per il 2012 e del 20% dal 2013
  20. Riforma costituzionale della libertà di iniziativa economica e della tutela della concorrenza
  21. Agevolazione della capitalizzazione delle aziende
  22. Deducibilità del rendimento del capitale di rischio
  23. Partecipazione pubblica di venture capital e private equity
  24. Costituzione di zone a burocrazia zero in tutto il territorio nazionale
  25. Razionalizzazione e soppressione delle Provincie
  26. Riallocazione delle funzioni delle Regioni o ai Comuni
  27. Riduzione significativa del numero dei parlamentari
  28. Riforma in senso federale dello Stato
  29. Rafforzamento del ruolo dell’esecutivo e della maggioranza
  30. Modifica dell’elettorato attivo e passivo per l’elezione al Parlamento nazionale
  31. Piano organico per le dismissioni, in collaborazione con le principali istituzioni economiche e finanziarie internazionali
  32. Trasformazione delle aree di crisi in aree di sviluppo

Sarkozy esulta, sperando di “comprarsi” Enel, Eni e, magari, Finmeccanica; la Merkel è “gelida”: da buona tedesca riconosce danni e bugie a miglia di distanza.

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Le misure dell’Italia al vaglio dell’Europa

26 Ott

Solo nel pomeriggio è arrivata a Bruxelles la lettera di intenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cioè del governo italiano, con l’elenco degli interventi vincolanti di finanza pubblica e di politica infrastruttuale che l’Italia intende attuare con scadenze chiare per invertire deficit e declino.

Cosa sia contenuto in questo documento, al momento non è noto agli italiani, mentre lo è a cittadini quali sono i politici ed i tecnici che valuteranno e determineranno il destino del Bel Paese.

E’ evidente che ci sia un “difetto di democrazia”, che è, solo in certi limiti, comprensibile a causa delle speculazioni e delle proteste che il documento potrebbe scatenare, se fosse reso pubblico prima ancora di diventar legge.

Quello che non è comprensibile, e che l’Europa non dovrebbe avallare, è che questo testo incognito che nasce da un concentrato di “conflitti di interessi”, tra premier, ministri e sottosegretari, vuoi per i noti interessi finanziari di Berlusconi, vuoi per le indagini di mafia, tra gli altri, Cosentino e Romano, vuoi per le “quote latte” e non solo, difese a squarciagola da Bossi e Calderoli. Un “conflitto” che si estende all opposizione, se parliamo dell’UDC e di una parte del PD, che hanno ereditato gli interessi consociativi dell’ex-DC e dell’ex-PCI.

Non è un caso che, finora, si sia sentito parlare di condoni e pensioni, che, tra l’altro, hanno destato notevoli perplessità tra tecnici e politici di maggioranza e di opposizione. Una miriade di proposte, se consideriamo il periodo agosto-ottobre, di cui non si sa “quanto e cosa” sia stato inserito nella stesura finale.

Non può nascere una “nuova” Italia senza trasparenza e non potrà esser chiesto a chi reclamerà di essere “politically correct”, se il popolo neanche sa cosa pende sulle proprie teste e la decisione viene presa all’estero.

E’ un “difetto di produzione”, un greve dubbio che non possiamo permetterci, se tutto va a cambiare e si deve invertire la rotta.

A prescindere dalla qualità degli intenti italiani, elencati in lettera e per ora piuttosco oscuri e confusi, speriamo che l’Europa, prima di decidere, vorrà rendere pubblico tutto, dato che la larga parte degli italiani non merita di essere considerata alla stregua di “B Citizens” perchè sta mostrando, da anni, una pazienza ed un senso di responsabilità, almeno per ora, paragonabile a quello degli islandesi o degli spagnoli.

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Piano Casa: cade la Giunta Polverini

25 Ott

Il Piano Casa approvato dalla Giunta Polverini  ha lo scopo di rilanciare l’edilizia nella Regione Lazio, semplificando le procedure amministrative che, fino ad oggi, hanno permesso speculazioni edilizie, ecomostri, ammassi di case popolari, piccoli abusi spesso condonati.

Perchè rilanciare il sistema palazzinaro? Per dare una risposta concreta alle aspettative delle famiglie … “tutelando il territorio” e “promuovendo la realizzazione di alloggi a canone calmierato a beneficio delle fasce sociali svantaggiate”.

Il bello è che il Lazio non ha una particolare crescita demografica, se non grazie all’enorme quantità di persone che arrivano a Roma, come in ogni metropoli, in cerca di opportunità, che non esistono, in tempo di crisi e, si spera, di smantellamento della Casta dei ministeri e degli enti inutili, delle aziende di Stato e dei costosi apparati di partiti e sindacati.

E’ lecito chiedersi chi pagherà, controllerà, manutenterà le case assegnate a questa enorme massa di fasce sociali svantaggiate, che ogni ventennio is rinnova e si amplia, a Roma e solo a Roma, chiedendo case e sussidi. Ci sarebbe da chiedersi anche a cosa serviranno tra una generazione o meno, quando un quarto dei romani (gli over65) non ci sarà.

Dunque, accade che il Governo Berlusconi, in larga parte del PdL, abbia bloccato il provvedimento regionale che non appare affatto in linea con la domanda di equità e di innovazione che arriva dagli italiani e, si spera, dai cittadini del Lazio e di Roma: se proprio c’è da costruire case pubbliche si pensi al Sud, dove le condizioni di abitabilità, in certe zone, sono notoriamente scarse e contiamo i morti a decine ogni anno per frane e nubifragi che si abbattono su edifici mal messi.

Risultato?  Gli assessori del Pdl della giunta regionale del Lazio hanno «rassegnato le dimissioni» rimettendo «le deleghe nelle mani» del governatore Renata Polverini, dato che «ritengono incomprensibile una scelta che mette in discussione uno dei punti qualificanti del programma elettorale del Popolo della libertà sia a livello locale che nazionale, come più volte ribadito dallo stesso presidente Berlusconi».

Prendendo atto che il governo della Regione Lazio è caduto, non mi sembra ci sia da meravigliarsi, dato che molto poco del programmi promessi ai cittadini è stato attuato dai governi italiani (e regionali) della Seconda Repubblica: a noi piacciono “bravi a promettere” e poco ci interessa se poi le cose vengano realizzate.

Amiamo le parole, ci piace manipolarle, ma non riusciamo a comprendere che “tra il dire ed il fare” c’è di mezzo il mare …

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Età pensionabile a 67 anni? Un disastro generazionale …

24 Ott

L’Europa chiede, da tempo a dire il vero, che il sistema pensionistico italiano venga riformato. Ed è abbastanza semplice intuire cosa intendano gli altri europei per “riforma”: superamento dell’INPS di totalitaria memoria, liberalizzazione del comparto assicurativo, cancellazione delle pensioni d’annata.

E’, del resto, piuttosto improbabile che si possa chiedere ad una nazione di innovare ed ammodernare, riducendo costi e sprechi, mentre contemporaneamente si pensa di mantenere al lavoro proprio i sessantenni che, da due decenni, rifiutano modernità, trasparenza, digitalizzazione e globalizzazione.

Eppure, Silvio Berlusconi pensa di portarci tutti a 67 anni di età pensionabile, credendo, così facendo, di accontentare sia l’Europa ed i mercati sia i sindacati e sinistre, che, incredibilmente, continuano a barattare il vecchio per il nuovo, riducendo i posti di lavoro disponibili per i giovani pur di “garantire” una congrua pensione per chi arrivasse a 65 anni con meno di 35 anni di contributi sulle spalle.

Vi sembra giusto?

Intanto, mancano 48 ore all’ultimatum di Merkel e Sarkozy …

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Tutti precari? Facciamo qualche distinzione …

23 Ott

Come tutti abbiamo potuto constatare in questi giorni, dietro la “denominazione” precariato, convivono realtà piuttosto diverse.

I precari propriamente detti sono solo i laureati ed il personale tecnico under40, vittime di una eccessiva flessibilità del lavoro nei settori di riferimento, che, in realtà, sarebbero perfettamente in grado di assorbirli e stabilizzarli, se non fosse per la pessima legge sulle pensioni che ci ritroviamo a causa dell’immantinenza degli enti di Stato di fascista memoria.

Poi ci sono, da una parte i lavoratori senior poco qualificati, che soffrono a causa della crisi ma soprattutto dell’arretratezza del paese, di cui sono loro stessi concausa, e tanti under30 che stentano a trovare un lavoro stabile e sono pressochè privi di qualifica, con lo striminzito diplomino da 60/100esimi che si ritrovano dopo anni di promozioni facili ed autogestioni bimestrali.

I lavoratori precari sono un’altra cosa: sono qualificati, hanno esperienze consistenti di lavoro, cercano di migliorare la propria posizione e di tenersi il lavoro.

Tre mondi diversi, di cui uno solo, quello dei veri precari, andrebbe tutelato, ma non lo è, mentre per gli altri due non esiste una legge che includa, come generalmente in Europa,  l’accesso alla formazione ed al volontariato, oltre che un’effettiva ricerca di lavoro, come conditio sine qua non per accedere a sussidi e status protetti.

E’ corretto e legittimo definire “precari”, persone che in realtà non studiano e non hanno studiato per “imparare un mestiere” o migliorare una qualifica, che non cercano lavoro in base a cosa sanno fare realmente, che, pur stando senza far nulla, non chiedano di esser aiutati/coinvolti in quel sistema di volontariato che ci costa un occhio della testa in tasse?

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Roma, la Val di Susa ed il Fight Club

23 Ott

Ad una settimana dalla manifestazione convocata dal Partito della Rifondazione Comunista ed altri, che ha coinciso con l’ennesima devastazione di Roma a causa di “black bloc infiltrati”, gli arresti si contano ancora sulla punta delle dita.

In tutto tredici, incluso un gruppetto di amici dei Castelli Romani dall’aspetto dark e che poco sembra avere a che fare con gli scontri, l’ormai arcinoto Er Pelliccia, lanciatore di estintori in Mondovisione, ed un antiTAV, già noto alle forze dell’ordine. Dimenticavo, c’è anche un giovane lavoratore rumeno, forse lì senza scopi violenti, pensando che a Roma sarebbe stato come a Madrid o Londra.

Arresti tutti da perfezionare, sia per gli aspetti legati alle indagini sia per quanto relativo il dato antropologico generale .

Da un lato è impensabile che chi si vesta di nero, per altro colore principe della moda e delle discoteche, debba cambiarsi d’abito prima di andare ad una manifestazione. Sono i black bloc ad aver trasformato “il nero” in una divisa, ma è la polizia a cadere, eventualmente, in equivoco.

In secondo luogo, Er Pelliccia. Un ragazzo a modo per i genitori, un pericoloso soggetto a vedere le foto. Ventiquattro anni ed, a leggere gli articoli, non sembra lavorasse o studiasse. Non ho capito perchè i genitori siano così stupiti di ritrovarsi, purtroppo per loro, il “mostro” in prima pagina.

Un “non sembra lavorasse o studiasse” che ritorna con persistenza dalle tante interviste televisive di questi giorni, fatte a leader di base della cosiddetta “rivolta sociale”. Un ripetersi di “lavoro che non c’è”, “di crisi che affama il popolo”, “di abbandono da parte dello Stato”; mai un dire “ho studiato non mi trovo nulla”, “ho cercato di inserirmi”, “ho fatto corsi”, “ho perso il lavoro perchè …”.

Una marginalità che vuole lavoro ma non cerca qualificazione e meritocrazia. Qualcosa di molto, molto diverso dagli “operai specializzati” della FIOM di Landini, questo va detto, e non si capisce perchè e per come Ferrero o Maroni vogliano metterli tutti assieme.

E qui arriviamo all’antiTAV arrestato ieri a Chieti, in procinto di partire, dopo Roma, per andare in Val di Susa, che si spera proprio venga condannato con severità se non collaborerà con la giustizia, facendo i nomi di tutto il network cui appartiene. Qualcosa di simile potrebbero, forse, fare gli abitanti della Val di Susa, dove finora i violenti hanno potuto contare sulla “non ostilità” della popolazione.

E’ dal G8 di Genova che abbiamo dovuto prendere atto dell’esistenza di questi personaggi. All’epoca, l’attenzione fu distolta dalla morte di Carlo Giuliani e dai pestaggi avvenuti nella scuola media, ma pochi ricordano, ormai, che i fatti degenerarono anche perchè le Tute Bianche rifiutarono, ad assalti già iniziati più avanti, il momentaneo alto là delle forze dell’ordine.

Oggi, abbiamo un piccolo network di “teste calde” che si ispirano al noto film “Fight Club”, è da lì che prendono la “divisa nera”, è quello lostile dei piccoli devastatori di scuole medie e superiori, è quella la divisa in black che “sfoggia” Er Pelliccia con i due amici ai giardinetti.

Fight Club è una parola a doppio senso, ricordiamolo, e significa sia Circolo del Combattimento sia Fascio (mazza fasciata per l’esattezza) da Combattimento …

Siamo partiti col legittimare gli Antagonisti e con il coccolare Ultras e Centri Sociali ed, oggi, siamo ai piromani ed agli iconoclasti.

Ci siamo persi qualcosa?

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Cedere le Terre di Stato: una bella idea da verificare

22 Ott

Si inizia a parlare, finalmente, di agricoltura. Si parte dalle cosiddette “terre di Stato”, ovvero dei 338.127,51 ettari di terreno coltivabile, in termini tecnici Sau, che attualmente sono di proprietà dello Stato e sono sottoutilizzati.

“La Coldiretti ha presentato una proposta: vendete questa terra ai contadini, servirà anche a permettere l’accesso alle campagne a nuovi agricoltori, soprattutto giovani. E lo Stato, in cambio, incasserebbe una bella cifra: 6 miliardi e 221 milioni di euro.”

Lo riporta La Repubblica, confermando, stranamente sottolineature,  il “si può fare” del ministro Romano, proprio quello quello indagato per mafia, che passando dall’opposizione al PdL salvò Berlusconi tempo fa. Strano vero?

350mila ettari ceduti ad imprese in grado di investire ed essere produttive per di difendere l’occupazione ed il made in Italy o dispersi tra una miriade (centomila o quanti?) di “contadini”, “nuovi agricoltori”, “soprattutto giovani” che vivranno di sussidi e marachelle in balia dei soliti prepotenti?

L’idea di “incassare 6 miliardi e rotti di Euro” è allettante per l’Italia e per l’Europa, ma siamo sicuri che il “sistema agroalimentare”, nel tempo, non ci verrebbe a costare di più, se la cessione dovesse attuarsi senza intervenire complessivamente sull’agricoltura, sulle aziende agricole e sui sussidi, sulle leggi che normano il settore, sul necessario protezionismo che l’UE dovrà attuare a fronte di un’enorme immissione sul mercato di terreni coltivabili?

Quali aiuti ed incentivi risulteranno “sani” e quali “perversi”? Come reagiranno i mercati ed i prezzi? Quali studi di settore? Oppure ritorneremo alla mera sussistenza col pretesto di “aiutare i giovani”? Ed il rischio del riciclaggio e delle mafie?

Le prospettive, infatti, possono essere piuttosto lusinghiere od affatto, a seconda di quale impianto normativo dovesse accogliere, strutturare e rilanciare l’ingigantito sistema agroalimentare italiano che, a dire il vero, aspetta ancora le riforme promesse da Garibaldi per sollevare i Siciliani.

Basti dire che, oggi, l’agricoltura contribuisce al PIL nazionale per il solo 4% e che, con l’attuale livello di produttività, liberare 350.000 ettari significherebbe creare un ulteriore esercito di sussidiati e di sfruttati, dalle quote latte alle coop, ai consorzi ed alle “aziende familiari”, dai mercati all’ingrosso al lavoro nero dei migranti ed il caporalato.

Si pensi, ad esempio, ad una famiglia di un piccolo proprietario di 20 ettari coltivabili, che ne affitta la parte eccedente a quella per rientrare nei limiti della conduzione familiare per poi incassare ogni genere di sussidio … coltivando poco e nulla di quello che possiede. Oppure alle Coop, che a vedere l’elenco dei soci si capisce subito di trovarsi dinanzi ad una azienda di famiglia di medie dimensioni. Od, infine, alla frutta che troviamo ormai in tutti i supermercati, che è stata palesemente colta ben prima della completa maturazione e non se ne spiega il motivo, se non in una pessima distribuzione, visto che i campi da cui proviene sono spesso a meno di duecento chilometri. Per non parlare di quanto ci costano le calamità naturali a causa della scarsa consutudine a stipulare polizze assicurative. Sono tutti elementi che strutture come il MEF, Bankitalia o ISTAT, ma anche l’UE, possono, anche celermente, misurare o comunque stimare, sempre che non ne siano già in possesso.

La cessione delle terre di Stato è talmente massiva da richiedere una propedeutica riforma del sistema agroalimentare italiano.

Il modello a cui far riferimento, almeno in termini di mercato, è quello californiano, con coltivazioni al possibile estensive e sempre di buona qualità, strutture aziendali fortemente finalizzate al marketing e leggi che facilitano, ad esempio, i permessi da frontalieri per i messicani che lavorano nei campi.

La proposta di Coldiretti va ri-letta, dunque, in un’ottica che faciliti la concentrazione sia per una migliore produttività delle coltivazioni o per ottenere una maggiore e più stabile penetrazione nei marcati esteri, sia per avere quella forza contrattuale necessaria per contrastare le lobby che controllano i mercati logistici e per riassorbire i danni di calamità e crisi di mercato.

Quanto alla cessione delle “terre di Stato”, è opportuno che si obblighino  i privati ad investire in funzione degli incentivi statali ottenuti e che i controlli siano rigidi, se si vuole evitare non solo lo spadroneggiare delle mafie , gli sgravi per le holding cooperative od il sacco dei sussidi per l’agricoltura, per non parlare di potenziali nuove cementificazioni, ma soprattutto evitare lo sfruttamento di giovani ed immigrati, che possono essere tutelati solo da una norma che reintroduca la mezzadria, semplifichi i contratti “a giornata” e democratizzi associazioni, consorzi e sindacati.

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Una proposta di D’Alema: vincere col 60% dei voti

18 Ott

Che ci sia aria di elezioni “anche se Silvio non vuole” è chiaro a tutti, persino a “Silvio”, che, altrimenti, non si dibatterebbe come sta facendo.

E così andando, arriva, immancabile, la proposta di Massimo D’Alema (Pd) in una intervista rilasciata al Corriere della Sera: “Un’alleanza in grado di valere almeno il 60% dell’elettorato. Un nuovo centrosinistra capace di andare oltre il vecchio Ulivo.”

Il bello dei numeri è che son fatti per essere contati e 60% è una cifra enorme che sottintende molte cose.

Infatti, raccogliere una tale percentuale significa ottenere il consenso di 20-22 milioni di italiani su circa 37 milioni di votanti totali, con un astensionismo al di sotto del 20%.

Considerato che, alle Politiche del 2008, PD e IdV raccolsero circa 13 milioni di voti, il passo è palesemente lungo: mancano 9 milioni di voti.

Esattamente quelli che raccoglieranno, molto prevedibilmente, Sinistra e Libertà di Vendola e l’Unione Democratici di Centro di Casini

Infatti, se l’apporto di SEL sottrae voti al Partito Democratico ed all’Italia dei Valori, un’eventuale alleanza o desistenza elettorale “a sinistra” si trasformerebbe in una utile compensazione di voti (2-3 milioni) per la coalizione.

Va da se che ciò rende impraticabile il coinvolgimento dell’UdC di Casini, da cui dovrebbero arrivare, con l’API di Rutelli, quei 4-6 milioni di voti che servirebbero alla proposta dalemiana per essere praticabile.

Di tutte queste congetture, tali restano senza sondaggi e statistiche, non mi resta altro che un “atroce dubbio”: e se, dinanzi ad una alleanza UdC, IdV, PD, SEL + sindacati, il popolo italiano sentisse puzza di consociativismo o trasformismo e ne venisse fuori un voto impazzito? Fu proprio questo fattore che, agli albori della Seconda Repubblica, creò le premesse per l’entrata di “Berlusconi in politica” e, poi, per il consolidamento del Berlusconismo.

Non è un caso che D’Alema sottolinei, quasi prendendo le distanze da se stesso, che questo singolare aggregato di partiti dovrebbe iniziare col “definire un progetto alternativo di governo, non una mera alleanza elettorale.”

Oltre l’Ulivo, ripetendo l’Ulivo? Forse si.

Utile aggiungere che Massimo D’Alema si è detto “positivamente colpito da Alessandro Profumo”, il creatore di quell’Unicredit che oggi ha outlook negativo, e considera, ancora oggi proprio mentre l’Euro traballa, Romano Prodi “una risorsa”.

Intanto, l’UDC vince in Molise, alleato del PdL, che, in quella regione, non ha voluto Berlusconi capolista …

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Black Bloc a Roma e la Sinistra divisa

18 Ott

La Repubblica riporta che, riguardo l’aiuto da dare alle forze dell’ordine, la posizione di Ateneinrivolta: “Assolutamente no, siamo contro ogni tentativo di repressione e criminalizzazione del movimento”.

Va da se che un’organizzazione che non intende collaborare con le forze dell’ordine non può convocare cortei e manifestazioni, in un paese democratico e legalitario. Qualcuno dovrebbe spiegarlo agli studenti degli atenei in rivolta …

Una posizione che non trova una netta e legalitaria contrapposizione a Sinistra, dato che, tra le tante organizzazioni che hanno emesso comunicati, solamente la Rete Universitaria Nazionale e la Federazione degli Studenti non mostrano  “sulla necessità di aiutare le forze dell’ordine, nessun tentennamento: “Si, le aiuteremo”. Le motivazioni: “Chi ha sfregiato la giornata di sabato sapeva di non poter convivere con questo movimento, dunque ha preso piazza S. Giovanni con la forza.”

Riguardo le devastazioni e gli incendi di sabato scorso a Roma, ricordiamo che si sono così espressi:

  • Valentino Parlato sul Manifesto, “A Roma ci sono stati anche scontri con la polizia e manifestazioni di violenza. Meglio se non ci fossero state, ma nell’attuale contesto, … aggiungerei: è bene, istruttivo che ci siano stati. Sono segni dell’urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile”;
  • Pierluigi Bersani, segretario del Pd, “E’ indispensabile un rigoroso isolamento dai movimenti che hanno manifestato pacificamente di chi si è reso protagonista di questi gesti inaccettabili”;
  • Nicky Vendola, Sinistra e Libertà: “Minoranze di teppisti, di black bloc che sono in azione per togliere la scena agli ‘indignati”;
  • Beppe Grillo, leader a 5 stelle: “E’ andata esattamente come previsto. Bersani e Vendola hanno la stessa dignità di Ponzio Pilato”;
  • Paolo Ferrero, di Rifondazione Comunista: “Il movimento è stato stritolato da un’aggressione politica e anche fisica”;
  • Alberto Perino, leader No-TAV: “Io a Roma non c’ero. Non mi fido di quello che ho letto sui giornali”;
  • Antonio Di Pietro, leader Italia dei Valori: “Si deve tornare alla Legge Reale. Anzi bisogna fare la legge Reale bis”.

Posizioni a di poco contrastanti, specialmente se consideriamo che, da Perino a Di Pietro, passando per Grillo, Bersani, Vendola e Ferrero, si tratta di un’unica coalizione se solo andassimo a guardare come sono composte le giunte dei comuni.

D’Alema, intanto, parla di una possibile vittoria elettorale al 60% …

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