I writers sono un fenomeno di “comunicazione sociale” contestuale a tutte le culture postindustriali. La produzione di glifi, questo è il lavoro dei writers, è parallelo a quello dei graffiti, comic-art trasposta sui muri con lo spray, e successivo ai muralisti, pittura “tradizionale” in acrilico su parete.
Essendo postindustriale, la sua estetica ben si adatta alle periferie ed i contesti industriali Anni’50, di cui Milano e la zona Ostiense e Tiburtina di Roma sono ricchi.
Il fenomeno non attecchisce, almeno in forma perenne, sui ponti metropolitani e tra il barocco dei centri storici. A Parigi, come a Roma, come a Washington.
In Olanda fecero un “timido” tentativo, agli inizi degli ’80, in una chiesa che fu tutta riverniciata in nero con le colonne arancio e giallo, ma quello era dark punk e molta eroina.
Qui parliamo solo di segni e di colori, di un vecchio muro e di aria aperta, di ragazzi che vivono la città e che segnano la propria presenza.
Arte e comunicazione, mica crimine, violenza e droghe.
Quando avremo città più belle, meno writers “che sporcano” e più writes che “vivono del proprio lavoro”?
Affermativo, Galeotto, affermativo.
A favore della libertà d’espressione, ma senza violarei i diritti altrui.
Se qualcuno mi scrive il proprio glifo sul muro di casa mia, o su un muro pubblico, è un coglione deficiente.
Liberissimo di imbrattare il muro della propria abitazione.