La legge 185 del 1990 sulle esportazioni di armamenti chiede di accertare il “rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale” e di rifiutare le esportazione di armamenti “qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna”.
“Da quando nel 2004 l’Unione europea ha revocato l’embargo totale alla Libia, le esportazioni di armamenti italiani al regime del colonnello Gheddafi hanno visto un crescendo impressionante: si è passati dai poco meno di 15 milioni di euro del 2006 ai quasi 112 milioni di euro del 2009 (+746%). (Giorgio Beretta, presidente Unimondo)
Secondo i rapporti dell’Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari, nel biennio 2008-2009, l’Italia avrebbe autorizzato forniture italiane di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro, pari ad un terzo (34,5%) di tutte le spedizioni di armi dall’Ue (circa 595 milioni di euro).
Va chiarito che, mentre l’Unione Europea, sotto la spinta dell’iniziativa unilaterale di Berlusconi, riconosceva alla Libia una certa “democraticità”, gli Stati Uniti e le ONG indipendenti riportavano l’uso della tortura, gli arresti indiscriminati, le sparizioni.
Come va chiarito che “le autorizzazioni all’esportazione di armamenti italiani nel 2008 hanno superato i 3 miliardi di euro con un incremento che sfiora il 29% rispetto al 2007 mentre le consegne effettuate raggiungono gli 1,8 miliardi di euro. A cui vanno aggiunti i quasi 2,7 miliardi di euro di autorizzazioni relative a Programmi Intergovernativi”. (fonte: Presidenza del Consiglio – Unimondo)
Il traffico legale di armi a favore di Gheddafi si è incrementato notevolmente con il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia, firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e da Muhammar Gheddafi.
Il trattato prevede “un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari” e “collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate”.
Una norma sciagurata: ricordiamo tutti il caso del motopeschereccio inseguito e mitragliato da una unità libica con a bordo personale italiano.
Secondo Unimondo, l’Italia non avrebbe ancora revocato la fornitura di armi alla Libia, a a causa dell’esposizione di industrie militari italiane, “a cominciare dalle controllate di Finmeccanica”, come Agusta Westland, Alenia Aermacchi e Mbda.
Esattamente gli strumenti di morte con cui Gheddafi si tiene aggrappato al suo miserrimo trono bombardando interi quartieri e cittadine.
Secondo la rivista Popoli, mensile dei Gesuiti, “Finmeccanica, la holding pubblica italiana che vanta tra le sue società alcuni dei principali produttori di armamenti al mondo, è stata una delle prime aziende a sfruttare quest’occasione. Il primo colpo l’ha messo a segno già nel 2006 firmando la vendita di dieci elicotteri A-109E Power per un ammontare di 80 milioni di euro.” e le controllate di Finmeccanica in Libia avrebbero venduto, negli ultimi tre anni, “elicotteri militari, aerei, dispositivi per l’ammodernamento di aeromobili, ricambi, servizi di addestramento e missili.”
Finmeccanica è partecipata al 32,5% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ovvero da Tremonti, mentre la Lybian Investment Authority ne detiene una quota il 2,01%, “quota che permetterebbe a Gheddafi di eleggere fino a quattro delegati” nel CdA.
Come dimenticare il benefattore (dalle mani che grondano sangue) che in questi 3 anni ha riversato miliardi di euro nelle casse pubbliche e private italiane (fonte Sole24ore), attenuando la percezione di una crisi , di un’inerzia e di un declino, che potebbero rivelarsi ancor più gravi, se cesserà, come sembra, il flusso di denaro libico?
Perchè annunciare la sospensione o, meglio, l’annullamento dei rifornimenti di armi a Gheddafi, se questo poi andrebbe a provocare “ipso facto” perdite aziendali, che per Finmeccanica e non solo significano minori entrate e maggiori spese per lo Stato Italiano?
Meglio attendere qualche mese, mentre il mercato si riassesta ed iscrivere le cifre in rosso nei bilanci dopo la vendita dei BOT, dopo le Amministrative, dopo i rating di primavera, dopo il referendum sulle risorse naturali e, con un pizzico di fortuna, dopo l’estate, perchè no.
Anche questa è “politica del fare”.
Una Risposta a “Massacri libici, affari italiani”